Con un brano tratto dall’introduzione di Giuliano Galletta e un breve testo di Rosella Simone, letto in occasione della presentazione che si è tenuta a Genova a Palazzo Ducale il 12 gennaio scorso, proponiamo a chi segue Effimera, il bellissimo libro Scritture operaie. L’esperienza genovese 1970-2020 (a cura di Marco Codebò e Giorgio Moroni), Quaderni di Archivio 2, edito da Associazione per un Archivio dei Movimenti a Genova e in Liguria, Genova, dicembre 2023
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Sin dalla sua nascita nel 2009 l’Archivio dei Movimenti di Genova (www.archivimovimenti.org) si è dato l’obiettivo di raccogliere ogni tipo di documento (volantino, manifesti, fotografie, libri, lettere, filmati) prodotto dai movimenti politici e sociali del lungo 68 e con essi le testimonianze, orali e scritte, dei militanti di quella stagione che sono, in buona parte, coloro che hanno reso possibile con le loro donazioni la costituzione dell’Archivio stesso. In questi anni Archimovi ha così reperito più di cento fondi, salvandoli dalla dispersione e ordinandoli, con rigorosi criteri archivistici, per metterli a disposizione di studenti, storci e appassionati. A partire da tali documenti Archimovi ha poi promosso un’originale attività culturale, di ricerca, didattica e divulgativa, all’insegna della public history – sono i protagonisti che decidono di gestire in prima persona la loro storia – che si è concretizzata in mostre, convegni, seminari. […]
Il volume che qui presentiamo, Scritture operaie. L’esperienza genovese 1970-2020 (a cura di Marco Codebò e Giorgio Moroni), è dedicato a quattro scrittori operai, tutti metalmeccanici a Genova: Pippo Carrubba (1938- 2020), Francesco Currà (1947-2016), Vincenzo Guerrazzi (1940-2012) e Giuliano Naria (1957-1997) e affronta il tema del rapporto tra la vita di fabbrica e la comunicazione letteraria.
Nella Genova degli anni Settanta, questi lavoratori di Ansaldo e Italcantieri iniziarono a scrivere testi letterari. Continueranno a farlo per tutta la vita. Con modi e tempi diversi, legati alle particolari vicende delle loro esistenze, produrranno romanzi, inchieste giornalistiche, favole, racconti, poesie, musica. Il volume di situa dunque coerentemente nel percorso di lavoro di Archimovi, è costituito infatti a partire da documenti conservati in archivio, da una specifica ricerca storica e dal reperimento di fonti inedite. [dall’introduzione di Giuliano Galletta, pp.11-12].
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È colpa nostra, mia, di Ignazio e di Marino aver riportato alla luce quell’esperienza breve ma unica originale e beffarda che fu il Collettivo letterario formatosi all’Ansaldo Meccanico Nucleare di Genova tra il 1972 e il 1975. Loro, Ignazio e Marino, ci hanno messo il corpo e la mente dentro l’orribile mostro di ferro e fuoco che era la fabbrica, io sono solo un testimone a latere, poiché all’epoca condividevo casa amore e passione politica con Giuliano Naria, calderaio all’Ansaldo, militante molto radicale e lettore insaziabile.
Non vi racconterò quello che con Marino e Ignazio abbiamo scritto, non intendo spoilerare, vorrei invece cercare di spiegare perché questo progetto Scritture operaie mi è piaciuto e ho deciso di collaborare, anche se da allora è passato tanto tempo e Giuliano Naria non è stato l’amore della vita.
Edoardo Camurri durante la trasmissione Rai il Ramo d’oro chiedeva a Marco Mezzalama, ingegnere informatico esperto in IA, come era stato possibile, in quella tragedia che sta accadendo oggi in terra di Palestina, che l’algoritmo, cioè il Lethal autonomous weapons systems (Laws), insomma l’IA che guida i droni in guerra, abbia potuto senza input umano attaccare e distruggere gli obbiettivi senza distinguere tra abitazioni ospedali chiese e fabbriche d’armi. La risposta dell’ingegnere era stata: “Programmazione sbagliata”. Perché l’IA , il deep learning non è, almeno per ora, un fatto di auto generazione di memoria ma dipende da ciò che gli umani mettono dentro la sua spropositata e ingorda memoria.
Vi sembrerà una uscita balorda, fuori tema visto che qui si parla di Scritture operaie per lo più scritte negli anni settanta, se non fosse che qui noi ora stiamo appunto discutendo di memoria. Insomma di quale indizi introdurre, per costruire il futuro, nella Storia. Nella Storia, si proprio quella con la S maiuscola, nella Memoria degli umani e quindi, possibilmente, anche in quella artificiale.
Scavando nel dimenticato di quegli anni e ricostruendo i percorsi anche eccentrici, gli spunti imprevisti, quelli che sfuggono al main stream, stiamo prospettando altri futuri possibili. Stiamo insomma ritessendo quel filo rosso di resistenza e di insubordinazione agli stereotipi di sorprendente originalità.
L’operaio che si proclama scrittore non è individualismo o narcisismo (anche se un po’ di narcisismo ci vuole per fare qualcosa di originale) è scandalo, provocazione, allegria, beffa, audacia, ironia, dignità. È libertà, libertà condivisa che si fa noi e dà spazio a una cultura che ha la forza di scriversi da sé e di imporsi, proprio partendo dalla fabbrica. Se Nanni Balestrini e Paolo Volponi vi hanno trovato fonte per la loro scrittura è perché da quel mondo veniva qualcosa di nuovo e potente, una cultura che loro, da autentici artisti, non potevano non vedere.
Non si tratta solo, come scrive Marco Codebò, di riscoprire in quegli operai l’urgenza esistenziale di liberare la vita dal lavoro, ma di liberare la vita dai conformismi dispostici del potere. Certo, perché un operaio ritenga di poter essere scrittore ci vogliono circostanze particolare. Ci vuole una stagione come quella degli anni settanta in cui una minoranza significativa di donne e uomini aveva pensato e messo in atto un processo di cambiamento radicale della società, avendo posto al centro della vita la libertà di essere se stessi dentro un noi collettivo che fondava la propria forza all’interno di un sapere condiviso, elaborato dal basso e capace di difendersi.
Come si sa abbiamo perso, e abbiamo perso male ma ricomporre le tante tessere di quella memoria serve a lasciare a chi viene dietro di noi una eredità incredibilmente ricca di possibilità. Perché testimonia che nella Storia sono disseminati granelli di istanze di quell’altro mondo possibile che non ha vinto ma che sottotraccia esiste e resiste. Questa memoria va preservata perché anche l’IA e le genti che verranno dopo di noi, dopo questo disastro che il presenta annuncia, impari a distinguere tra una casa un ospedale una chiesa e una fabbrica d’armi.
Ed è per questo che ho risposto all’appello di Giorgio Moroni quando mi ha chiesto di partecipare all’impresa, per questo che con Ignazio e Marino ci siamo messi a ricordare e scrivere, ed è per questo che sono contenta di essere qui.
[Rosella Simone, insieme a Marino Fermo e Ignazio Pizzo è autrice di uno dei contributi compresi nel volume: “C’era una volta la fabbrica ovvero l’orata al salame”. Qui sotto, l’indice del libro]
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