Introduzione – di Gianni Sbrogiò
Chi era Italo Sbrogiò?
In parte si presenta lui stesso nel filmato che qui viene proposto, un lavoro di “collage” tra interviste e documenti.
Italo era un’avanguardia operaia degli anni Sessanta e Settanta. Una persona che, pur con una minima formazione scolastica (scuola elementare e scuola per corrispondenza a Radio Elettra di Torino), riusciva ad avere una “concretezza didattica, una intelligenza politica”, che dispensava a piene mani senza paura, sapendo di essere dalla parte giusta. Questa certezza gli veniva dalla scelta di essere sempre in sintonia con quegli operai che volevano lottare per migliorare la loro vita e non con la massa indistinta di quelli contrari alla lotta. Per lui “lotta di classe” significava dar voce teorica e pratica a tutti coloro che, non sentendosi in grado, gli affidarono il ruolo di portavoce dei propri bisogni di salariati. Era un operaio intellettuale. Si era formato dentro la dura realtà della fabbrica chimica degli anni Sessanta.
Toni Negri nel suo Storia di un comunista (Ponte alle Grazie) scrive: “Italo mi fece da Virgilio: con lui accanto, riesco a trasformare la mia spocchia intellettuale nel lavoro con i militanti operai”.
Fu il collante di tanti compagni che insieme a lui costruirono le lotte di quegli anni. Non faccio nomi perché l’elenco sarebbe lungo e per non far torto a nessuno, ma per chi volesse approfondire invito alla lettura del libro sulla nostra storia, Quando il potere è operaio (2002, Manifesto Libri) a cura di Devi Sacchetto e di Gianni Sbrogiò.
Fu il protagonista del ‘68 al Petrolchimico nella lotta sul Premio di Produzione con la richiesta di “5.000 lire uguale per tutti”, durante la quale gli operai e i tecnici del “Comitato Operaio di Porto Marghera” riuscirono ad organizzare mobilitazioni dure in fabbrica fino alla fermata degli impianti (cosa ritenuta impraticabile dal padrone): picchetti, cortei, manifestazioni, occupazione di strade, cavalcavia e della stazione ferroviaria – portando l’intera fabbrica a un contrasto con il sindacato che venne costretto ad adeguarsi alla volontà del Comitato.
E noi, chi eravamo?
Lo scoppio del ‘68 a Marghera non fu un evento spontaneo (come di solito non lo è mai nessuna lotta, in nessun luogo e in nessuna epoca) – ma il frutto dell’intelligenza, della capacità e della volontà di tanti compagni dentro la fabbrica, insieme a studenti e intellettuali operaisti del gruppo di Potere Operaio che, a partire dal 1963, attraverso volantini, interventi in assemblea, incontri e riunioni, portarono avanti le tematiche dell’egualitarismo, degli aumenti uguali per tutti, della diminuzione dell’orario del lavoro, del rifiuto del lavoro salariato.
Queste tematiche nel ‘69 si tradussero in obiettivi chiari: 120.000 lire di minimo salariale, parità normativa tra operai e impiegati, 36 ore con quinta squadra per i turnisti e 40 ore per i giornalieri e costituirono la piattaforma contrattuale dei chimici, in alternativa a quella sindacale.
Nel 1970 la lotta affermò davanti a tutti, mettendo a fuoco e fiamme Marghera per tre giorni, che la esternalizzazione dei servizi collegati alla produzione aveva creato un operaio di serie B con meno diritti e meno salario. Questo permise al Comitato di espandersi anche ad altre fabbriche e poi nei quartieri e nelle scuole di Porto Marghera, Mestre e Venezia, ma anche in altre città come Chioggia, San Donà e a Pordenone nel settore dell’elettrodomestico.
Nello stesso anno, coi pendolari tra Chioggia e Marghera riuscimmo a ottenere l’abbonamento gratuito del trasporto. La lotta nei quartieri si rivolse contro gli affitti alti nell’edilizia privata, e verso la rivendicazione della manutenzione per gli appartamenti dell’edilizia pubblica e le occupazioni per chi ne aveva bisogno. Poi, nel ’72, con l’allontanamento da Potere Operaio, cominciammo gli incontri con operai della Fiat di Torino, Milano, Roma e costituimmo l’Assemblea Autonoma di Porto Marghera. L’autonomia operaia stava nascendo.
Nel ‘73 organizzammo la lotta sull’autoriduzione delle bollette Enel e come Assemblea Autonoma convocammo nel capannone del Consiglio di fabbrica del Petrolchimico una riunione di vari consigli di fabbrica, facedo passare anche all’interno delle fabbriche la lotta per l’autoriduzione. In poco tempo nel territorio aderirono più di 13.000 persone, 13.000 autoriduttori.
Nel ‘74 all’Ammi, dove lavoravo, riuscimmo a conquistare la tanto agognata riduzione dell’orario di lavoro in due reparti di produzione: due ore di diminuzione del lavoro come risposta concreta contro la nocività. Lottiamo per la sua eliminazione, finché la nocività resta noi lavoriamo di meno. Questa era la nostra parola d’ordine.
Nel ’76, in una fase di alta inflazione, ci mettemmo in testa di organizzare il blocco dei prezzi con picchetti davanti ai supermercati (compresa la Coop), riuscendo a fermare l’aumento dei prezzi di 50 generi di prima necessità. Il ‘77 per noi fu un continuo scontro politico in fabbrica contro la linea del compromesso storico e dei sacrifici e con il PCI e i sindacati che ci considerano “provocatori” e “terroristi”. Cercavamo di non farci togliere i vari automatismi di aumento del salario, dei passaggi automatici di categoria, conquistati negli anni precedenti e alcune volte ci riuscimmo come all’Ammi nel ‘79.
La fine degli anni Settanta vede la nostra forza diminuire, pur rimanendo ancora punto di riferimento per tante situazioni – la repressione cominciava a pesare. E poi arrivò il 7 aprile 79, quindi il 21 dicembre, poi il 24 gennaio 80.
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Fonte immagine: da un articolo di Toni Negri in memoria di Italo Sbrogiò apparso su Il Manifesto il 2 dicembre 2016.
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