Qualche giorno fa sul sito Micromega è stato pubblicato un appello firmato da 32 economisti e economiste fortemente critico nei confronti dell’European Stability Mechanism (Esm), il cosiddetto Fondo salva Stati. Tra le firme, Nicola Accella, Sergio Cesaratto, Massimo D’Antoni, Giovanni Dosi, Mauro Gallegati, Paolo Pini, Stefano Lucarelli, Felice Roberto Pizzuti, Riccardo Realfonzo, Antonella Stirati.
L’appello osservava che i parametri necessari per consentire a uno Stato membro di usufruire di tale fondo in caso di eccessivo debito pubblico “sono tali da escludere a priori che l’Italia possa soddisfarli” se il saldo di bilancio strutturale sia pari o superiore al valore minimo dettato dai parametri di Maastricht: il metodo di calcolo del saldo di bilancio strutturale è da tempo contestato dal nostro Paese, ed è oggetto di una campagna promossa da economisti di vari Paesi che ne ha dimostrato l’assoluta inaffidabilità.
Il calcolo strutturale (relativo alla dinamica del rapporto debito/Pil) viene fatto dalla Commissione Economica Europea facendo riferimento a un modello econometrico che stima le potenzialità di crescita di un Paese in relazione alla sua crescita effettiva. L’inaffidabilità di tale calcolo è particolarmente elevata per il caso italiano. Infatti, tale modello sostiene che, pur in presenza di una disoccupazione del 10% e di una capacità di utilizzo degli impianti inferiore al 70% (ovvero la non piena utilizzazione dei fattori produttivi), la differenza tra il Pil reale e il Pil potenziale è in Italia minima. Di fatto, si ritiene che un tasso ufficiale di disoccupazione del 10% (di gran lunga inferiore a quello effettivo, se consideriamo anche gli scoraggiati) possa essere considerato “naturale”. Ne consegue che la possibilità di ridurre il rapporto debito/Pil tramite politiche espansive che facciano aumentare il Pil non sono da noi possibili. E, quindi, occorre intervenire con la reiterazione di politiche di austerità.
Si tratta di un nodo cruciale, che il governo Gentiloni aveva cercato timidamente di affrontare ma senza il necessario coraggio e autorevolezza.
Le nuove regole dell’Esm impongono che se l’Italia dovesse ricorrere al Fondo Salva Stati, sarebbe sottoposta ai giudizi sul debito (rimasti quelli di Maastricht: max 60% del rapporto debito/Pil, quando nel 2019 tale rapporto arriva a oltre il 136%!). L’Italia non ha mai rispettato tale vincolo e ciò non ha impedito che entrasse nell’Unione Monetaria Europea nel lontano 1996. Inoltre, l’Italia è l’unico Paese dei cosiddetti “PIIGS” che non ha mai usato l’aiuto europeo, come è successo una volta per Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro e tre volte per la Grecia.
In caso di giudizio negativo – qui sta la novità maggiore – viene chiesta la ristrutturazione del debito. La ristrutturazione del debito è una procedura che prevede un accordo con il quale le condizioni originarie di un prestito (tassi, scadenze, divisa, periodo di garanzia) vengono modificate per alleggerire l’onere del debitore. Nel caso di debito pubblico (Argentina e Grecia docent) ciò si risolve in un allungamento forzoso della scadenza dei titoli di Stato e/o in un dilazionamento nel pagamento degli interessi. Vogliamo sottolineare che per la Grecia – come più volte abbiamo scritto su queste pagine – la macelleria sociale che ne è scaturita è imputabile alle condizioni poste dalla troika economica e dal FMI per accedere alla ristrutturazione del debito non alla sua ristrutturazione in sé (che in ultima analisi, se venisse posta senza contropartite, alluderebbe al “diritto all’insolvenza”!)
In ogni caso, per l’Italia, tale eventualità è altamente improbabile, grazie al nuovo clima che si è instaurato tra l’Italia e l’Europa che ha visto nell’elezione di Gentiloni a commissario economico europeo la sottoscrizione di un patto di “non aggressione”. Sarebbe stata più probabile di fronte alle pressioni sovraniste e antieuropee del precedente governo.
In secondo luogo, occorre ricordare, come è già stato fatto su Effimera, che solo il 5,7% dei titoli di Stato è posseduta dalle famiglie italiane. La Banca d’Italia detiene oggi il 17,7% del debito totale. Le istituzioni finanziarie monetarie hanno il 32,8%, di cui circa il 17% è detenuto da fondi speculativi. Le istituzioni bancario-creditizie detengono una quota pari a circa il 20%. La quota di debito italiano detenuto all’estero è pari al 30%. Difficile sostenere che, anche in presenza di una (improbabile) ristrutturazione del debito italiano, l’Esm metterebbe le mani sul risparmio degli italiani, come viene propagandato.
Cionondimeno, occorre riconoscere che la riforma dell’Esm va nella direzione di facilitare una eventuale ristrutturazione del debito. Inoltre, bisogna considerare che si rafforzano i poteri di un organismo assolutamente coerente con l’impostazione che ha prevalso nell’Unione, secondo cui gli obiettivi essenziali della politica economica, quelli su cui si concentrano le regole del Fiscal compact non a caso richiamate in questa riforma, sono essenzialmente il consolidamento dei conti pubblici e la riduzione del debito: in altre parole la politica di austerità.
Qui sta il punto: la riforma dell’Esm va ancora una volta nella direzione di ribadire che l’unica politica economica possibile è quella dell’austerity. Per questo, l’appello egli economisti valuta criticamente tale riforma. Possiamo arrischiarci a dire che, rispetto a tale prospettiva, una ristrutturazione del debito non onerosa avrebbe effetti sociali meno pesanti!
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Tale appello aveva l’obiettivo di insinuare qualche suggestione critica nelle posizioni delle forze di centro-sinistra che appoggiano il governo giallo-rosa di Conte2.
Su tale fronte è calato un silenzio assordante. Le posizioni di Renzi e gli interventi del ministro dell’economia Gualtieri hanno confermato l’impianto neoliberista della politica economica europea, anzi lo hanno rafforzato. Ne ha approfittato la destra sovranista e becera del duo Salvini-Meloni.
Nel suo intervento al Senato, Salvini ha citato l’appello degli economiste/i per ribadire che le critiche alla riforma dell’Esm vengono da “liberi accademici in libera università”.
Si tratta di una palese e volgare strumentalizzazione, che crea disgusto e ribrezzo (come è normale che accada quando si ha a che fare con tale personaggio).
Per vari motivi:
- In primo luogo l’università non è affatto libera, grazie alla continua riduzione dei fondi di finanziamento e alla riforma Gelmini che ha depotenziato la libertà e la capacità di ricerca e ne ha favorito la precarizzazione (aumentandone la ricattabilità dal pensiero neoliberista oggi egemone). Provvedimenti che hanno sempre avuto l’appoggio entusiasta di Salvini, con la finalità di eliminare ogni fonte dissidente e voce critica In tale compito, ha potuto contare sull’appoggio non dichiarato di parte delle forze di centro-sinistra
- In secondo luogo, la critica di Salvini (ammesso che sia possibile conoscerla, visto che nel merito non si è mai pronunciato ma, anzi, ha dimostrato in più occasioni una totale ignoranza in materia (e con lui tutti i deputati e senatori della Lega) sbaglia completamento segno, non cogliendo il significato politico del Mes. Non si tratta, infatti di asservire l’Italia agli interessi della Germania o di qualche altro Paese ma piuttosto agli interessi della speculazione finanziaria e del grande capitale. La “supposta” sovranità (sic!) non c’entra nulla: non è mai esistita.
- In terzo luogo, Salvini ha prodotto una serie di notizie false (fake news), purtroppo amplificate dai media consenzienti La serie è lunga. Si passa dalla frottola di Claudio Borghi – responsabile economico della Lega –(secondo cui l’Italia avrebbe dovuto pagare 120 miliardi di Euro per farne parte, quando il fondo di sicurezza – paracadute – ammonta a 70 miliardi) al refrain che sono a rischio i risparmi degli italiani (qualcuno/a dovrebbe ricordare a Salvini e Meloni che la mitica “vecchietta dei Bot” degli anni ‘70 e ‘80 è oramai deceduta da tempo), per passare, dulcis in fundo, al fatto che l’Italia pagherebbe i debiti delle banche tedesche sulla base del fatto che i criteri di vigilanza adottati dalla Bce abbiano escluso dagli stress-test (la validazione dello stato patrimoniale tale da garantire il rischio di insolvenza) le Sparkasse tedesche (a differenza della Casse di Risparmio italiane). Ma tale trattamento di favore deriva dai rapporti di forza che la Germania è stata in grado di agire anni fa, non dalla riforma dell’Esm. A conferma che l’Europa è una struttura politica basata sulla legge (neoliberista) del più forte.
Ma lungi dal denunciare le politiche di austerity in nome di un’Europa sociale, in nome di una politica fiscale comune europea, in nome di una politica creditizia che si muove nella direzione di abiura dei paradisi fiscali, Salvini&Co. hanno gioco facile, in modo del tutto demagogico, a rilanciare le parole d’ordine del patriottismo, della sovranità minacciata, dell’ordine e della disciplina, tanto care alle nostalgie fascistoidi e corporative.
Che la destra revanscista abbia gioco libero in questo campo, sino a strumentalizzare prese di posizione anti-liberiste, non ci stupisce. Ciò che potrebbe stupire (ma fino a un certo punto) è l’horror vacui della sinistra, la sua sindrome (ormai patologica) di negazione di qualsiasi presa di posizione critica nei confronti dell’ordine neo-liberista esistente, la sua mancanza di immaginazione riguardo una società più giusta e più equa. Così facendo si rischia di portare solo acqua al mulino dell’avversario.
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