Ad oggi, studiare il pensiero di Aldo Giorgio Gargani, non significa soltanto avvicinarsi ad un maestro di grande statura, infatti recuperare le fila del suo lavoro è soprattutto adempiere allo sforzo di comprendere il nostro presente. Il fatto di convivere da decenni con una profonda lacerazione politica da una parte e l’oblio di alcuni temi dall’altra, impone un ripensamento (una sovversione) radicale; il pensiero di Aldo Giorgio Gargani lo consente. Non bisogna necessariamente abbandonarsi a un nichilismo del presente, si può infatti ripensare la modernità in modo creativo.

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Introduzione

In questo breve contributo, si è voluto prima di tutto offrire una breve presentazione (con nessuna pretesa né di esaustività) della vicenda intellettuale del filosofo Aldo Giorgio Gargani, a partire dalla sua infanzia a Genova, fino al suo ultimo lavoro del 2008. In seguito, ci si è concentrati più specificatamente sull’opera Il sapere senza fondamenti, mostrando sia in che modo si inserì nel dibattito filosofico-politico dell’Italia degli anni Settanta (in riferimento a una certa cultura di sinistra), sia cercando di far emergere il nucleo fondamentale del lavoro. In ultimo, condividendo la tesi sostenuta da Arnold I Davidson[1], si è tentato di mostrare gli elementi di vicinanza con il pensiero di Michel Foucault, in particolare con la sua proposta di pensare la modernità come un atteggiamento di critica continua del presente. In effetti, soltanto una filosofia non-fondata può esercitare un’operazione di sovversione della realtà ed essere quindi moderna.

Presentazione[2]

Aldo Giorgio Gargani è stato uno degli indiscussi protagonisti della cultura italiana, in particolare di quella filosofica, soprattutto a partire dalla prima metà degli anni Settanta del Novecento. Nato nel 1933, a Genova, il padre pittore lo mise fin da subito a contatto con l’ambiente dell’avanguardia artistica. Crebbe in una Genova post-1945, segnata prima dalla guerra e poi dalla Resistenza e in grado, al tempo stesso, di far convivere poeti del calibro di Eugenio Montale o di Camillo Sbarbaro, con una più generale assenza di cultura politica condivisa. Fra i 15 e i 18 anni, Gargani fece la sua prima esperienza politica, aderendo alla FGCI e tentando quindi una sintesi fra la sua cultura di provenienza e una realtà più legata all’impegno sociale e politico.

Nel 1956 fu ammesso alla prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa, in cui condivise gli studi con filosofi come Enrico De Angelis o Paolo Cristofolini; ma anche con figure del calibro del matematico Ennio De Giorgi o del filologo Vincenzo di Benedetto. Di grande impatto fu l’incontro con Giulio Lepschy, che lo introdusse alla filosofia analitica. In questi anni collegiali sviluppò anche una grande precisione filologica, che avrebbe caratterizzato poi tutti i suoi lavori successivi. Il suo soggiorno di studio presso l’Università di Oxford, al Queen’s College (sotto la guida di Brian Francis McGuinness), lo portò a iniziare una lunga ricerca sull’opera del filosofo Ludwig Wittgenstein. Questa prima fase di formazione e di crescita si concretizzò nell’opera Linguaggio ed esperienza in Ludwig Wittgenstein, in cui il suo interesse per il Wittgenstein delle Ricerche Filosofiche venne accostato al neopositivismo del maestro pisano Francesco Barone.

L’incontro con il politico e filosofo Nicola Badaloni lo portò, nel 1971, alla pubblicazione del volume Hobbes e la scienza, in cui Gargani tentò una sintesi fra la cultura contemporanea e il marxismo, in particolare attraverso il pensiero di Ludwig Wittgenstein. In questo senso, Hobbes rappresentava sia l’emblema della tensione fra le due parti, sia la possibilità di una nuova corrispondenza. Il tentativo di avvicinare convenzionalismo e materialismo, quindi di accompagnare uno studio sul linguaggio con un intervento politico sulla realtà, dimostrava l’esigenza del maestro pisano di collocare gli studi analitici sul terreno della storia e della vita. Non a caso, in questo periodo, vi fu un ritorno a Marx e agli studi marxisti.

Quattro anni più tardi, nel 1975, Gargani pubblicò Il sapere senza fondamenti: volume con cui tentò di rinnovare il panorama culturale e politico dell’Italia di allora. I contenuti dell’opera non erano poi così distanti da quelli di Hobbes e la scienza, ma nel testo del ’75 emerse un’altra esigenza: quella di riportare la scienza dal piano meramente cognitivo alla concretezza della vita. Lo scopo principale dell’opera era quello di individuare le modalità concrete e specifiche attraverso cui erano emerse le varie dottrine scientifiche, ma non attraverso un approccio deterministico, ma come prodotte all’interno di un processo libero. L’obiettivo polemico del libro era la nozione di fondamenti; pensati come strutture necessarie, quando invece, secondo Gargani, è solo la paura ad impedire agli uomini di scoprire che sono loro stessi i creatori di quelle entità. Al contempo, l’impianto teorico de Il sapere senza fondamenti rivelava una forte componente politica, molto vicina a quel marxismo proposto principalmente da Lukács e Korsch, che sarà poi centrale nella riflessione della Scuola di Francoforte.

Crisi della ragione, opera uscita nel 1979, rappresentò il proseguimento di quanto proposto in Il sapere senza fondamenti. Scopo del volume collettivo era il ripensamento della cultura degli intellettuali italiani dell’epoca, attraverso una rottura col dogmatismo dello storicismo marxista e mediante la proposta di un’altra visione, pur sempre erede di Marx, ma che sapesse raccogliere anche le istanze del pensiero di autori come Nietzsche o Wittgenstein. Gargani sentiva l’esigenza di dover andare oltre la tradizione democratico-marxista dominante nel XX secolo in Italia, per considerare piuttosto tutte le possibilità pensate dal post-strutturalismo e dalla nuova generazione figlia del ’68.

Nel 1988, vi fu la pubblicazione di Sguardo e destino, in cui Gargani ritornò su quelle tematiche centrali nel periodo dell’infanzia e dell’adolescenza genovesi. Si trattava di un’opera in cui venivano connessi l’aspetto filosofico e quello letterario. Il significato complessivo di questo lavoro si muoveva su più direzioni. Il rapporto nell’infanzia del filosofo genovese con il padre artista; la possibilità di aprire alla propria esperienza del passato o meno; il valore dell’esperienza come campo per la costruzione del proprio sé e per l’ottenimento della propria libertà (con riferimento, in particolare, al periodo di soggiorno presso il Wissenschatskolleg di Berlino): questi alcuni dei punti, in cui le esperienze di vita vennero integrate a delle tematiche filosofiche fra le più raffinate. Opera apparentemente concentrata sull’individuale, ma che al contrario non perse quella carica di critica del presente, arricchendola anzi di una maggiore attenzione al soggettivo. A partire da una visione della letteratura in cui l’elemento narrativo era posto come vero e proprio modo dell’esistenza per resistere alla pressione insopportabile dei fatti e dell’esistenza, Gargani fece importanti ricerche anche in questo ambito, in particolare su autori come Hugo von Hofmannsthal, Kafka, Musil, Ingeborg Bachmann, Thomas Bernhard.

Wittgenstein. Musica, parola, gesto è un testo pubblicato nel 2008, che costituisce il punto finale del lavoro intellettuale del filosofo genovese. In seguito al periodo degli anni Novanta in cui vi fu un passaggio alla letteratura (a partire dalla stessa opera Sguardo e destino), vi era qui un ritorno alla filosofia, da non confondere quindi con la prima (come certo postmodernismo). Un ritorno, quindi, alla razionalità e alla filosofia analitica, ma soprattutto una nuova attenzione all’elemento corporeo. In particolare, il rimando al tema del silenzio come momento relazionale; o il tema dello sguardo, al cui centro va pensata la verità; non più sublimata, ma piuttosto collocata in uno spazio vitale ed esistenziale (non da intendersi, quindi, soltanto nella sua potenzialità teoretica, ma anzi come base per un agire politico-trasformativo del mondo). Il tutto sviluppato attraverso un concetto come quello di interno, o attraverso il termine atmosfera. Ecco quindi che in quest’ultima opera emergeva il tema dell’intersoggettività (da intendersi come relazionalità, come mediazione uomo-uomo), vista come possibilità per una nuova libertà, capace di rendere gli uomini consapevoli sia di quanto essi stessi hanno creato nel tempo, sia di quanto ancora possono creare. Attraverso una sintesi fra i valori individuali di ognuno e una fiducia nell’elemento relazionale, ecco la riscoperta del valore della libertà.

La nozione di «fondamenti»

Il testo del 1975[3], pietra miliare nell’ambito degli studi wittgensteiniani, consente, oltreché di comprendere il pensiero del filosofo austriaco, anche di cogliere delle possibili linee di contatto fra la filosofia analitica e la filosofia francese contemporanea.

In Il sapere senza fondamenti, viene posto come tema centrale il rifiuto di un sapere che sia fondazionale (fondato); quindi l’esclusione di qualsiasi base dietro alla formazione di sapere e una conseguente polemica con qualsiasi forma di verità basata sul modello corrispondentistico. Attraverso il rifiuto di questo approccio più tradizionale, viene invece proposto un tipo di sapere che crea ciò che conosce e che non si adegua passivamente a quanto di già presente:

«Gli oggetti vengono individuati, conosciuti in quanto io proferisco un enunciato, in cui performativamente li costituisco […]. Ecco l’aspetto per cui, a partire dal Sapere senza fondamenti, ho un po’ avversato quella che a me sembra la metodologia tradizionale, basata su una logica del doppio, una logica del raddoppiamento»[4].

Ecco dunque che attraverso la nozione di decisione[5] (elemento chiave anche dell’opera Hobbes e la scienza), Gargani mostra come tutto ciò che è sempre stato generalmente considerato come fondato (presente), può essere in realtà pensato tale solo sulla base di una scelta arbitraria di carattere (a questo punto) superstizioso. È la stessa matrice operativa della scienza ad essere senza fondamento, ma ciò non perché il discorso scientifico sia destinato a continue contraddizioni e paradossi, ma in quanto manifestazione dell’operare umano. Dunque porre la prassi (infondata) come punto di partenza per la conoscenza scientifica, non deve essere inteso come un abbandonarsi al disordine o all’irrazionalità, ma al contrario se ne deve cogliere tutto il potenziale creativo. Tutto ciò che viene fondato non assolve a funzioni cognitive, ma piuttosto all’ordine voluto generalmente da quelle istituzioni sociali e culturali che cercano il disciplinamento; il disciplinamento, si potrebbe dire, della vita. Tutto ciò che è fondato non è altro che un rituale epistemologico, per dirla con Gargani stesso, destinato soltanto a sancire l’adesione degli uomini a dei modelli decisionali ai quali si sono essi stessi consegnati nelle forme della loro vita, ma non per questo veri (o più veri di altri):

«È un fatto che gli uomini hanno prodotto assai più cose di quanto siano propensi ad ammettere; ma ciò che essi hanno eretto nella forma di costruzioni concettuali elevate e sublimi, come se fossero separate dal caso e dal disordine, corrisponde ad un uso che essi hanno fatto della propria vita»[6].

Attraverso l’espressione di feticcio epistemologico[7],Gargani denuncia il carattere primitivo e superstizioso dietro lo schema «oggetto-designazione». Prendendo in considerazione numerosi autori, fra cui Descartes, Spinoza, Frege, il Wittgenstein autore del Tractatus logico-philosophicus, le dottrine dell’atomismo logico, quelle del fenomenismo, Gargani ritrova unicamente procedimenti di ragionamento nei quali la soluzione di un problema è già sempre pre-contenuta all’interno dello stesso schema definitorio. Al contrario, è necessario cogliere la lezione del filosofo austriaco evidenziando la matrice dell’uso: le decisioni e le stipulazioni contratte in una comunità, i comportamenti degli uomini in una forma di vita; perché queste sono le condizioni costruttive che hanno trasformato nel tempo degli elementi fisici in simboli di un linguaggio. Questa peculiarità dell’origine è stata distorta nella misura in cui si è voluto pensare a questi elementi come proprietà interne ed intrinseche al simbolo linguistico. È soltanto la matrice costruttiva dell’uso ciò che ha generato la compagine dei significati del nostro linguaggio:

«L’uso finora ha fatto tutto e pertanto può mutare tutto»[8].

In ultimo, non si può non parlare dell’enorme valore politico di questa visione filosofica, soprattutto considerando la data di pubblicazione: il 1975. In primo luogo, in riferimento al tema dei feticci epistemologici, dove Gargani fa un discorso politico collegandosi specificatamente al Marx dei Grundisse, nonché al tema del feticismo delle merci del Capitale[9]. In secondo, le stesse difficoltà di pubblicazione sono una testimonianza della portata politica dello scritto (presso la casa editrice Einaudi[10]). D’altra parte, la linea che veniva seguita dal PCI in quegli anni, di cui sicuramente va denunciata una certa miopia nel considerare queste nuove possibilità di pensiero[11], non avrebbe potuto di certo accogliere la polemica sui fondamenti di Gargani in maniera neutra. Dunque, se sicuramente vi è un aggancio fra il testo di Gargani e un certo marxismo, di sicuro non si tratta di quello più ortodosso né di quello umanistico-gramsciano:

«Una politica troppo guardinga e troppo sospettosa verso il lavoro intellettuale è stata a mio parere l’ostacolo principale che ha impedito lo sviluppo di quello sguardo complessivo, doppio, che non tollera che gli siano tracciati dei confini, che gli sia già predisposto un recinto entro cui deve esercitarsi, una meta che deve raggiungere… La nozione di «intellettuale organico» nella prassi storica effettiva si è rivelata dannosa»[12]

In effetti, Gargani proponeva un’apertura più generale sia a tutte le istanze provenienti da questo altro marxismo[13], sia verso altri pensieri come l’althusserismo, il poststrutturalismo francese, o verso autori come Heidegger o Nietzsche. Insomma, Gargani invitava a un pensare libero, non certo riducibile ad alcuna staticità dogmatica, ma piuttosto vivo, perché dinamico e continuamente creatore. Dunque, seguendo pur sempre la direzione dell’analisi politica di Marx, ma passando all’ambito epistemologico, Gargani insisteva sullo spostare lo sguardo da una forma presentata come necessaria, a una forma creata a partire dal suo uso. Più dinamica: più viva.

La libertà moderna

Perciò, a partire da questo carattere infondato di tutta la nostra conoscenza, che piuttosto è fondata dall’uso che se ne fa nella nostra vita, ecco profilarsi il primato di un carattere descrittivo della filosofia; invece che di spiegazione. Tutto ciò non può non far pensare a quanto scritto da Foucault sul ruolo che la filosofia dovrebbe avere nei confronti dei rapporti di potere:

«Da molto tempo sappiamo che il compito della filosofia non è di scoprire ciò che è nascosto, ma di rendere esattamente visibile ciò che è invisibile, di far apparire ciò che è così vicino, così immediato, così intimamente connesso a noi, da non poter essere percepito»[14]

A questo punto, ecco mostrarsi la possibilità di una condivisione di fondo tra i due autori: la condivisione di un atteggiamento in merito al ruolo della filosofia. Ponendo il carattere infondato di tutte le creazioni umane, non si può non cogliere la vicinanza con quella proposta di critica permanente del presente[15]di Foucault. Solo se si riconosce la realtà (e il suo linguaggio) come infondata, si può operare una critica su di essa. Dunque, per dirla con Arnold I Davidson:

«Aldo Gargani è riuscito a inaugurare nel Il sapere senza fondamenti un nuovo campo filosofico, quello che mi farebbe piacere chiamare l’epistemologia politica[16]».

La proposta di Foucault (pensata a partire dalla risposta di Kant del 1784 alla domanda Was ist Aukflärung?) di pensare la modernità come un atteggiamento, invece che come un periodo della storia e il suo far convergere questo atteggiamento con il continuo tentativo di immaginare un presente diverso da quello in cui ci si trova, sarà possibile solo a partire dal riconoscimento di una sostanziale infondatezza di quest’ultimo (non legato in modo inscindibile a categorie fisse e immutabili, quindi modificabile). Adottando, con Wittgenstein, il criterio dell’uso nei confronti del linguaggio e rifiutando qualsiasi forma di dogmatismo, ecco mostrarsi tutto il potenziale sovversivo di questa visione. Una visione legata alla prassi: libera, sovversiva; continuamente sovversiva e veramente moderna. Dunque, partendo da uno studio epistemologico, ecco realizzarsi quella proposta di atteggiamento moderno pensata da Foucault, che, pur partendo da un’analisi del linguaggio, non è priva di carica politica.

In conclusione, mostrando la vicinanza tra i due autori, si è rivelato come soltanto attraverso una filosofia libera e infondata, sarà possibile non sopperire alle forme statiche con cui si è costretti a convivere. Soltanto attraverso un punto di vista antidogmatico e dinamico, sarà possibile cogliere il vero scopo di ciò che è dato come certo (perché fondato): quello di disciplinare. Soltanto attraverso un atteggiamento veramente moderno si potrà essere sovversivi nei confronti del presente e si potrà essere capaci di immaginare e di creare un futuro differente (Un altro mondo possibile, per dirla con Marc Augé). Ecco dunque che solo un pensare libero (non-fondato) potrà essere vivo: in movimento; e potrà esercitare quella funzione di sovversione continua del presente, veramente moderna.

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NOTE

[1] Filosofo statunitense. Autore dell’Introduzione a Aldo G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune. MIMESIS EDIZIONI, 2009. Milano.

[2] Su questa prima parte introduttiva, si vd. A.G. Gargani, «I vari volti della verità». Intervista biografico-teorica a cura di M. Iofrida, in «Iride», a XV, n. 1, aprile 2002, e  «Ricordo di Aldo Giorgio Gargani» Manlio Iofrida, in «Iride», a. XXII, n.58, settembre-dicembre 2009

[3] Aldo G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune. Introduzione di Arnold I. Davidson. Milano. MIMESIS EDIZIONI, 2009.

[4] Aldo G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune. Introduzione di Arnold I. Davidson. Milano. MIMESIS EDIZIONI, 2009, cit. it. p. 23

[5] «Ricordo di Aldo Giorgio Gargani» Manlio Iofrida, in «Iride», a. XXII, n.58, settembre-dicembre 2009, p. 501

[6] «I vari volti della verità». Intervista biografico-teorica a cura di M. Iofrida, in «Iride», a XV, n. 1, aprile 2002, vd. pp 39-40

[7] Aldo G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune. Introduzione di Arnold I. Davidson. Milano. MIMESIS EDIZIONI, 2009.vd. p. 70

[8] Ivi, cit. it. p. 69

[9] Ivi, cit. it. p. 70

[10] «I vari volti della verità». Intervista biografico-teorica a cura di M. Iofrida, in «Iride», a XV, n. 1, aprile 2002, vd. p. 40

[11] Per approfondire, mi permetto di rimandare a Graziella Falconi, Una magnifica ossessione. La vocazione pedagogica del PCI. Harpo Diario Minimo Roma 2016, e Giorgio Napolitano Dal Pci al socialismo europeo. Un’autobiografia politica. Laterza. Bari 2008. Per una storia più generale del PCI, ho utilizzato Giorgio Galli, Storia del partito comunista Italiano. Pantarei. Milano 2011.

[12] «I vari volti della verità». Intervista biografico-teorica a cura di M. Iofrida, in «Iride», a XV, n. 1, aprile 2002, cit. it. p. 69

[13] Il marxismo di Lukàcs, di Korsh e della scuola di Francoforte.

[14] Michel Foucault, “La filosofia analitica della politica” in Archivio Foucault 3. 1978-1985, Milano, Feltrinelli, cit. it. p. 104

[15] Michel Foucault, “Che cos’è l’Illuminismo” in Archivio Foucault 3. 1978-1985, vd. p. 226

[16] Aldo G. Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell’esperienza comune. Introduzione di Arnold I. Davidson. Milano. MIMESIS EDIZIONI, 2009, cit. it. p. 16

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