Mentre nel Mediterraneo, si continua a morire (sono oltre 920 i morti e i dispersi in tutto il Mediterraneo solo nel 2024, pari a più di 5 persone al giorno, oltre 29.800 dal 2014), il governo Meloni si diletta nel discettare sul business dei migranti, una volta entrati regolarmente in Italia. Meloni fa finta di non sapere che sono proprio le regole di accesso regolare in Italia a causare la morte, la clandestinità e il mercato nero delle braccia. Un obiettivo voluto.

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Partiamo dai dati ufficiali. Il governo con il decreto flussi triennale 2023-2025 (Dpcm del 27 settembre 2023) ha previsto 452mila posti in tre anni. Per i 136mila posti del 2023, le domande presentate ai click day che si sono svolti a inizio dicembre sono state 609mila.

Riguardo all’anno corrente (2024), nei giorni 18, 21 e 25 marzo hanno preso avvio i tre click day del Decreto Flussi 2024: 151.000 le quote complessivamente previste dal provvedimento per l’ingresso regolare in Italia di lavoratori non comunitari.

Più in dettaglio (dati Ministero degli Interni) le procedure avviate il 18 marzo riguardano le istanze di lavoro subordinato non stagionale (articolo 6, comma 1, lettera b) del Dpcm 27 settembre 2023; quelle del 21 marzo, sono relative ad apolidi, rifugiati e assistenza familiare in ambito sociosanitario (articolo 6, comma 1, lettera b) e quelle del 25 marzo, afferiscono alle istanze di lavoro subordinato stagionale (articolo 7, comma 1, lettera b).

Ad oggi sono quasi 690mila le domande già presentate. Nello specifico, nel solo giorno del 18 marzo erano state inviate 49.734 domande. Ad oggi (giugno 2024) ne risultano trasmesse 243.883

Le domande di lavoro relative al click day del 21 marzo (lavoro di cura), al momento sono pari a 112.440 mentre per quelle relative al 25 marzo (lavoro stagionale) le richieste presentate sono state 332.724.

Tiriamo le somme.  Il decreto flussi per il 2024 stabiliva un’offerta di lavoro pari a 151.000 lavorator*, la domanda di lavoro ad oggi (la scadenza è il 31 dicembre 2024) è invece di 690.000 lavorator*, ovvero un numero superiore del 456%. Nel 2023, l’eccesso di domanda era pari al 447%.

Ma i dati non dicono tutto. La legge Bossi-Fini e i decreti flussi migranti regolari che ne derivano fanno riferimento ad un calcolo politico e economico voluto. Inizialmente, si accettano poche migliaia di lavoratori regolari. In seguito, dopo il click day, la domanda che rientra nelle quote passa all’esame dello sportello unico dell’immigrazione per il rilascio del nulla osta e viene poi trasmessa alle rappresentanze diplomatiche italiane nei Paesi di provenienza per il visto d’ingresso. I dati della campagna “Ero straniero” mettono in evidenza che molte quote si “perdono” durante il percorso e nel 2023 solo il 23,52% delle quote si è trasformato in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Le ragioni sono molteplici. Il rilascio del visto, in alcuni Paesi, richiede tempi molto lunghi e spesso si traduce in un vero e proprio intoppo burocratico. In media, ci vogliono oltre 120 giorni contro i venti previsti dalla legge. Succede anche che i lavorator* extra Ue entrino in Italia con un nulla osta e con un visto regolare, ma poi non vengano assunti dal datore di lavoro che li aveva chiamati che non è più disponibile ad assumerli o è addirittura non rintracciabile, dopo il tempo che è passato per la regolarizzazione.  Di fatto, buona parte di questi, regolarmente entrati in Italia con il permesso di lavoro, diventano clandestini non avendo più il lavoro. Siamo al paradosso. Occorre ricordare che secondo la Bossi-Fini il/la migrante  per avere il permesso di soggiorno deve dimostrare di avere un contratto di lavoro, stipulato quando era ancora nel paese di origine. Immaginate, giusto per fare un esempio, le 112.440 richieste di lavoro di cura da parte di famiglie italiane che, secondo la legge, dovrebbero assumere una persona che non conoscono, non è mai stata in Italia, non si sa se parla italiano, ecc., Ovviamente, ciò non succede. Le richieste di lavoro di cura, per rimanere nell’esempio, si rivolgono a migranti già presenti sul territorio italiano, migranti che per costrizione sono dovute entrare in Italia in condizioni di clandestinità.

Di fatto, un numero di offerte di lavoro volutamente inferiore alla domanda espresso durante i click day e la lunghezza burocratica (nonostante alcune semplificazioni adottate dal decreto Cutro) fanno sì che solo una quota degli aventi diritto possa effettivamente trovare lavoro e quindi ottenere un regolare permesso di soggiorno.

Tale sistema, di fatto, favorisce un doppio livello di clandestinità Il primo è quello che deriva dalla necessità di entrare in Italia in modo irregolare, vista l’insufficienza dell’offerta di lavoro. Il secondo livello riguarda coloro che sono entrati regolarmente in Italia ma, non trovando il posto di lavoro, sono costretti ad entrare in clandestinità.

La creazione della cosiddetta clandestinità è quindi l’obiettivo reale del sistema di leggi che regola il processo migratorio. La clandestinità non è il frutto della tratta dei migranti, né dipende dalle Ong che salvano i migranti in mare.

In conclusione, la Legge Bossi-Fini e il sistema vigente volutamente non vuole regolamentare né gestire i flussi di migranti, di cui L’Italia avrebbe grande bisogno ma intende favorire il lavoro nero. È questo, infatti, il primo scopo della legge, ampiamente raggiunto. Il migrante che lavora in nero, infatti, non solo favorisce lauti profitti a chi lo sfrutta ma produce un effetto di dumping sociale sul livello medio dei salari: in assenza di un salario minimo, ci sarà sempre qualcuno che è disposto a lavorare per un salario inferiore. La contrarierà del governo Meloni al salario minimo non è tanto contro l’idea del salario minimo in sé, ma contro il rischio che un salario minimo possa attenuare se non eliminare il dumping salariale oggi esistente grazie soprattutto alla forza lavoro migrante. Si vogliono così ottenere due obiettivi: favorire il padronato che fa profitti sul basso costo del lavoro e creare consenso politico grazie alla paura, di matrice razzista, che vede nel mirante il nemico sociale, su cui far confluire le frustrazioni della propria povertà.

Recentemente, la premier Meloni ha fatto un esposto alla magistratura, denunciando che in alcune regioni (vedi Campania) ci sono state domande di lavoro eccessive rispetto alle potenzialità del tessuto produttivo. Non ci vuole un genio per rendersene conto. Ma il governo confonde la causa con l’effetto. Tale situazione è infatti il frutto dei vincoli all’ingresso regolare in Italia imposti dalla legge Bossi-Fini che, favorendo la clandestinità e la diffusione del lavoro nero, oltre a favorire a monte il traffico dei migranti, favorisce a valle anche il business illegale della manodopera migrante, che trova terreno fertile laddove il caporalato del lavoro migrante agricolo è assai diffuso (le regioni del Sud, dalla Puglia, alla Campania, alla Calabria).

Solo allargando le possibilità di ingresso regolare dei migranti è possibile ridurre il fenomeno dello sfruttamento illegale del lavoro migrante. Non l’opposto come il governo intenderebbe fare. E l’aumento dei flussi di uomini e donne migranti avrebbe anche un effetto positivo sull’economia italiana, se tale ingresso avvenisse in condizioni di regolarità e legalità. Persino il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta nella relazione annuale tenuta il 31 maggio scorso, in un paragrafo dedicato al calo demografico e alle risposte del mercato del lavoro, ricorda che secondo l’Istat, da qui al 2040 il numero di persone in età lavorativa diminuirà di 5,4 milioni di unità, malgrado un afflusso netto dall’estero di 170.000 persone all’anno. Questa contrazione si tradurrebbe in un calo del PIL del 13 per cento, del 9 per cento in termini pro capite.

Si tratta di un afflusso netto dall’estero insufficiente a coprire il fabbisogno del paese, che incide negativamente anche sul bilancio dello Stato dal punto di vista fiscale e contributivo.