La netta vittoria dei NO nel referendum greco segna un punto di svolta irreversibile per l’Europa. Per la prima volta, un paese dell’Eurozona dichiara in modo netto la sua contrarietà all’imposizione di politiche d’austerity da parte dell’oligarchia economica che pretende di governare l’Europa.
Tale vittoria rappresenta oggi un vulnus che potrebbe contaminare anche altri paesi del vecchio continente, a partire dalla Spagna.
Il nervosismo di Bruxelles di queste ore e le pesanti dichiarazione della socialdemocrazia tedesca mostrano che siano loro oggi a cominciare ad aver paura.
Il pallino passa ora alla Bce, che deve decidere in queste ore se continuare a fornire liquidità alle banche greche oppure farle morire. Varoufakis si è fatto da parte, sottraendo ai vampiri della comunicazione l’uso della sua immagine. Rimane, e risuona più forte, l’accusa di terrorismo da lui rivolta alle banche. Dovrebbero dimettersi Merkel e Schauble non Varoufakis. Ora tuttavia le istituzioni non hanno alibi: aggredire o cedere; trattare o correre il rischio di un effetto boomerang con pesanti costi economici.
Nel primo caso, si apre la possibilità di arrivare in tempi brevi ad un accordo ponte che consenta di discutere anche della ristrutturazione del debito greco, accettando una parziale insolvenza dettata stavolta non dagli interessi dei poteri forti ma dalla pressione sociale che dalla Grecia potrebbe investire anche altri paesi.
Nel secondo caso, assisteremo al fallimento (non della Grecia ma) dell’Europa, una nuova pagina di storia si aprirà. E non sarà indolore. Neanche per il capitale, perché la Grecia, non ha più nulla da perdere, se non le catene finanziarie: esattamente come chi vive, in Italia, Francia o Germania, la condizione precaria. Accettare il debito significa accettare le catene. Democrazia, oggi, in Europa, significa rifiutare in primo luogo l’austerity e quindi la logica del debito come comando.
Non si costruisce nulla di buono dove qualcuno comanda e gli altri lavorano.