Premessa. Achille Mbembe, nato nel 1957, è un politologo e storico camerunese, ha fatto gli studi universitari in Francia, è stato docente in molte università statunitensi prestigiose e ora fa ricerca e docenza all’Università di Johannesburg (Africa del Sud). E’ considerato uno dei più importanti intellettuali critici del colonialismo e del postcolonialismo. Fra le sue pubblicazioni in italiano: Postcolonialismo, Meltemi, 2005; Necropolitica, Verona : Ombre Corte, 2016; Emergere dalla lunga notte. Studio sull’Africa decolonizzata, Roma : Meltemi, 2018; Nanorazzismo. Il corpo notturno della democrazia, Bari : Laterza; 2019; Critica della ragione negra, Como : Ibis, 2013/2019.

In questo testo critichiamo la sua “dimenticanza” della cruciale importanza della questione neocoloniale, ossia di quella riproduzione continua, genocida e ultra devastatrice del vecchio colonialismo, fatto politico totale che mette a nudo l’ipocrisia e l’impostura assoluta della discussione sulla riparazione e sul perdono che i paesi ex-colonialisti pretendono gestire per “pulirsi” la faccia. Peraltro questa questione è particolarmente importante in Italia dove sia la discussione sul passato coloniale sia sul neocolonialismo appare assai marginalizzata se non totalmente ignorata.

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Nella recente intervista con Le Monde, Achille Mbembe sembra dimenticare quello che lui stesso ha chiamato brutalismo e la necropolitica. La domanda cruciale è: quali potrebbero essere i giusti risarcimenti e perdoni che gli stati coloniali dovrebbero assumersi di fronte alle popolazioni vittime della loro colonizzazione e di fronte agli Stati dei paesi ex coloniali senza negoziare l’abolizione del neocolonialismo?

Nell’intervista a Le Monde Achille Mbembe adotta osservazioni, diciamo vaghe e oltremodo moderate, soprattutto rispetto a quanto ha scritto sul Brutalismo (2020). Forse anche perché ha accettato di essere nominato da Macron per preparare il vertice Africa-Francia previsto per ottobre 2021 a Montpellier. Non discuteremo qui questa scelta che appare alquanto inopportuna se non poco coerente visto che di fatto la Francia (di Macron) da tempo non lesina consulenze con le quali pretende edulcorare la sua storia sia rispetto all’Algeria (con il criticato rapporto del celebre storico Benjamin Stora (https://www.internazionale.it/opinione/pascal-blanchard/2021/01/26/francia-algeria-stora) giustamente criticato dallo storico critico del colonialismo Olivier Le Cour Grandmaison (https://blogs.mediapart.fr/olivier-le-cour-grandmaison/blog/280121/sur-le-rapport-de-benjamin-stora-le-conseiller-contre-l-historien), per non parlare della celebrazione di Napoleone che oltre ad essere fanatico guerrafondaio, fra altro ripristinò la schiavitù che era stata abolita dalla rivoluzione insieme alla discriminazione razziale nelle colonie il 28 marzo del 1792e il 4 febbraio del 1794. Fu il primo Stato al mondo ad abolire completamente la tratta degli schiavi, grazie all’opera grandiosa di Toussant Louverture; ma Bonaparte non tardò a ristabilirla nel 1802.

Allora, oltre al contenuto dell’intervista rilasciata da Mbembe a Le Monde si pone anche la questione se sia corretto che un intellettuale critico del potere accetti proposte da un potere che palesemente vuole riverniciare se non addirittura rendere onore al suo passato e soprattutto nega totalmente la sua continuità nel presente. Non riprendiamo qua la lunghissima serie di orrori che la Francia ha commesso dopo la fine ufficiale del colonialismo sia nei rapporti coi paesi suoi ex-colonie, sia nelle operazioni finanziarie e militari in Centrafrica durante i governi delle destre e durante i due settennati di Mitterrand, quello di Hollande e ora quello di Macron.

La questione più importante è: quali potrebbero essere i giusti risarcimenti e perdoni che gli Stati coloniali dovrebbero assumersi nei confronti delle popolazioni vittime della loro colonizzazione e nei confronti degli Stati dei paesi ex coloniali? Si tratta quindi di due questioni distinte perché è fuorviante equiparare la popolazione e le vittime e gli Stati. E’ risaputo che questi ultimi possono cavarsela negoziando risarcimenti monetari e accordi commerciali.

La domanda fondamentale che Mbembe purtroppo non pone (disgraziatamente dimentica di porre?) è che il colonialismo non è affatto finito! Siamo in pieno nel contesto di un neocolonialismo imposto dalla gigantesca asimmetria tra i dominanti (i paesi più ricchi, ma anche i gruppi finanziari e le multinazionali) e i dominati. Questo neocolonialismo è praticato non solo dai paesi ex coloniali e dai loro gruppi dominanti su scala planetaria, ma anche dai paesi che non erano coloniali (ad esempio Cina, Israele, Arabia Saudita ecc.). La ripartizione della ricchezza mondiale mostra che i paesi dominati soprattutto in Africa, in America Latina e Centro America e in Asia sono di fatto ancora più impoveriti, oltre a essere colpiti dall’alta mortalità per fame e assenza di cure elementari e dalle guerre “locali” istigate dai paesi dominanti. Si pensi anche alla diffusione del land e water grabbing. Le delocalizzazioni diffuse in tutti i paesi terzi sono notoriamente realtà di neo-schiavitù e spesso di disastri (ricordiamo fra altri quelli emblematici di Bhopal nel 1984 e quello del Rana Plaza a Dacca nel 2013).

Allora che senso ha parlare solo di riparazione e memoria? Il «debito della vita, della verità e della memoria» – e questo Mbembe lo sa benissimo – questo triplo debito si riproduce ogni giorno a causa del neocolonialismo!

Ecco perché se ci sono delle possibilità per negoziare riparazioni e perdono, si tratterebbe innanzitutto di fermare le pratiche neocoloniali non solo in relazione ai genocidi e alle distruzioni coloniali del passato. E il nuovo genocidio dei migranti da parte della tanatopolitica praticata dai paesi dominanti e in particolare da Frontex è senza dubbio uno dei primi effetti di questo neocolonialismo (vedi il cambiamento radicale delle politiche migratorie: dal lasciar vivere al lasciare morire – dalla biopolitica a sempre più tanatopolitica: https://www.scielo.br/j/remhu/a/gtxsN6kkDpbcHDzyNGGRL3z/).

E’ impensabile che nel caso della Francia – come degli altri paesi neocoloniali – si parli di riparazione e perdono rispetto al passato coloniale dal XIX° secolo sino alla fine del colonialismo (l’indipendenza dell’Algeria fu nel 1962! ma questo paese era territorio francese al pari delle Antille, della Nuova Caledonia ecc. che sono ancora territori francesi) quando questo paese ha continuato e continua a praticare un dominio neocoloniale senza lesinare metodi e mezzi del tutto simili a quelli del “vecchio” colonialismo (strangolamento finanziario, scambi diseguali, invadenza, brutalità e massacri militari diretti e indiretti).

Per certi versi ancora più grave è il caso dell’Italia dove la questione delle devastazioni e dei genocidi delle popolazioni colonizzate da questo paese nel XIX sec. e durante il fascismo è posta molto raramente e di fatto totalmente ignorata dalla stragrande maggioranza della popolazione, dagli insegnanti e dai media al punto che uno dei giornalisti ancora considerato un maestro di questo mestiere era Montanelli, un ex soldato coloniale che diceva che era assolutamente normale aver comprato in Etiopia come moglie (di passaggio) una ragazzina di 12 anni per 500 lire più un cavallo e un fucile. Ma Berlusconi aveva detto che l’Italia aveva pagato il debito di guerra con la Libia durante l’accordo con Gheddafi che era venuto a Roma con le sue tende e il suo enorme seguito.

Nel frattempo, le multinazionali italiane stanno contribuendo largamente a provocare disastri ambientali, economici e sociali in diversi paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina (basti pensare a Benetton in Amazzonia, all’ENI in Libia e altrove, alle esportazioni di armamenti e rifiuti ovunque e recentemente anche in Tunisia. E soprattutto basti pensare al caso emblematico della Somalia: l’Amministrazione Fiduciaria Italiana della Somalia (AFIS), iniziò nel 1950 e terminò nel 1960. Ma militari e uomini d’affari oltre che criminali e servizi segreti italiani hanno continuato a fare e sfare in Somalia… (ricordiamo fra altro l’assassinio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin…). La cosiddetta cooperazione fra Italia e paesi terzi, così come quella di altri paesi dominanti, è sempre stata asservita agli interessi delle multinazionali italiane e spesso diventata promozione della vendita di armamenti italiani. Ed è noto che le missioni militari italiane all’estero coincidano sempre con interessi precisi di imprese e multinazionali italiane.

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