Quest’anno il 25 aprile acquista un significato particolare perché vuole gridare in faccia a un governo – che in parte si richiama idealmente all’esperienza di Salò – che l’Italia non è fascista. Giorgia Meloni è stata eletta – lo ricordiamo – con il 16% dei voti degli aventi diritto. Se nel frattempo si è rafforzata si deve ad una sua indubbia abilità di comunicare e a scelte di governo che potevano essere peggiori dato il quadro geopolitico. Ma soprattutto alla desolante e perdurante mancanza di un progetto di opposizione e di alternativa.

Questo però non esaurisce il discorso sul 25 aprile e sulla Resistenza, dovessero anche le manifestazioni ottenere successo di popolo.

Non mi riferisco al legame che questa scadenza inevitabilmente rimanda alla tragedia palestinese, mi riferisco all’elaborazione della memoria della Resistenza, anzi più in generale all’elaborazione del passato fascista. Un problema dal quale né l’Italia né la Germania riescono a liberarsi e che ritorna periodicamente ogniqualvolta esso ricompare come passaggio ineludibile della coscienza collettiva, se non dell’identità stessa di una nazione.

Oggi è il momento di riportarlo all’attenzione, nella speranza che possa contribuire ad aprire un percorso, un progetto politico, ed evitare che su questo 25 aprile 2024 si abbatta il destino tipico di queste manifestazioni e cioè di essere un una tantum, un evento bello, riuscito, partecipato, ma di cui una settimana dopo non si ricorda più nessuno, con le coscienze che tornano in pace.

Questo tema dell’elaborazione del passato fascista (Aufarbeitung o Bewältigung der Vergangenheit, già affrontato da Adorno nel 1963) ho provato a riportarlo all’attenzione nell’ultimo mio scritto, pubblicato dall’editore Asterios di Trieste pochi giorni prima che mi capitasse il grave infortunio che mi costringe ancora a una lunga riabilitazione.[1] E’ un opuscoletto di nemmeno 100 pagine, dove affronto il problema dell’estremismo di destra nella Repubblica Federale Tedesca e in Italia. Utilizzando anche degli studi comparatistici di storici italiani e tedeschi, mi è sembrato di poter affermare che l’esaltazione della Resistenza come caratterizzazione dell’identità nazionale ha portato ad addossare tutte le responsabilità delle atrocità commesse ai militari tedeschi e ai corpi speciali del nazismo, come se gli Italiani (“brava gente”) non avessero collaborato ai rastrellamenti, alle deportazioni e alle torture. Ha prodotto una forma di autoassoluzione.[2] Mentre la Germania è stata considerata la potenza sconfitta e umiliata, con addosso il peso del genocidio degli ebrei, condannata senza appello, l’Italia è stata considerata una nazione sconfitta a metà, “cobelligerante”, che in parte si è liberata da sola dal fascismo.[3] Se a questo aggiungiamo l’amnistia di Togliatti e l’ammissione del Movimento Sociale alla partecipazione democratica, tollerando che a presiederlo fosse un ex generale, che alcuni storici considerano autore di crimini di guerra in Africa, già Ministro della Difesa della Repubblica di Salò, giungiamo alla conclusione che meglio sarebbe per una corretta elaborazione del passato fascista una martellante politica del ricordo di cosa è stata veramente la guerra di Mussolini. E accanto al 25 aprile ricordassimo: il 10 giugno 1940, data dell’entrata in guerra e dell’aggressione alla Francia (oltre che dell’apertura delle ostilità in Tunisia), il 28 ottobre 1940, inizio della campagna d’aggressione italiana in Yugoslavia, Albania e Grecia e il 13 luglio 1941, inizio della campagna d’aggressione all’Unione Sovietica. Per sottolineare anche “il modo” con cui Mussolini è entrato in guerra, con impreparazione totale sul piano organizzativo e militare, mandando allo sbaraglio le sue truppe che, per quanto si battessero “eroicamente”, non potevano che essere sconfitte, massacrate.

Sono caduti così centinaia di migliaia di soldati italiani per aver aggredito popoli che mai avevano minacciato l’integrità del nostro Paese. Con l’epilogo infamante di quella Repubblica di Salò, che ha trascinato una parte del Paese ad essere complice della Shoah e di combattere fianco a fianco di corpi speciali nazisti, tedeschi, romeni, ucraini, di ustascia croati, protagonisti di nefandezze e barbarie negli ultimi mesi di guerra.

Io sono convinto che le nuove generazioni di queste vicende ne sanno assai poco, eppure è la storia delle loro famiglie, non è la storia di chissà quale parte del mondo. Forse sanno di più delle foibe, cioè di un episodio marginale della storia italiana, se paragonato all’immensa tragedia della WWII. Non sanno che il popolo russo ha pagato con più di venti milioni di morti l’ambizione di Hitler e di Mussolini di voler abbattere il comunismo, non sanno che grazie a quel sacrificio del popolo russo il nazifascismo è stato sconfitto.

E’ proprio il confronto tra un saper fare “politica del ricordo” della Destra di un certo successo, disponendo di un un episodio marginale, come le foibe, e un’incapacità della Sinistra di controbattere disponendo di un atto d’accusa contro Mussolini e il suo regime, senza possibilità di appello per la vastità dei crimini commessi verso il popolo italiano, che mi sento di proporre una campagna martellante di public history, che metta a tacere i nostalgici del Duce e dei suoi metodi. Tra l’altro con quelle tre date (giugno e ottobre 1940, luglio 1941) si rende giustizia al 25 aprile, del perché c’è stata Resistenza.

Per tacere – tra l’altro – del modo in cui Badoglio e il re gettarono nel disorientamento più totale centinaia di migliaia di soldati, consegnandoli ignari in pasto alla vendetta tedesca dopo l’armistizio, dai seicentomila Internati Militari in Germania (tra cui il fratello di mia madre), agli episodi dove l’orrore si mescola al grottesco. Una di quelle storie che ti rimangono ficcate nel cervello, e ti chiedi “ma com’è possibile?” Devo raccontarla.

Corazzata “Roma”, la più moderna, la più potente nave da guerra della flotta italiana, costruita a Trieste, cantieri San Marco. Mio padre disegna una parte dell’impianto elettrico. Varata nel 1940 ma ultimata solo nel 1942, il tempo di portarla alla base navale di La Spezia, in attesa di entrare in servizio subisce un bombardamento che provoca pochi danni. Mesi inspiegabili d’inattività. Luglio 1943 gli angloamericani sbarcano in Sicilia. Primi di settembre, la flotta italiana di stanza a La Spezia viene allertata per bloccare un ventilato sbarco alleato sulla costa tirrenica. Immaginabile l’orgoglio tra le migliaia di marinai e Forze Armate di Battaglia, convinti di andare a difendere il suolo patrio. 8 settembre Badoglio firma l’armistizio, nella notte ai comandi della flotta arriva l’ordine di consegnarsi agli Alleati. Salpano in convoglio le navi, dei tecnici tedeschi a bordo vengono invitati a scendere, solo gli alti comandi sanno la destinazione. E le migliaia di uomini a bordo, sono ignari di tutto? La formazione, con ammiraglia la “Roma”, si deve riunire ad altre navi partite da Genova, la destinazione per tutte è La Maddalena dove si consegneranno agli anglo-americani. Ma poche miglia prima dell’arrivo Supermarina lancia il contrordine, La Maddalena è ancora in mano ai tedeschi (per decifrare ordini e contrordini dei nostri servizi d’intelligence pare ci volesse il suo tempo). Le cronache scrivono che la manovra di conversione viene effettuata dalle undici navi in perfetto ordine. Sono le 14,45 del 9 settembre 1943. Venticinque minuti dopo compaiono nei cieli dei bombardieri tedeschi a 6/7 mila metri d’altezza. Uno sgancia una bomba teleguidata, che perfora lo scafo della “Roma” ed esplode in acqua, poi una seconda che provoca un incendio che si propaga al deposito munizioni. L’esplosione è spaventosa e provoca delle temperature altissime, dei 1393 uomini che perdono la vita, molti saranno orribilmente ustionati. La nave si spezza in due, il relitto scompare negli abissi e non viene più ritrovato.

Fino al 28 giugno 2012, quando dei robot sottomarini riescono a localizzarlo. Il 9 settembre 2023, nell’ottantesimo anniversario, il Presidente Mattarella ha presenziato alla cerimonia in ricordo di quel tragico evento, pronunciando parole chiare sull’”inganno” di cui sono rimaste vittime quei disgraziati. C’era anche Crosetto. Cito dal suo discorso, come riportato sul sito del Ministero della Difesa: Siamo qui, oggi, per portare il dovuto omaggio e perpetrare il ricordo dei 1.393 marinai italiani che trovarono sepoltura in queste acque, 80 anni fa, e – insieme – la perenne memoria di quello che significò per il nostro Paese il viaggio del Gruppo Navale della Regia Marina, ormeggiato a La Spezia, verso La Maddalena”. La stampa, nelle cronache della cerimonia, non ha fatto parola del contesto in cui l’affondamento è avvenuto.

Perché sono morti quei ragazzi? In quale tipologia di narrazione iscriviamo questo evento bellico? Possiamo parlare di eroismo, di patriottismo, di epopea? Sono caduti in una trappola, ignari, come gattini ciechi, ingannati. Da chi? Da Mussolini o da Badoglio? Come si può costruire la coscienza di una nazione da un simile episodio, ai limiti del grottesco, eppure terribilmente vero, un episodio che meglio di altri descrive la condizione generale in cui sono venuti a trovarsi i nostri soldati nella WWII. Ragazzi di vent’anni, come lui, lo zio Giorgio Buffon Fontegher, dolce, mite ragazzo, che mi aveva insegnato ad andare in bicicletta tenendomi per il sellino, caduto a El Ghennadi, Tunisia. “Disperso” aveva comunicato il Ministero della Difesa alla famiglia; sua madre, i suoi fratelli, vissero con l’angoscia di pensare quel corpo senza sepoltura, morso dagli sciacalli del deserto. Poi, quando della famiglia sono rimasto solo io, per puro caso vengo a sapere che i suoi resti sono stati ricomposti e giacciono all’Ossario dei caduti d’Oltremare di Bari.

Forse con questi esempi sono riuscito a spiegarmi, quando parlo di necessità di un’offensiva sul piano dell’elaborazione del passato fascista e sulla politica del ricordo. Anzi, di una controffensiva.

NOTE

[1] Alcune note sulla questione dei ceti medi e dell’estremismo di destra in Italia dal dopoguerra a oggi, Asterios, Trieste 2024, 96 pp..

[2] V. in particolare la raccolta di saggi di storici italiani e tedeschi, Destini incrociati? Italia e Germania tra Otto e Novecento, pubblicata nel 2020 dall’Italienzentrum der Universität Berlin, in particolare il saggio di apertura del prof. D’Onofrio.

[3] Il 13 ottobre 1943 la monarchia e il governo Badoglio dichiaravano guerra alla Germania nazista; la dichiarazione di guerra veniva consegnata personalmente dal consigliere d’ambasciata Pierluigi La Terza all’ambasciatore tedesco a Madrid (v. le sue memorie, P. La Terza, 13 ottobre 1943, Edizioni Milano Nuova 1963).

 

Una versione ridotta di questo testo è uscita ieri, 27 aprile 2024, su il manifesto

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