Il 20 febbraio il decreto Minniti, su sicurezza urbana e decoro, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale. Dal 21 è diventato così legge. Il primo daspo urbano, previsto dalla legge predisposta dal Viminale, è scattato il 2 marzo, all’alba. Dobbiamo puntare il dito verso la terra delle spugnette, dei cleaning day nati da Nessuno tocchi Milano, e del modello ed esperimento del centro sinistra arancione. In Lombardia a Gallarate, in provincia di Varese, è stata emessa la prima ordinanza anti-writer e ubriachi, ma il primato”di daspo” spetta al capoluogo regionale. Sono tre ragazzi spagnoli ad essere stati “esclusi a tempo”, oltre che denunciati a piede libero. Per loro è scattato il divieto di avvicinanrsi alle linee della metropolitana cittadina per 48 ore. Sono stati fermati mentre dipingevano sulla linea Gialla e una volta raggiunti dalla polizia municipale è stato loro notificato il daspo. Sul posto e senza passare dal via. In tripudio l’assessora alla sicurezza Carmela Rozza, che oltre a plaudire al decreto nella sua interezza rivendica una primogenitura di alcuni elementi dello stesso, tanto da dichiarare “La nostra Polizia locale già da anni sperimenta con la Procura elementi che sono stati poi recepiti nel nuovo decreto”. Sorpresa? No. Nessuna, affatto. Dal 3 maggio 2015, con la guida istituzionale al corteo reazionario chiamato “Nessuno Tocchi Milano” e che ha ripercorso, a ritroso, il percorso della No Expo May Day con l’azione di ripulitura di scritte e vetrine infrante qualche ora prima, le giunte, Pisapia e Sala, hanno promosso l’idea che decoro, sicurezza e legalità siano legati e contingenti. Chi vive e milita a Milano già aveva detto che Expo aveva un ruolo: trasformare la città di Milano in una vetrina, e quindi le trasformazioni urbane dovevano rispondere a tale obiettivo così come le politiche sociali e di sicurezza. Allargando il campo potremmo dire che le città devono cambiare per diventare vetrine e attrarre interessi economici e turismo. Non si ammistrano le città nel nome del decoro per renderle accoglienti per tutte e tutti.
Roma e Milano sono antisegnane in questo, forse perchè entrambe hanno ospitato grandi eventi, forse perchè hanno nella loro diversità ruoli fondamentali per il nostro paese e negli equilibri internazionali. L’anticipo giocato dalle due metropoli ci dicono come l’ideologia del decoro non punta a risolvere le problematiche e i conflitti che attraversano lo spazio urbano. Il vero fine è anestetizzate la società e omogeneizzare gusti e cultura per perimetrare città dove è contenuto solo ciò che non disturba l’estrazione di ricchezza, l’investimenti e il turismo. Affrontare i fenomeni di degrado significherebbe affrontare povertà e differenze sociali che nutrono le città. Insistere sul decoro significa escludere poveri e modi altri di vita. Non è quindi un caso che il decreto Minniti, per la prima volta, leghi sicurezza, decoro e legalità.
Il primo comma dell’articolo 4 dice tutto “Ai fini del presente decreto, si intende per sicurezza urbana il bene pubblico che afferisce alla vivibilita’ e al decoro delle citta’, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree o dei siti piu’ degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalita’ e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalita’, in particolare di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalita’ e l’affermazione di piu’ elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile.“
Se abbiamo visto negli anni un passaggio dalla “società della disciplina” alla “società del controllo sociale”, il decreto Minniti mostra come controllo sociale e disciplina oggi tornino a parlarsi nell’ossessiva ricerca di ordine da parte del potere economico e politico.
Se nel nome della sicurezza si è stati disposti a cedere libertà e spazi pubblici, oggi nel nome del decoro si è pronti ad escludere chi ha un modo di vivere la città e lo spazio pubblico in maniera meno “moralista”.
Da una parte quindi uno costruzione culturale di una società “a modo” quindi “auto-controllata”, dall’altra dispositivi repressivi che educhino (o escludano) chi non è decoroso. Azzerare lo spazio pubblico e le occassioni di condivisione e socializzazione. Davanti all’accelerazione violenta di processi economi di impoverimento, e la predizione della NATO per cui nel prossimo futuro le guerre si svilupperanno all’interno delle città la stesura di dispositivo di limitazione delle libertà e che permettano una rapida scesa in campo di forze di polizia e militari non paiono casuali.
Decoro, da dizionario, significa “dignità che nell’aspetto, nei modi, nell’agire, è conveniente”. La dicotomia degrado/decoro non ha radici nella lingua italiana. Decoro infatti non è il contrario di degrado. Il contrario di degrado è miglioramento. Creando e insistendo sulla dicotomia si sono così giustificate politiche aggressive, per lo più culturali. L’immediato ci dice che per rifiutare l’asse decoro/sicurezza/legalità occorre ridefinire i termini e rifiutare strumentali costrutti immagininifici. Il decoro è concetto idelogizzato oltre che con forte significato moralista, non è un termine casuale e da le linee teoriche alle politiche della legalità. Infatti leggendo il decreto pare che chi mette a rischio la sicurezze, nonché chi evade la legalità, è chi lede il “decoro urbano” (elemento soggettivo come il gusto) cioè writer, mendicanti, meretrici, occupanti di case e spazi, manifestanti, e chi vive le strade, e non i locali, consumando droghe e alcool. Una vera e propria lista di proscrizione per città dove conflitti sociali, attivisti sociali, poveri e modi altri di vivere siano assenti ed esclusi.
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