È ormai largamente provato che il coronavirus colpisce (talora letalmente) persone di età anziana in maniera quasi esclusiva. Persone che hanno meno di quarant’anni non compaiono ch’io sappia negli elenchi dei decessi e sono rare seppur non rarissime negli elenchi dei contagiati.

Eppure, quasi in tutto il mondo, i ragazzi e le ragazze hanno rinunciato alla scuola e hanno accettato le regole della detenzione sanitaria obbligatoria (DSO).

Cioè hanno rinunciato alle due cose più importanti per una persona in età giovanile, hanno rinunciato al piacere di incontrarsi, di studiare insieme, di corteggiarsi, di far l’amore e così via.

Perché l’hanno fatto? L’hanno fatto per non ammazzare il nonno asmatico o il padre cardiopatico. Bravi bravissimi, in quanto nonno asmatico non so come ringraziarvi. 

La mia generazione che aveva venti anni cinquant’anni fa non avrebbe mai accettato queste condizioni di detenzione sanitaria. Siccome non eravamo dei mascalzoni come si dice in giro, ci saremmo preoccupati della salute di mamma e papà, ma per non infettarli  avremmo fatto certamente un’altra cosa: ce ne saremmo andati tutti da casa, avremmo moltiplicato le comuni di convivenza, avremmo occupato facoltà, scuole fabbriche e chiese, le avremmo difese col fuoco se necessario, e ci saremo divertiti come pazzi mentre qualche nonno se ne andava al creatore.

Cosa vuol dire questo?

In primo luogo vuol dire che noi settantenni dovremmo ringraziare la generazione giovane per averci risparmiato, invece di berciare come fanno molti miei coetanei inaciditi che credono di avere il diritto di misurare i centimetri di distanziamento a chi avrebbe tutte le ragioni di ammazzarci visto che siamo noi che abbiamo permesso alla Thatcher e a Blair e ai loro imitatori di distruggere le difese immunitarie, ambientali, sociali che hanno aperto la strada al virus gerontocida. Grazie ragazzi per avermi risparmiato.

Ma in secondo luogo vuol dire che la nuova generazione, nella sua grande generalità, non ha molte speranze di prendere in mano il proprio futuro, non ha molte speranze di autonomia politica e forse neppure esistenziale. 

Se hanno accettato la detenzione sanitaria, se non sono stati capaci di andarsene, di costruire una forma di vita autonoma in questo periodo, accetteranno qualsiasi altra angheria che il mondo gli prepara. E se la generazione che è cresciuta nell’epoca proto-digitale è stata psico-culturalmente avvolta in una dimensione di psicosi panico-depressiva, la generazione che cresce nell’epoca pandemica omni-digitale sarà molto probabilmente affetta da una forma massiva di autismo, di auto-reclusione psichica, di sensibilizzazione fobica alla presenza dell’altro.

Temo che il sistema psico-immunitario dell’epoca proto-digitale sia stato per decenni penetrato e neutralizzato dall’info-virus, molto tempo prima che il bio-virus si infiltrasse a distruggere ogni autonomia sociale. Irrimediabilmente.

Mi dice un amico psichiatra che in questi giorni telefonano moltissime persone che hanno bisogno di aiuto. La grande maggioranza di questi sono giovani, o giovanissimi. Nella zona in cui opera il mio amico il numero di suicidi (tutti o quasi giovanili) è quasi triplicato rispetto alla media del passato. Le crisi di panico dilagano. La claustrofobia si alterna all’agorafobia, il terrore di dover uscire di casa per tornare là fuori nel mondo dove alligna un nemico invisibile.

Se fossi uno psichiatra (e grazie a dio non lo sono) azzarderei da subito una diagnosi: l’Edipo si è ingigantito, e assume forme psicopatiche. Il Super Io è diventato un vecchiaccio sadico al quale il giovinetto si inchina tremebondo.

Alexitimia: incapacità di elaborare e verbalizzare le emozioni.

Autismo: incapacità di immaginare l’altro come possibile oggetto di comunicazione e di desiderio.

Sensibilizzazione fobica al corpo dell’altro, alle labbra, che d’ora in avanti saranno nascoste per sempre come pudenda pericolose.

Come ha potuto svilupparsi un simile quadro psicopatologico?

Se fossi uno psichiatra direi che le condizioni per una simile mostruosa evoluzione erano tutte presenti nella psicogenesi della generazione che ha imparato più parole da una macchina che dalla mamma.

Quando è esplosa la pandemia, ecco allora che il potere (del tutto impotente contro il virus, del tutto impotente contro gli automatismi tecno-finanziari che nel frattempo hanno fatto naufragio) ha compiuto un’operazione geniale (e involontaria, naturalmente, perché il potere non è una volontà ma una concatenazione di automatismi e di intenzioni inconsapevoli).

Il potere ha compiuto un’operazione che consiste nel colpevolizzare la società usando l’arma sanitaria, e rovesciando la reciprocità affettuosa in una sorta di labirinto delle colpevolizzazioni.

La chiamano responsabilità, ma io la chiamo in un’altra maniera: scarica-barile psicopatogeno. Quelli che hanno distrutto il sistema sanitario pubblico e molte altre cose, ci hanno detto: state tutti a casa, non muovetevi, altrimenti ammazzate la nonna. Lavorate moltissimo davanti a uno schermo, non chiedete aumenti di salario, accontentatevi di quello che passa il convento, altrimenti crolla l’economia.

Il giovanetto che ha appreso più parole da una macchina che dalla mamma c’è caduto come una pera marcia, e si contorce adesso sul divano in preda ai sensi di colpa, e digita come un idiota sulla tastiera che tutti debbono essere responsabili come sardine.

Non ne usciranno mai, mi dispiace dovervelo dire.

Se escono è per andarsi a fare una birretta, indispettendo il settantenne antifascista e poliziesco. Una birretta, capito?

 

Immagine di apertura: Dino Fracchia, Parco Lambro, 29 maggio 1975