In questa settimana, il conflitto sulla logistica è ripreso. All’Ikea di Piacenza, a seguito dei licenziamenti di alcuni facchini del sindacato Sin-Cobas, sono cominciati blocchi con cariche della polizia. Pubblichiamo un’analisi del settore della logistica e della lotta in corso da parte di chi la vive quotidianamente, anche per avviare una discussione critica in merito.

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Cerchiamo di definire i tratti del movimento della logistica-facchinaggio. All’indomani dell’ennesima giornata di scontri davanti al magazzino IKEA di Piacenza, può essere un esercizio utile a orientarci e a muoverci con maggiore sicurezza all’interno dell’arcipelago delle resistenze che si sta delineando nel nostro paese.

1.    Nell’odierna società capitalista la logistica è un settore che ha ormai acquisito una centralità indiscussa. Potremmo dire che la logistica è in realtà da sempre un pilastro del modo di produzione capitalistico, intendendo le parole “modo di produzione” in un’accezione larga che non si riferisce solamente alla produzione materiale di beni ma alla produzione di profitto -in ultima analisi il vero “prodotto” di cui si alimenta il capitalismo stesso- cui è necessario lo spostamento delle merci e dei beni prodotti. Un grande contributo per comprendere meglio l’importanza della logistica nell’economia contemporanea ci arriva da un classico dell’economia critica. Marx, mentre dedica il primo libro del Capitale alla descrizione del pluslavoro, si concentra nel secondo libro sul processo di circolazione successivo al processo di produzione. Esso porta sulla scena una nuova variabile di valorizzazione, il coefficiente di rotazione del capitale. Il ragionamento può essere intuitivo: il processo di valorizzazione (pluslavoro-plusvalore-profitto) si sviluppa nel tempo secondo una successione necessaria di fasi che vanno, premesso un certo ammontare di denaro iniziale, dall’acquisto dei fattori produttivi (mezzi di produzione e forza-lavoro) al realizzo in denaro delle merci prodotte: Denaro = (Forze-lavoro+Mezzi di produzione) > Produzione >  Merci = (Denaro+Plusvalore) à D-  M – D’. All’interno di questo processo domina naturalmente il tempo di produzione durante il quale vengono prodotte materialmente le merci. Ma pure le fasi a monte e a valle di questo processo di lavoro richiedono tempo (oltre che impegno e attività),  un tempo durante il quale il capitale non si accresce direttamente di valore non essendo sottoposto ad alcun processo di trasformazione immediato, ma soltanto ad operazioni commerciali che, nelle condizioni ideali di mercato che vengono presupposte dalla teoria, si svolgono a condizioni di scambio equivalente. Così il capitale vi ristagna poco produttivamente, anche se necessariamente. In effetti, come va speso tempo d’investimento per trasformare il denaro iniziale in mezzi di produzione e forza-lavoro, così va dedicato tempo di vendita per le merci prodotte ed il tempo complessivo necessario a queste due attività supplementari alla produzione diretta, che si distinguono da essa perché improduttive, in modo diretto, di pluslavoro, è denominato da Marx tempo di circolazione. Sommandosi al tempo di produzione, il tutto costituisce il tempo di rotazione del capitale, che misura quanto tempo è necessario affinché un certo denaro anticipato alla produzione si trasformi in maggior denaro capace di ricominciare un altro ciclo di valorizzazione. Si comprende immediatamente come la lunghezza di questo tempo di rotazione condizioni il numero delle volte in cui un capitale può ripetere il suo percorso di valorizzazione entro una certa unità di tempo.

2.    La logistica è andata nel nostro paese organizzandosi attorno al modello del lavoro cooperativo. Il lavoro all’interno degli stabilimenti logistici è infatti in massima parte appaltato a imprese cooperative. In materia di diritto del lavoro e relazioni industriali esistono storiche diffidenze tra il movimento cooperativo e il Sindacato che sorgono innanzitutto dalla diversa visione della tutela del lavoratore: per le organizzazioni cooperative la stessa è da ricercarsi prevalentemente negli strumenti proprietari e associativi, per il Sindacato al contrario lo strumento principe sono i contratti . Come vedremo, questo differenza di visioni è tanto più accentuata nel nostro particolare ambito di studio, per una serie di peculiarità della manodopera (nella quasi totalità immigrata) e delle cooperative (in massima parte spurie, quindi non affiliate a leghe e svincolate da eventuali codici etici sino al punto da poter rientrare a pieno titolo fra le cosiddette “cooperative di comodo”). La legge di riferimento in materia di cooperazione rimane la 142/2001, che interpreta il rapporto mutualistico fra soci delle cooperative come prestazione di attività lavorative. Stando alla legge, i soci: a) concorrono alla gestione dell’impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e della struttura di direzione, b) partecipano all’elaborazione di programmi di sviluppo, c) contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d’impresa nonché ai risultati economici.

3.     La novità più eclatante subentrata con la 142/2001 risiede probabilmente nel 1° comma dell’ art. 3, laddove si dispone esplicitamente che, nei confronti dei soci che hanno esercitato l’opzione per il lavoro dipendente, debba essere garantito un trattamento proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato “e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore (CCNL) o della categoria affine”. Si arriva quindi ad una situazione singolare, per certi versi paradossale, in cui i lavoratori non soci (che dovrebbero essere più tutelati, stante la loro posizione esclusivamente subordinata) non dispongono ex lege di una garanzia retributiva (cioè il trattamento economico non inferiore ai CCNL), potendo arrivare al limite al riconoscimento del “minimo costituzionale” ex art. 36 Cost., che come si diceva non sempre coincide con il “Minimo contrattuale”.

4.    Rispetto alla 142/2001 abbondano i casi di palese violazione: basti pensare che in quasi tutte le cooperative non vengono effettuate le assemblee dei soci in merito all’elezione degli organi dirigenti e nemmeno si decidono le scelte strategiche della cooperativa. Le pochissime cooperative che svolgono le assemblee le convocano ad orari, o in luoghi, impossibili per i loro soci. Inoltre le cooperative sono composte quasi esclusivamente da lavoratori stranieri che conoscono a malapena l’italiano ed in queste assemblee vengono