Sento dolore.

Quattro giorni fa la Turchia è stata testimone di un attacco suicida disumano che ha ucciso 31 giovani attivisti e ne ha feriti altri 104 nel centro culturale di Suruc. Sento una profonda pena se penso alla loro morte, così giovani e entusiasti. Erano attivisti come me, ma avevano il coraggio di fare ciò che io ho appena il coraggio di descrivere.
Questi membri della Federazione dei Giovani Socialisti arrivavano da regioni diverse della Turchia. Stavano andando a portare solidarietà attiva alla rivoluzione di Rojava ora al suo terzo anno per aiutare la costruzione della città di Kobane distrutta durante la guerra con Isis. Stavano portando scatole di giocattoli per un parco giochi per bambini, scatole di libri per costruire una biblioteca, e piccoli alberti per farne un parco. Quando la bomba è esplosa, si trovavano dietro a uno striscione che diceva “L’abbiamo difesa insieme, la costruiremo insieme”. Giocattoli, libri, alberi, uno striscione collettivo… quanto pericolosi potevano essere?

Sento rabbia.

La mia rabbia è diretta contro coloro che li consideravano un pericolo. Rappresentavano un pericolo perché volevano la pace in Kurdistan, rappresentavano un pericolo perché credevano nella rivoluzione di Rojava, rappresentavano un pericolo perché volevano trasformare in realtà la solidarietà oltre i confini.

Rappresentavano un pericolo perché erano parte di una giovane generazione di straordinario cuore e coraggio. Esattamente per questo sono stati massacrati dentro i confini del loro stesso paese. Esattamente per questo lo stato Turco ha deciso di non indire una giornata di commemorazione per le loro 31 anime uccise.

Sento vergogna.

Sebbene il Presidente Erdogan e il Primo Ministro Davutoglu lo negheranno con forza, ci sono report, interviste e video a documentare la collaborazione dello stato turco con Isis. La Turchia ha deciso di fingere di non vedere la sequela di giovani militanti che attraversano il confine per entrare nelle fila dell’Isis, quando non li ha aiutati a entrare.

Ha deciso di fingere di non vedere i loro campi di addestramento e i luoghi in cui i militanti di Isis si incontrano a Istanbul e in molte altre città turche. Ha deciso di non vedere il traffico di armi dell’Isis in Turchia, quando non li ha aiutati a riempire interi automezzi di armi con la scusa di spedire aiuti umanitari per i turcomanni in Siria. Ha deciso di non vedere ciò che avveniva in Rojava (la regione che include tre cantoni autonomi nel Kurdistan siriano) nella speranza che lo spirito di democrazia, di uguaglianza e di libertà che sta nascendo nel centro di queste terre principalmente curde, ma profondamente inter-religiose, inter-etniche e miste, non si diffonda in Turchia. Ha finto di non vedere gli attacchi dell’Isis contro Kobane (uno dei cantoni della Rojava), quando non li ha addirittura incentivati, con la speranza di indebolire il movimento di resistenza guidato dal PYD, la branca siriana del PKK.

Nello stesso tempo, le autorità turche hanno impedito ad altri volontari e giovani curdi di attraversare i confini per recarsi a Kobane. Hanno attaccato coloro che protestavano per Kobane, sino a uccidere 19 persone nell’Ottobre 2014.

E in ultima analisi, hanno deciso di non proteggere gli attivisti di Suruc da un attacco omicida.

Sono preoccupata.

La Turchia si sta muovendo su un crinale pericoloso. Le politiche intrusive a lungo criticate del governo di AKP in Siria iniziano a mostrare le proprie conseguenze e l’Isis ha portato la guerra dalla Siria direttamente in Turchia. Sebbene Erdogan e Davutoglu abbiano condannato l’attacco di Suruc, ancora esitano a mettere l’Isis all’interno della loro agenda politica, mentre continuano a inserire il PKK, PYD e Isis nella stessa categoria di “terrorismo” giustificandolo con il cliché che si tratta “di terrorismo a prescindere dal luogo in cui nasce”. Sono pronti a sacrificare una tregua con il PKK che potrebbe mettere fine a decenni di violenza nel paese piuttosto che guidare una opposizione contro le forze dell’Isis o cooperare con i curdi del Grande Kurdistan.

Non dimentichiamoci che la ragione per cui il movimento curdo è stato intrappolato per quarant’anni in una ribellione militare, etnica e violenta è stata la politica di uno stato di polizia intollerante e coercitivo contro l’identità curda. È stata l’impossibilità di manifestare la propria opposizione all’interno di un quadro legale che ha spinto i curdi della Turchia a pensare che non ci fosse altra via d’uscita.

Il potere crescente del partito curdo di sinistra HDP e il suo successo nelle elezioni del mese scorso sono la dimostrazione della sua capacità di trasformare il movimento di opposizione curdo da un movimento radicale e nazionalista a un movimento democratico e plurale capace di dialogo e negoziazione. E pertanto non è molto difficile concluderne che il massacro dell’Isis a Suruc è stato un attacco contro quei movimenti plurali e di sinistra in Kurdistan che sono stati capaci di sfidare la politica identitaria in Turchia e in quei paesi del Medio-Oriente che a lungo si sono definiti solo in base alle nozioni di razza e di religione.

Ho paura.

Ho paura che coloro che in Turchia non esitano a definire gli attivisti di Suruc come “traditori” non si fermeranno sino a che la Turchia non sarà profondamente lacerata in un bagno di sangue. Il mostro fascista sta crescendo ancora e si nutre di odio. E il fascismo non sono solo le bombe esplose lunedì. Il fascismo è sulla mia pagina facebook, è sul giornale che leggo è nelle strade del mio paese. Il mostro vuole massacrare coloro che diffondono nel mondo semi di pace e di solidarietà, vuole attaccare la libertà che sta nascendo da Rojava a Suruc e da Suruc al resto della Turchia e oltre la Turchia.

Ma voglio avere speranza.

Lo devo e lo dobbiamo a quelle giovani vittime di Suruc e a tutti coloro che sono morti per la giustizia nelle terre del Medio Oriente. Loro lottavano per costruire una terra realmente democratica e pacifica in questa regione nonostante l’ignoranza di molti in Occidente. E noi abbiamo molto da imparare dal loro coraggio e dalla loro solidarietà.
Originariamente pubblicato qui.

Traduzione a cura di Francesca Coin

Print Friendly, PDF & Email