L’anno scorso, nelle acampade studentesche in università contro il genocidio in Palestina, la parola più forte era liberazione. Nell’Europa nazi-fascista di oggi, dove sono tornate di moda la censura, il carcere per il dissenso e le deportazioni, torniamo a riflettere sulla storia della resistenza e dei movimenti di liberazione.

In un mondo razzista, dove si cerca di spegnere le fiamme con i razzi, i movimenti climatici stanno comprendendo che il problema non è il “clima”, ma il capitalismo. Greta Thunberg, Andreas Malm, Just Stop Oil, eco-anarchici, eco-autonomi, End Fossil: molte delle grandi famiglie europee che si sono battute contro il capitalismo fossile si sono schierate per la lotta di liberazione palestinese, saldando l’eco-attivismo con l’anti-imperialismo. Il mondo non si raffredda se non fermiamo il progetto coloniale.

Di queste e altre convergenze parla il nuovo libro di Climaximo, ALL IN: come organizziamo la lotta a livello globale?

Sinan Eden e Mariana Rodrigues, attivist* e teoric* dei movimenti per la giustizia climatica impegnati nel collettivo portoghese Climáximo, propongono con All In un’opera che non si limita a denunciare la crisi ecologica, ma che tenta di tracciare una strategia concreta per un cambiamento sistemico. Il libro affronta il nodo cruciale della nostra epoca: la necessità di superare l’indignazione e la resistenza dispersa per costruire una visione strategica capace di incidere a livello globale.

Negli ultimi decenni l’eco-attivismo ha attraversato diverse fasi, articolandosi in movimenti di massa con un impatto mediatico crescente e sperimentando differenti modelli di lotta e insurrezione. Tuttavia, il capitalismo fossile e gli apparati governativi nazionali hanno saputo rispondere con una doppia strategia, alternando meccanismi di addomesticamento a un crescente livello di repressione. Mentre le istituzioni internazionali si appropriavano del linguaggio della transizione ecologica, il comparto industriale fossile continuava a dettare l’agenda climatica globale attraverso le COP, vendendo la narrazione neoliberale secondo cui il mercato stesso sarebbe stato il motore della transizione verde e trovando nella crisi ecologica un’opportunità per rilanciare la crescita economica. Questa illusione ha portato al più grande fallimento della nostra epoca.

Gli effetti di questo realismo capitalista sono oggi davanti agli occhi di tutti. Dall’inizio del nuovo millennio il capitale ha promesso di saper ridurre le emissioni, ma in realtà non si è mai bruciato tanto petrolio. La curva dei consumi fossili, delle emissioni e degli ecocidi ha continuato a crescere in modo esponenziale. Parallelamente, le nuove guerre del capitalismo globalizzato e multipolare hanno generato crisi energetiche su vasta scala, alimentando economie inflazioniste e rendendo sempre meno centrale l’agenda della transizione ecologica. Risultato: gli attivisti sono in galera e trattati da terrorirsti, i governi sono fascisti, la terra brucia, l’ossessione coloniale per un regime di aparthaid  è ritornata di moda, mentre gli unici a fare profitti sicuri sono l’industria fossile e quella della sicurezza tech e bellica.

Il libro ci costringe a porci una domanda fondamentale: cosa è andato storto? Eden e Rodrigues partono dalla constatazione di un fallimento. Il movimento climatico ha ottenuto crescente visibilità, ma non è riuscito a costruire la forza politica necessaria per un vero cambiamento. Gli autori denunciano i limiti di una mobilitazione che si è fermata alla denuncia del capitalismo come male assoluto, senza dotarsi di strumenti concreti per superarlo. Attraverso un’analisi storica solida e ben documentata, il libro collega la crisi climatica alla traiettoria del capitalismo globale e alla disgregazione della sinistra anticapitalista dopo il 1989. Secondo Eden e Rodrigues, uno dei punti deboli dell’attivismo contemporaneo è l’assenza di un’organizzazione internazionale capace di incidere sui veri centri di potere.

Uno degli aspetti più interessanti del libro è la critica ai cosiddetti “movimenti di piccola calmierazione del collasso”, che finiscono per legittimare il consenso neoliberale invece di rovesciarlo. Gli autori mettono in luce come il pensiero neoliberale abbia inglobato molte delle pratiche dei movimenti sociali, spingendoli verso un’azione incrementale e adattativa anziché trasformativa. Rifiutano l’idea che tutte le strategie siano complementari e insistono sulla necessità di una rottura sistemica. Senza un salto qualitativo nella lotta, ogni azione parziale finisce per essere funzionale alla riproduzione del capitalismo stesso.

Uno dei concetti chiave del libro è la “teoria del cambiamento” applicata ai movimenti. Eden e Rodrigues tracciano un’evoluzione della strategia rivoluzionaria, dall’occupazione dello Stato alla costruzione di ecosistemi di movimento, fino alla definizione di modelli di azione basati su eventi trigger e mobilitazioni di massa. Ma avvertono che questa logica, se non coordinata a livello internazionale, rischia di rimanere inefficace. Per questo insistono sulla necessità di costruire un piano globale, superando la frammentazione tra movimenti territoriali e strutture politiche. Il libro esplora diverse modalità di lotta, analizzando il modello “dentro il sistema” di gruppi come Just Stop Oil e Letzte Generation, il modello “fuori dal sistema” di Les Soulèvements de la Terre, e infine il modello “di rottura” proposto da Climáximo e da altri movimenti anticapitalisti. Gli autori spingono per la costruzione di un ecosistema di movimenti che condividano una visione rivoluzionaria, capace di coordinarsi a livello internazionale e articolare scenari di trasformazione.

Un’altra intuizione fondamentale del libro è la necessità di superare il localismo. Come abbiamo condiviso nella comune iniziativa del World Congress for Climate Justice che abbiamo organizzato a Milano nel 2023, e in cui tutti i movimenti menzionati erano presenti e convergenti, l’autore sottolinea che l’attivismo territoriale spesso non considera che il potere decisionale è ormai globalizzato e nelle mani delle corporazioni. Di fronte a questa realtà, i movimenti devono riconfigurarsi, adottando strategie che vadano oltre le singole nazioni e costruendo alleanze capaci di incidere a livello planetario.

Il cuore della proposta di Eden e Rodrigues è un nuovo realismo climatico. Non basta dire “System Change, not Climate Change”, bisogna pianificare la vittoria. Gli autori propongono un’azione strategica che combini mobilitazione di massa, disobbedienza civile, costruzione di alternative economiche e, soprattutto, un coordinamento internazionale. Il libro suggerisce anche la necessità di un “Disarmament Plan” e di un “Peace Plan”, riconoscendo che la crisi climatica non è separata dalle guerre e dalla violenza strutturale del capitalismo.

Ma la domanda cruciale, che io farei agli autori, rimane quali forze possiamo effettivamente mettere in campo. I movimenti rivoluzionari anti-imperialisti, dopo la conferenza di Bandung, hanno potuto esprimere un fronte terzomondista ampio che aspirava a un futuro di liberazione anticapitalista e anticoloniale, posizionandosi su una terza via alternativa al capitalismo occidentale e alla Russia stalinista. Questa fase storica è stata però stroncata dal capitale statunitense con il colpo di Stato in Cile, con l’invenzione del Fondo Monetario Internazionale come strumento di ricatto del debito e con l’avvio della globalizzazione neoliberale. Oggi lo scenario è completamente diverso, perché molte delle aree che un tempo facevano parte del cosiddetto Terzo Mondo sono emerse come potenze capitaliste a tutti gli effetti. La globalizzazione del capitale ha fatto sì che non esistano più progetti nazionali anticapitalisti significativi e lo stesso “campismo” è rimasto un patetico esercizio di boomer nostalgici.

Proprio per questo, chi come noi proviene dalla tradizione dell’autonomia post-operaista italiana si è posto la domanda di come la cooperazione sociale, dentro e contro il capitalismo, possa essere un movimento istituente di uno spazio comune. Non si tratta più di immaginare una presa del potere statuale, ma di confederare esperienze concrete di alternativa, costruendo infrastrutture autonome globali che vadano al di là dello Stato-nazione e contro il capitale.

All In è un libro ambizioso e necessario. Non si limita a teorizzare, ma invita all’azione concreta, offrendo strumenti di analisi e strategie operative. Eden e Rodrigues hanno il merito di spingere il dibattito climatico oltre le narrazioni colpevolizzanti e le soluzioni tecnocratiche, proponendo un modello di lotta che tiene insieme radicalità e organizzazione. Il loro libro non è solo una critica, ma un appello a costruire un’alternativa reale, con la consapevolezza che il tempo a disposizione è ormai ridotto all’osso.