Stolto è chi non vede
La giovanezza come ha ratte l’ale
(Giacomo Leopardi)
Per il 30 maggio 1968 era prevista l’inaugurazione della XIV Triennale milanese, sul tema del Grande Numero, inteso, secondo gli organizzatori, come progetto in grado di incanalare il cambiamento grazie a un razionale processo di analisi e sintesi. Ma le cose andarono diversamente. Operai, studenti e artisti occuparono la sede della Mostra, travolgendo inaspettatamente le autorità e la polizia. I contestatori rimasero fino al 9 giugno, ma la Triennale riaprì solo il 23 del mese, in forma diversa e ridotta.
Fra i manifestanti c’era Paolo Baratella, che si apprestava a compiere 33 anni; e conobbe così, insieme, la gioia della rivolta e l’emozione di un sia pur breve arresto. Con lui c’erano i suoi amici pittori, quelli dell’esposizione alla Galleria del Grattacielo (Enzo Pagani, 1967): Umberto Mariani, Fernando De Filippi, Giangiacomo Spadari. Paolo non se la sarebbe persa per niente al mondo un’occasione simile.
Nato a Bologna nel 1935, ma cresciuto a Ferrara nella bottega del padre sarto, Baratella cominciò prestissimo a dipingere, con passione, irrequieto, sempre infastidito dalle convenzioni e dai limiti. A Milano arrivò nel 1959, già con una solida preparazione artistica, curioso e pronto a cogliere gli elementi di novità che si andavano sviluppando. Quando il 27 ottobre 1962 fu ucciso dalla polizia lo studente di medicina Giovanni Ardizzone, mentre manifestava in Piazza Duomo per la pace e contro il blocco navale americano a Cuba, la sua rabbia politica crebbe a dismisura, diventò quasi incontenibile. Eppure Paolo era al tempo stesso fragile, schivo. Nel 1964 nacque Silvia, ma il suo matrimonio era ormai a pezzi; così scappò ospite dei galleristi tedeschi che stravedevano per lui. Poco dopo tornò impaurito da una denuncia di abbandono del tetto coniugale che lo aveva raggiunto all’estero, e ne rischiò di ben più pesanti frequentando i ribelli della metropoli lombarda di cui aveva bisogno fisico per coltivare l’arte. La contraddizione era il suo pane. Negli anni caldi dipingeva non solo opere di gran formato su commissione (di clienti ne aveva eccome!), ma anche quadri davvero enormi nei quali scatenava il suo talento: ispirato al grido operaio e studentesco Vogliamo tutto! compose una serie di tele tematicamente congiunte, lunghe, insieme, circa 23 metri con titolo Vorrei e non vorrei. Per esporla ci volle l’ospitalità del Castello di Bard, e bisogna dire che in quel contesto il risultato fu incredibilmente suggestivo.
In quegli anni di impegno artistico e politico ci fu il sequestro, in Francia, di un suo dittico giudicato immorale e scandaloso; durante il sequestro l’opera subì i colpi dell’acido muriatico e la vicenda si concluse con un rogo-happening in piazza a Brive La Gaillarde. Metteva alla berlina il neoconsumismo con le serie di Urlo, o ancora Sarà una risata che vi seppellirà, Naufragio (con un ironico autoritratto sulla gabbia di avvistamento della nave in preda alla tempesta), Vita morte e miracoli di Joe Ditale, e tanti altri. Paolo era disponibile, regalava le sue cose ai compagni, non negava il pennello o la matita alle riviste di movimento. A lui si debbono diverse copertine di Controinformazione ma anche un acrilico per Azione libertaria e perfino una bellissima composizione che troneggiava nella libreria Calusca sopra la testa di Primo Moroni. Meno nota una cartella di dieci manifesti (cm. 100×75) del 1977 chiamata I dieci comandamenti del potere ovvero da Grosz alla crisi dello stato borghese serigrafata in 30 copie; si era sparsa la voce che la polizia stava per dar corso a perquisizioni e nell’agitazione pensò di distruggere questo lavoro. Cambiò idea, si mise anzi a ritoccare ogni foglio così che alla fine ogni cartella sopravvissuta (neppure lui ricordava quante) aveva colorazioni diverse. Il nostro era geniale e anche, per fortuna, un po’ matto.
Durante gli ultimi vent’anni del secolo scorso Baratella insegnò a Brera, tornò (questa volta senza occuparla) alla Triennale (la XVIII nel 1992: vita tecnologia e ambiente), mangiò in trattoria, frequento vecchi amici e si dedicò alla sua preziosa compagna di vita, restauratrice di notevole talento, Giovanna Belluomini. Quando lei ebbe la sorte di scoprire e riaggiustare i frammenti di un probabile Bosch a Chiaravalle Milanese Paolo usò le polveri di scarto per inventare una straordinaria parte mancante.
Negli ultimi anni viveva fra Cuccaro Monferrato e Lucca, a Milano veniva sempre meno; i suoi dipinti di questo secolo sono più onirici, ma nei ranghi Paolo non è mai rientrato, fino a quando il 3 marzo 2023 se ne è andato, ironico, in punta di piedi, salutandoci con quel suo sorriso beffardo che non lo abbandonava mai, accentuato dall’occhio destro che non accettò mai di entrare in sintonia con il sinistro, ma stava socchiuso, per conto proprio, non omologabile come il corpo che lo ospitava.
Immagine in apertura, dipinto di Paolo Baratella: “Che fare?”.
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