Nel mondo ci sono più di 50 conflitti, tra cui ricordo quelli in Nigeria, Birmania, Palestina e Israele, Afghanistan, Siria, Etiopia e Yemen, ma nessun conflitto come quello in Ucraina divide e interroga. Non solo divide le coscienze, in realtà poco perché prevale la denunzia alla Russia, ma restituisce un senso di insicurezza e prospettiva che nessun’altra guerra è mai riuscita a sollevare. Guerre per procura ce ne sono state tante, ricordo per esempio in Etiopia e Somalia, ma questa guerra in Ucraina appare come una sorta di spartiacque e capace di riscrivere la geografia economica. Tra tutti gli attori (Russia, US, Cina ed Europa), l’anello sacrificale sembra essere l’Europa (Marcello Messori, 19 maggio 2022, Il sole 24 ore). In effetti, gli effetti economici legati alla guerra in corso travalicano gli interessi dei diretti contendenti e non sembrano congiunturali. Si pensi alla crescita dell’inflazione che, tra le altre cose, non è uguale per tutti i Paesi e non ha la stessa matrice. Quella US, per esempio, è una inflazione che appartiene all’andamento della domanda, mentre quella europea è una inflazione che si genera nell’approvvigionamento delle materie prime. Inoltre, anche l’impatto dell’inflazione in Europa, sia essa al consumo e/o alla produzione, restituisce la divisione del lavoro interna nell’area euro: più contenuta in Germania e più alta nei paesi “periferici”.

In sostanza, la prima inflazione (US) può essere assorbita con un lieve aumento dei tassi di interesse, la seconda (EU) necessita invece di una politica economica efficace in quanto i livelli occupazionali e reddituali non concorrono in nessun modo all’aumento dei prezzi. Le stesse prospettive economiche divergono tra le diverse aree economiche, mentre l’approvvigionamento delle risorse strategiche da Russia e Ucraina amplificano e consolidano la velocità di transizione verso un sistema economico internazionale regionalizzato. In realtà, la pandemia aveva già avviato questo processo, ma la guerra in Ucraina ha schiuso un conflitto latente su chi dovrà governare questa transizione.

La Cina ha accelerato la propria transizione economica da una crescita fondata sulle esportazioni e una sostanziale dipendenza tecnologica a una crescita fondata sulla costruzione di un mercato interno e sulla competizione innovativa con gli US, con una demografia che permette a questo Paese di guardare al futuro con maggiore sicurezza di quanto non possa fare l’Europa e gli Stati Uniti. La cartina economico-geografica sembra quindi delinearsi, ma i giocatori non sono tutti uguali. Messori ci ricorda che “l’agnello sacrificale del quadro delineato rischia di essere l’Unione Europea che deve fronteggiare una guerra ai suoi confini orientali e una estrema vulnerabilità rispetto alle strozzature di quantità e prezzo negli acquisti di energia e di molte materie prime”.
Repower EU, l’ipotesi di piano europeo per affrancarsi dalle sue debolezze di approvvigionamento, non ha risorse aggiuntive; 300 mld sono le risorse di NGEU non utilizzate, e persegue una sola linea: affrancarsi dalla Russia. Più che un piano di politica industriale ed energetica, mi sembra un comunicato stampa buono per tutte le stagioni.

Qualcosa nella narrazione occidentale sull’andamento della guerra in Ucraina quindi non funziona. Da un lato abbiamo gli Stati Uniti che ripristinano un ordine noto e consolidato; da un altro lato abbiamo l’Europa che si piega all’interesse comune e fatica a trovare un proprio assetto. Accanto a questi due soggetti è difficile non considerare altri e non banali attori, sebbene silenziosi; sullo sfondo si delinea un’area non propriamente omogenea, ma abbastanza grande in termini di PIL, popolazione e materie prime: Cina, Africa, India, un pezzo di America Latina.

Guardare la guerra ucraina con gli occhi della geografia economica cambia la prospettiva. Da un lato il silenzio o l’inattività cinese manifesta una qualche forza economica e geografica, nel mentre l’Africa, l’India e pezzi dell’America Latina hanno sviluppato relazioni commerciali privilegiate proprio con la Cina. Il così detto fronte occidentale è debole e con poche prospettive. L’Europa aveva intrapreso un ruolo politico ed economico con la Russia e la Cina, diventando un soggetto attento a ovest, ma non per questo meno sensibile alle vicende orientali. Ora è in forte difficoltà e fatica a trovare una sua definizione e maturità, ma sarà costretta a maturare velocemente verso una qualche forma di neutralità attiva. La sua resilienza può passare solo dalla sua consapevolezza. Se guardiamo agli attori importanti che in modo diretto e indiretto sono coinvolti, gli US sembrano i più irrequieti. La Russia recita una parte importante, ma forse nemmeno così dirimente.

Quando cadrà la polvere del conflitto vedremo chi giocherà o condividerà le sorti del governo dell’economia internazionale. L’Europa potrebbe ancora giocare un ruolo, e se non se la sente lo dovrà giocare comunque. È finito il tempo di NGEU e spese per l’uno percento del PIL per lo sviluppo. È necessaria una Europa grande e soprattutto grande nelle idee.

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