Iniziamo a pubblicare alcune considerazioni all’indomani del convegno organizzato da Effimera: “Sovvertire l’infelicità – Subverting Unhappiness”. Qui gli audio degli interventi.

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Due giorni dopo la conclusione del convegno milanese sono andato a Berlino per partecipare a una discussione pubblica insieme a Guillaume Paoli, Srecko Horvat e Yanis Varoufakis che si teneva alla Volksbuhne,

Qui potete trovare la registrazione del dibattito berlinese che a me è parso piuttosto superficiale, a causa della formula salottiera scelta dagli organizzatori, dello scarso approfondimento della ipotesi strategica da parte di Varoufakis e della mia confusione.

Il pubblico estremamente numeroso che riempiva la sala del leggendario teatro è stato generoso ma negli scambi che ho avuto dopo la discussione ho capito che un sentimento di delusione è rimasto nei partecipanti. Nella prima ora Yanis Varoufakis ha ricostruito le fasi della trappola finanziaria che ha strangolato la Grecia negli ultimi cinque anni, fornendo una descrizione chiarissima e una interpretazione acuta. Ma questo tema era largamente noto ai convenuti, e l’attenzione era piuttosto concentrata sulla prospettiva futura che è stata accennata a più riprese sotto la formula Piano B per l’Europa. La formulazione di Varoufakis è apparsa (almeno a me) molto generica: “dobbiamo chiamare i democratici europei a realizzare un quantitative easing for the people” (la stessa formula usata da Christian Marazzi all’incontro romano di Euronomade).

A quel punto ho preso la parola per chiedere come si realizza un simile progetto, quali sono le forze politiche e soprattutto quale la soggettività sociale su cui un progetto di redistribuzione del reddito può fondarsi. A questo Varoufakis ha risposto con una considerazione sulla forza delle tecnologie destinate a trasformare il mondo. Considerazione a mio parere convincente a metà, Nella mia replica finale ho cercato di tradurre le suggestioni di Varoufakis in una prospettiva che si articola nel tempo ma che deve fare i conti con un contesto che al momento (e per i prossimi anni) appare dominato dalla guerra, dal montare dei nazionalismi e da una debolezza strutturale del movimento del lavoro.

Durante tutto l’incontro ho provato un costante imbarazzo dovuto al fatto che (l’ho dichiarato esplicitamente) non intendo in nessun caso ostacolare o sottrarmi all’unico progetto interessante in circolazione ma al tempo stesso non posso nascondere a me stesso che si tratta di un progetto che potrà acquistare realismo solo dopo che il pieno dispiegamento dell’inarrestabile guerra frammentaria asintoticamente globale in corso avrà raggiunto e trasformato anche i rapporti sociali interni al continente europeo.

L’incontro berlinese del 6 ottobe 2015 mi è parso diverso da quello milanese del 3-4 ottobre per lo stile discorsivo, ma abbastanza convergente nelle linee analitiche e progettuali. “Sovvertire l’infelicità” aveva un impianto scenico del tutto differente (per fortuna) e ci ha permesso di far emergere in modo (a mio parere realistico e articolato) le due facce della situazione presente.

Una faccia è quella della guerra frammentaria asintoticamente globale (GFAG se vogliamo fare gli spiritosi su una tragedia che sta travolgendo la vita di milioni di persone) e della inamovibile (per ora) dittatura finanziaria che alimenta la guerra e ne è alimentata.

L’altra faccia è quella dell’autonomia esistenziale e sociale di micro-strutture autorganizzate che agiscono nella società elaborando praticamente le tematiche dell’alimentazione, dell’abitazione, dell’affettività della terapia e del reddito.
Al convegno milanese il metodo serendipity ha funzionato al di là delle aspettative. Non c’era nessuna regia eppure lo svolgimento degli interventi è parso corrispondere a un piano armonico.

Da Amador Savater sulla continuità tra m15 e autodifesa della società, a Margaretha Tsomou sulle lezioni dell’esperienza greca e sulla percezione europea, alle indicazioni di terapia collettiva dell’impotenza che sono emerse dai quattro interventi queer, ai resoconti di esperienze di finanza alternativa offerti da Tere Vaden, Marco Giustini, Stefano Lucarelli, fino alle considerazioni di Nicolas Martino sulla poetica bianciardiana del fallimento e le considerazioni di Ilaria Bussoni sulla ricchezza del rifiuto dell’identificazione, fino all’analisi svolta da Paula Cobo-Guevara sulla dinamica sociale che interagisce con la dinamica istituzionale nella Barcellona di Ada Colau – nulla sembrava superfluo, nulla sembrava casuale. È emersa una visione del futuro che mi pare abbastanza convincente: una visione che non accetta di edulcorare la realtà ma che fonda la speranza sulla micro-politica per il tempo che viene in cui saremo tutti rifugiati. Ma al tempo stesso una visione che tiene ferma la possibilità di liberazione implicita nella incancellabile rete dei saperi e nella forza del rifiuto del lavoro salariato.

Non era nostra intenzione dare continuità politica a quella singolare convergenza serendipitous. Possiamo invece, se lo vogliamo, dare un esito ai contenuti e allo spirito di amicizia che è emerso nel convegno di Milano.
La proposta (avanzata nei due interventi di Giso Amendola, ricchi, interessanti e chiari) di una “verticalizzazione” istituzionale delle energie autonome mi è parsa incoerente con la realtà di quel convegno e con la realtà in generale.
Barcelona in comù ha occupato il luogo del potere municipale per farne strumento di auto-organizzazione della società. È un’esperienza formidabile, ma non significa che dobbiamo dedicare le poche energie sociali autonome a una pressione istituzionale subalterna.

A mio parere la precarissima rete effimera dovrebbe dare forma ai due livelli discorsivi emersi dal convegno. L’unico strumento di cui disponiamo (un blog alimentato da una mailing-list) deve essere perfezionato a questo scopo, ripensandolo intorno a due spazi:

1-cartografia, 2- visione.

In primo luogo occorre offrire una sorta di cartografia in divenire delle esperienze di esistenza, invitando coloro che vivono in un co-housing o che sperimentano crypto-currencies o che danno vita a gruppi di auto-narrazione terapeutica a raccontarsi, e tendenzialmente a coordinarsi.

In secondo luogo dovremmo dar vita a una sorta di “lettera quindicinale” di analisi del processo catastrofico in corso e di elaborazione delle possibilità di lungo periodo dell’autorganizzazione, quando questa riuscirà a dare corpo sociale alla rete del lavoro cognitivo e quindi riuscirà ad avviare un processo di ri-programmazione autonoma dalla forma-capitale.

Credo che il prossimo appuntamento dovremmo convocarlo su questo tema: come ripensare il sito per renderlo funzionale al ruolo che possiamo svolgere. Come concepire la newsletter quindicinale, chi coinvolgere nella sua stesura, come preparare un indirizzario adeguato…