Sussunzione del corpo erotico nel General Intellect

L’intervista, pubblicata su Effimera, tocca molti temi dall’eredità dell’operaismo al cyberspazio, dalla riproduzione sociale al linguaggio, dalle tecnologie al basic income. In tela di fondo ci sono i modi contemporanei di produzione di soggettività, in particolar modo quelle dei lavoratori cognitivi. Bifo con la sua intuizione ci orienta verso i corpi, corpi che derivano nello spazio, corpi isolati, corpi separati dal cervello come ci spiega in questo passaggio:

L’organizzazione del lavoro nel capitalismo cognitivo è fatta in maniera tale che i cervelli lavorino sempre più insieme ma i corpi siano sempre più separati; questo è il paradosso essenziale della soggettività lavorativa contemporanea: che noi siamo sempre più connessi sul piano della produzione informativa, della produzione semiotica, che è quella più importante di tutte, ma allo stesso tempo siamo sempre più isolati sul piano della relazione erotica e della relazione sociale, per cui il cervello si arricchisce sempre di più, ma è sempre più scollegato dal corpo e dunque diventa un cervello sofferente, la depressione il panico, l’epidemia di suicidio, la solitudine contemporanea. Dall’altra parte il corpo è sempre più scollegato dal cervello e quindi il corpo impazzisce, diventa un corpo demente, corpo razzista, corpo fascista, corpo sessista, cioè un corpo che non è più capace di collegarsi intellettualmente e affettivamente agli altri corpi.

Ho il sentimento (per dirla con un francesismo calzante) che la sofferenza schizofrenica contemporanea non si riduca solo ad una separazione fra corpo e cervello indotta dal capitalismo cognitivo come macchina che funziona in modo patogeno.

Il malessere collettivo non è fatto solo di effetti macchinici ed automatici che investono il lavoro cognitivo – quid di tutti quelli, e sono tanti, che non fanno un lavoro cognitivo?

Il capitale agisce coscientemente e volontariamente tanto sulle menti che sui corpi.

È quello che succede  nel bioipermedia, una sfera primaria  dove si plasmano le soggettività. Il bioipermedia è in qualche modo un’evoluzione dell’infosfera (o cyberspace-cybertime) e costituisce un ambiente che ci avvolge e sottomette ad una “percezione multisensoriale in cui spazio reale e virtuale si confondono estendendo ed amplificando gli stimoli emozionali.  Un ambito in cui il corpo nella sua integralità si connette ai dispositivi di rete in modo talmente intimo da entrare in una simbiosi in cui avvengono modificazioni e simulazioni reciproche”

[1].

Non si tratta solo di ipotesi: al di là delle tecnologie, le ideologie dell’economia comportamentale, del neuromarketing ed infine del neurocapitalismo si affermano con forza nel campo neoliberista.  Per esempio, il premio Nobel per l’economia nel 2017  Richard Thaler  che con  Cass Sunstein è  il teorico del  “paternalismo libertario” e  dà vita al concetto  di nudge[2]   – tradotto in italiano con “spinta gentile” (sic). Gli economisti comportamentali suggeriscono di utilizzare opportuni marcatori somatici capaci di “stimolare” attraverso le emozioni determinati comportamenti.

La teoria del nudge trova applicazioni pratiche sia in politica che nel marketing. In pratica si tratta di creare dei marcatori che, sotto un’apparente inoffensività (ma chi decide quanto essi siano “gentili” ed inoffensivi?) influenzano i nostri comportamenti e le nostre scelte. Dei politici come Cameron e Obama hanno usato i nudge ispirandosi alle teorie del Paternalismo libertario. Più recentemente pare che  il presidente francese Macron abbia usato un nudge, tradotto in francese con coup de pouce , abolendo la “tassa dei ricchi” (ISF Impôt sur les Grandes Fortunes) [3] per orientare  il grande capitale verso  investimenti “produttivi” – quando da molti anni lo stesso “coup de pouce” di un aumento del salario minimo (Smic) viene rifiutato anche dai presidenti della defunta sinistra francese. In precedenza, già nel 2002 il Nobel dell’economia era stato assegnato a Daniel Kahneman, considerato come uno dei fondatori dell’economia comportamentale – oltre che maestro di Thaler.

Anche se gli economisti comportamentali non sempre lo specificano, mi pare abbastanza evidente che le tecnologie ed in particolare le ITC svolgano un ruolo fondamentale nella messa in opera di tali ideologie.

Un’osservazione simile sorge a proposito della seguente affermazione nell’intervista:

Il capitale è in grado di trasformare l’attività cognitiva e affettiva in valore, in valore economico; però questo non permette all’attività cognitiva e affettiva di sviluppare le loro potenzialità. Se il capitale vuole sfruttare un’attività che non è lavoro, che non si può ridurre al modello del lavoro salariato, l’unico modo è quello di pervertirne la funzione. Diciamo, questo vuol dire che il capitale riesce a sottomettere il lavoro cognitivo ma solo trasformandone la finalità; la finalità del lavoro cognitivo sarebbe quella di arricchire la vita umana, la funzione che il capitale dà al lavoro cognitivo è quella di impoverirla, per così dire.

Parlando di sussunzione vitale, che è operante e in progresso, abbiamo anche detto che il capitale è passato dallo sfruttamento del lavoro a quello della vita.  Proponendo il Basic Income ci siamo talvolta limitati a pensare che la tecnologia si riduca solo a liberazione del tempo di vita o ad automi che sostituiscono il lavoro umano. La mediazione tecnologica non si limita alla possibile automatizzazione o a un’ipotetica liberazione dal lavoro.  Il neurocapitalismo è caratterizzato dalla capacità di sottrarre al general intellect la linfa che alimenta le piattaforme e l’infrastruttura del bioipermedia, essenziali alla sussunzione vitale. Magari si tratta di uno stato instabile, speriamo effimero, ma non è poco!  Man mano che si arretrava  davanti agli attacchi neoliberisti abbiamo sviluppato una grande capacità a esaltare il potenziale del general intellect ma senza spiegar(ci) perché questo potenziale sembri ormai da tempo imbrigliato e impotente nel sottrarsi alla sussunzione ed organizzarsi .  Se vogliamo avanzare, il primo passo è riconoscere i punti di forza del neurocapitalismo per capirli.

Zuckerberg, qui in Francia già proiettato dai media mainstream come prossimo presidente se il trumpismo [4] dovesse cadere negli USA ,  dice di “essere d’accordo” sul Basic Income, ma questo non è in contraddizione col fatto che nella Silicon Valley abbiano perfettamente interiorizzato, a modo loro certo,  che la tecnologia non è liberazione ma è parte della vita.

La gestione neoliberista della mediazione tecnologica continua ad approfondire la dicotomia uomo-natura con le catastrofiche conseguenze socio-ecologiche in atto. La tecnologia è ormai inestricabilmente intrecciata alla vita al punto che i 7 miliardi di umani non possono sopravvivere senza di essa in ogni caso. La rinuncia all’oggetto tecnico che serpeggia in certi strati dell’ecologia politica implica la terribile accettazione di un futuro apocalittico e rinuncia a combattere l’ideologia dominante che si basa  sull’ethos individualista ed sul “gene egoista” dell’umano. Un’ideologia  condivisa e propagandata, anche se con modalità diverse, da neoliberisti e trumpisti. Questi ultimi, avendo ereditato le capacità politiche dei fascisti, approfittano in pieno del disfacimento  della rappresentatività politica all’ora dei nudge e del neuromarketing.

Il problema ironico ed i lavoratori cognitivi

Molto pertinente mi sembra il proposito di Bifo su ironia e linguaggio e sulla fine di dicotomie e separazioni come nel caso del triangolo psicanalisi-politica-arte:

arte, politica, psicoanalisi non esistono più perché c’è un unico problema che possiamo chiamare il “problema ironico del superare i limiti in cui il capitale ha chiuso il lavoro cognitivo” e quindi è la sofferenza dei lavoratori cognitivi, che va curata.

Ma, come accennavo in precedenza, si ha spesso, e non solo in questa intervista,  l’impressione che tutto (le sofferenze, i burn-out, il sorgere di nuovi movimenti  etc.) ruoti attorno a quei lavoratori cognitivi, che certo sono iperprecari, ma che posseggono savoir-faire affettivi, artistici, tecnici etc. Forse questo dipende da un malinteso su cosa si intenda per “lavoratore cognitivo”. Molti dei migranti sopravvissuti ad Auschwitz on the Beach non diventeranno mai lavoratori cognitivi nel senso inteso qui sopra e questo sia che vengano respinti verso i lager, la guerra o la siccità sia che vengano arruolati dalle strutture mafiose del caporalato per raccogliere pomodori nelle campagne di Foggia o di Nardò. In condizioni indegne, come mostrano in modo abbastanza sconvolgente, il documentario ed il libro[5] del giovane compagno e amico francese Jean-Baptiste Malet.  Lo stesso che precedenza aveva indagato, lavorandoci, sullo sfruttamento nei magazzini di Amazon[6] – un gigante del cognitivo che pratica uno sfruttamento operaio da accumulazione originaria.  Ed in fondo non sono completamente “cognitivi” neanche i fattorini di Foodora e gli autisti di Uber così spesso citati nel dibattito sul digital labor.

A questo punto non diventa necessario allargare l’analisi anche ad altre moltitudini, ad altri spezzoni sociali, chiamiamoli come vogliamo, che non sono centrati (solo o principalmente) sullo sfruttamento e la precarizzazione del lavoro cognitivo (o anche del lavoro tout-court!), prendendone in conto le problematiche come per esempio quelle sollevate dal movimento “Non una di meno”?

A me pare che il capitalismo abbia coscienza delle grandi difficoltà nel gestire la precarizzazione, la fine delle regole del lavoro salariato, e l’eccedenza di produzione del general intellect. E’ per questo che ha bisogno di Silicon Valley (una SV globale che va dalla California all’India e alla Cina) dove lo sforzo centrale è nella produzione di  tecnologie di controllo, di influenza, di servitù volontaria indispensabili per mettere in opera un assoggettamento sociale ed un asservimento macchinico che non potrei descrivere meglio di quanto abbia fatto Maurizio  Lazzarato[7]:
Le soggettività subiscono una modellazione semiotica e disciplinare che non ha come primo scopo quello cognitivo (il capitalismo non ha bisogno di tante persone formate, di tanti lavoratori cognitivi come sostiene la teoria del capitalismo cognitivo). Lo scopo della macchina capitalista è quello di dotare gli individui di modelli di comportamento cosciente o “inconscio” che li incitino a sottomettersi ai “riti di passaggio” e all'”iniziazione” dell’impresa, del welfare state, della società dei consumi, della comunicazione; di sollecitarli a far propri  i “Super Io” necessari all’integrazione dei ruoli e delle funzioni gerarchiche, siano essi disoccupati, operai, pensionati, consumatori o lavoratori cognitivi.

Tecniche indispensabili queste di controllo che vanno dai social media a Prism il programma spia globale della NSA denunciato da Snowden, ma non sufficienti per assicurare il futuro del neoliberismo.

Mentre i neri nuvoloni della locandina di “Sovvertire l’infelicità”[8], un segno ed un titolo di chiara ispirazione bifiana, continuano ad accumularsi e diventano sempre più incombenti, il capitalismo non senza contraddizioni e conflitti interni apre la valvola del trumpismo  che prepara un grande salto entropico. A meno che…

A meno che una di quelle accelerazioni impreviste ed imprevedibili anche nel cibertempo e nel ciberspazio non generi l’improvvisa riattivazione del “corpo erotico del general intellect”. E quindi per tornare al discorso su ironia e linguaggio potremmo  parafrasare  il fatidico slogan  “una risata vi seppellirà”[9] in “un orgasmo vi seppellirà”.

Cosa sperare di meglio per inaugurare il cinquantenario del ’68?

 

Note

[1] G. Griziotti, Neurocapitalismo, Mimesis 2016, p. 84.

[2] (Thaler & Sunstein, Nudge. La spinta gentile. La nuova strategia per migliorare le nostre decisioni su denaro, salute, felicità, 2014).

[3] Il governo Macron ha abolito l’imposta sulle grandi ricchezze e mantenuto solo la parte che riguarda le grandi proprietà immobiliari (alla fine si tratta di una riduzione del 75% delle tasse sul capitale).

[4] Uso qui il termine trumpismo nel senso che Bifo proponeva recentemente: “dobbiamo essere capaci di distinguere le due anime del potere contemporaneo: iper-liberismo e nazionalismo si contrappongono ma al tempo stesso vivono in una simbiosi mutualistica. Dovremmo liberarci della parola “fascismo” ma ci occorrerebbe una parola più adeguata alla forma attuale della violenza della particolarità (nazione razza religione). Forse la parola più adeguata ce l’abbiamo già: Trumpismo.

Infatti il significato del verbo inglese “trump” contiene tutti gli elementi: travolgere, umiliare, trombare, far fuori, sottomettere. Queste sono traduzioni possibili del verbo. To trump significa: sottomettere in senso neoliberale ma anche umiliare in senso razzista”  (tromper in francese è ingannare n d a).

[5]  Versione italiana : JB Malet, Rosso Marcio, Piemme , 12/2017.

[6] JB Malet,  En Amazonie, Un infiltrato nel “migliore dei mondi, Kogoi Edizioni, 2013.

[7] Lazzarato, M. (2014). Signs and Machines Capitalism and the Production of Subjectivity, Semiotexte, p. 32 Traduzione dell’A.

[8] Cfr. la locandina del convegno organizzato nell’ottobre 2015 da Effimera a Milano.

[9] Prima di essere usato tanto nel 68 che nel 77 pare che fosse uno slogan anarchico dell’800: La fantasia distruggerà il potere ed una risata vi seppellirà!

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