Cosmogenesi

Il testo di Emanuele Braga pubblicato da Nero Not mi ha molto emozionato. È un testo sulla Cosmogenesi, cioè sulla genesi dei corpi, a partire dai corpi o per usare le sue parole, da una coreografia di corpi. E il corpo che presenta Braga è proprio il corpo che si fa e non il corpo già fatto e individuato, non il corpo identitario. D’altronde un corpo individuato non è mai esistito  siccome i corpi sono sempre in via di individuazione. È un corpo che diviene con gli altri, un campo di forze, il campo di composizione e di guerra di forze cinetiche, dinamiche ma anche percettive e affettive. E quando queste forze trovano una portata comune, una risultante, si fanno flusso per formare il corpo nuovo che è sempre imprevedibile indicibile, inaudito. Corpo temporaneo quindi perché  è nella sua natura di continuare a divenire altro da sé in un processo senza inizio e senza fine che è l’individuazione. Questo era il modo di vedere la genesi delle forme anche di Gilbert Simondon: una costellazione di elementi intensivi che diventano flusso e poi forma in un perenne individuarsi della vita.

Le due intelligenze

Quand’ero piccolo circolava l’idea che ci fossero due tipi di intelligenza e che i due emisferi cerebrali fossero deputati uno all’intelligenza logico-scientifica e l’altro alla sensibilità artistica. Devo dire che questa posizione non mi è mai sembrata molto convincente. Per fortuna negli anni novanta Howard Gardner, uno psicologo di Harvard,  pubblico’ un libro dove affermava che le intelligenze erano sette. Poi si corresse e disse che erano otto e poi ancora in un altro libro disse che erano definitivamente nove. Quando mi psicanalizzo’ pubblicamente davanti a qualche centinaio di maestre d’asilo, mi disse quante intelligenze avevo ma adesso non ricordo più esattamente il risultato del suo computo. Poi incontrò Loris Malaguzzi e smise di contarle. Malaguzzi era un pedagogo che ha passato la sua vita ad osservare le attività dei bambini negli asili che lui stesso dirigeva. Dalle sue ricerche dedusse che le loro intelligenze erano infinite. Lo scrisse in diversi saggi e in una poesia che si intitola “lnvece il cento c’è” riferendosi ai cento linguaggi dei bambini:

“Il bambino / è fatto di cento /Il bambino ha/ cento lingue/cento mani/cento pensieri/cento modi di pensare/ di giocare e di parlare  … Gli dicono: /di pensare /senza mani /di fare senza testa/ di ascoltare e di non parlare …/ Gli dicono:/ di scoprire il mondo che già c’è/ e di cento/ gliene rubano novantanove. / …/ Invece il cento c’è.” Anche Howard Gardner se ne convinse e per fortuna oggi più nessuno conta quante sono le intelligenze. O almeno cosi’ dovrebbe essere.

Matematiche

Gilles Deleuze ha ripreso questa idea fantastica dell’individuazione dei corpi di Simondon e gli ha aggiunto qualcosa. Lui si occupava dell’immaginazione più che dei corpi in realtà. Gli interessava capire come emerge il pensiero, voleva capire cosa succede quando emerge un’idea nuova. Ma poco importa che si tratti di corpi o di immaginazione perché in ogni caso si tratta comunque di comporre dei campi di forza  e sperare che funzionino , cioè che si integrino per scatenare una nuova forma o una nuova idea.  E stavolta “integrare” significa proprio quello che intendevano i matematici del calcolo differenziale, a partire da Leibniz, cioè trovare la soluzione di un problema. I corpi diventano cosi’ un campo problematico e il loro divenire la soluzione, un flusso che i due simpatici compari  Gilles e Felix chiamavano eterogenesi. Non che il corpo si metta a fare i conti con la matita prima di risolvere i suoi campi di forze visto che ogni sostanza integra i differenziali a suo modo e senza il nostro intervento. Questa azione del differenziale non è astratta, tutt’altro, è già nella carne e a noi non rimane che immaginare componendo campi di forza sensibili, percettivi, affettivi.  Ma per capire come questo avviene dobbiamo inventarci un linguaggio e il calcolo differenziale sembra un linguaggio particolarmente adatto.  Senza questo strumento del differenziale non saprei come comprendere la mia stessa esperienza del sentire, del vedere e del pensare. Non sarei in grado di dire perché tutta la mia esperienza è fatta di campi morfologici. Perché i colori che vedo non sono quelli di Newton ma sono quelli di Goethe, cioè sono tutti intrecciati tra loro e nel momento in cui un nuovo colore entra in scena tutti gli altri cambiano di tonalità. Sono gli effetti di campo che fanno si’ che ogni colore dipenda dall’altro.

Senza il differenziale dovrei cominciare a credere in Dio.

Genova 2001, Parigi 2019

A Genova le cento intelligenze c’erano tutte. E anche sui selciati delle strade di Parigi, durante l’anno della prima sollevazione, erano tutte là.

Rob e Fred

Fred Cummings è stato un grande uomo. Suo papà era un immigrato Irish che si era stabilito prima a Baltimora e poi trasferito a New Orleans. Fred era stato educato alla Holy Name Elementary School e poi alla Jesuit High School a New Orleans, scuole di Gesuiti che non gli erano mai piaciute. Infatti il giudizio scolastico al termine degli studi era stato imperativo “not appropriate for college-level work.” Qualche anno dopo lavorava con Edwin Thompson Jaynes (premio Nobel nel 1949) a quello che sarebbe diventato il Jaynes-Cummings model di ottica quantistica. Si trattava della tesi di dottorato di Fred. Da allora, era il 1960, insegno’ meccanica relativistica per 30 anni all’ Universtà di California Irvine . Ha sempre detto che se non sai fare niente puoi solo insegnare e che per capire la relatività di Einstein basta il teorema di Pitagora.

Io lo conobbi per caso alla fine degli anni 90, il primo giorno che stavo a Berkeley per un colloquio di un posto da precario post-doc. Ero salito al Campus sulla collina in bicicletta e mi ricordo che ero tutto sudato : il colloquio era avvenuto in modo assai informale in una sala con molte poltrone e un tavolo da ping-pong. Finito il colloquio incontrai Fred in un caffè, il caffè Roma. Lui era già in pensione ma aveva cominciato ad occuparsi di un tema che lo faceva impazzire e faceva impazzire anche me : la morfogenesi.  Quando mio babbo Roberto veniva a trovarmi giocava a scacchi con Fred. Anche mio babbo aveva origini da sottoproletario pasoliniano e nella vita aveva fatto prima il pugile, poi il guantaio e il sindacalista. Erano ambedue giocatori raffinatissimi. Giocavano con un’ intelligenza erotica e con una visione del campo da gioco come se fosse un prolungamento dei loro corpi. Si guardavano ironicamente per tutto il tempo e a metà partita mio babbo commentava la partita dicendo “Fred puzzi come un cadavere”. Fred rispondeva con una frase incomprensibile che doveva aver imparato durante la guerra di Corea. Tutti e due ridevano anche se Fred non parlava una parola di modenese e mio babbo non capiva una parola di inglese.

In stato di grazia

Il capitalismo genera infiniti prodotti diversi tra loro ma produce ossessivamente un solo valore: il profitto. Per questo il capitalismo è un’omogenesi. Se lo vediamo da questo punto di vista non è solo un sistema economico ma un’affezione della produzione di senso.  Nei gruppi appena nati in stato di grazia circolano idee, testi, cose ma anche passioni, amori, scazzi. Questi sono effetti di eterogenesi.

Il poeta e l’ingegnere

Quando si pensava che le intelligenze fossero poche, ho creduto a lungo che la questione della produzione della conoscenza si giocasse nell’alleanza tra il poeta e l’ingegnere. Oggi penso invece che le cento sensibilità avrebbero tutto il diritto ad avercela parecchio sia con l’uno che con l’altro. Anzi ce l’hanno senz’altro parecchio ma per loro grande magnanimità decidono di perdonarli. Matematici, poeti vi perdoniamo anzi vi amiamo.

Perdoniamo il matematico per aver messo a disposizione della peggior civiltà di tutti i tempi le tecniche per l’estrazione e il controllo di dati.  Vi perdoniamo per aver reso la matematica il più violento strumento di controllo oggi esistente attraverso i big data, l’intelligenza artificiale, il data mining che sono ormai pervasivi in ogni tipo di attività umana mentre algoritmi e programmi entrano nella nostra vita e riformattano le capacità linguistiche e cognitive nel senso di un impoverimento dell’esperienza e della produzione sensibile. Informatici di Google vi perdoniamo. Ingegneri di Amazon vi amiamo. Matematici della finanza vi  … no, voi no, non vi perdoneremo mai.

Le cento intelligenze perdonano il poeta. Poeta ti perdoniamo per aver messo tutte le nostre parole d’amore nelle cartine di cioccolatini scadenti. Ti perdoniamo per essere diventato soldato ubbidiente di un esercito di pubblicitari, copywriters, creatori di corporate identity, brand managers, emotion designers che mettono in scena quotidianamente lo spettacolo della merce e che sono la vera spina dorsale di questo  sistema cadaverico di desideri e di consumi. Facebook non è frutto di un risultato tecnico, non funziona perché è tecnicamente corretto ma perché stuoli di progettisti dell’attenzione lo formattano per mantenere alto l’interesse a rimanere collegati. Schiere di poeti al lavoro. La morfogenesi della comunicazione genera onde calde e molto maleodoranti.

Coreografie del vivente

Intendiamoci i miei amici sono tutti poeti e matematici (ma anche molto di più) e fanno cose magnifiche.  Non si tratta di smettere di leggere e scrivere poesie o di immaginare nuove geometrie e dinamiche. Anzi si tratta proprio di trovare le condizioni per tornare a fare quello.  Si tratta di rifondare una  dimensione di sperimentazione che non si limiti ai linguaggi dominanti e che non cerchi in questi una funzione salvifica, che sia di ordine tecnologico o simbolico. Si tratta di rimanere nel problema, come direbbe Donna Haraway nel suo Chthulucene, Staying with the trouble, ed aprire ai tanti regimi di segni dentro al simbolico ma anche molto oltre, verso i linguaggi senza langue delle specie animali e alle semiosi primarie di tutte le specie viventi. Sono queste le semiotiche delle cento intelligenze. Il campo del non simbolico viene da lontano ed è già presente nel pensiero e nelle sperimentazioni artistiche contemporanee. Ne parla Vincenzo Cuomo in un bel libretto dal titolo Eccitazioni mediali. Forme di vita e poetiche non simboliche. Si tratta di aprire alle dimensioni ecologiche e a concatenazioni enunciative eterogenee, che vadano anche oltre il dispositivo dei segni per arrivare a coinvolgere le dinamiche di base del vivente.

Piccola coda

Non possiamo fare a meno di riconoscere che le cento sensibilità hanno uno stesso problema in comune: quello di soggettivarsi invece che di essere assoggettate. Quello di riuscire a mettere in scena una conoscenza sensuale e ariosa scampando alla barbarie del darwinismo relazionale che sta a fondamento del rabbioso progetto neoliberista.  Non si gioca forse li’ l’ultima carta che ci rimane ancora da giocare ?

 

Immagine in apertura: photo di Eadweard Muybridge, Runnning, 1887

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