Oggi, 1 febbraio, cade il centenario della nascita di Teresa Mattei (1.2.1921-12.3.2013), la partigiana Chicchi, combattente, e a suo tempo giovanissima deputata all’Assemblea Costituente, nelle file del Partito Comunista.

Suo figlio, Gianfranco Sanguinetti, ha segnalato ad Anita (Ginella, genovese, docente di storia contemporanea) le ragioni che lo inducono a non partecipare alle celebrazioni istituzionali organizzate per ricordarla. Rimase consapevolmente fuori dagli schemi per tutta la sua esistenza, a suo agio sia nei banchi parlamentari sia nei banchi scolastici dei bambini toscani di Usigliano con i quali aveva costruito una radio ribelle negli ultimi anni della sua vita. Si era laureata a Firenze, discutendo la tesi immediatamente dopo una pericolosa azione di guerra. E fu anche una delle voci di protesta più coraggiose in occasione del massacro alla scuola Diaz durante il G8.

Ebbe l’idea della mimosa quale simbolo per l’8 marzo, e questo spiega l’accenno nella lettera; con passione Chicchi ha sempre cercato di dare il suo contributo, sognando la pace ma al tempo stesso pronta a combattere per i principi di libertà.

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Cara Anita,

Mi scuso per il ritardo della mia risposta.

Da un anno in qua è cambiato il ritmo del tempo, e lo spazio ci è precluso: da quando il mondo occidentale sembra destinato ad essere divenuto oggetto passivo dei diktat quotidiani di coloro che sono stati incaricati di approfittare dell’epidemia per imprimere una direzione totalitaria alla vita civile dei principali paesi. Sembra cancellata in meno di un anno tutta la nostra storia, la Costituzione, la vita civile e la politica, le lotte che hanno costruito e vivificato il nostro paese.

Una nuova isteria sembra essersi impadronita dell’Italia. La propaganda martellante volta a suscitare la paura, l’angoscia e il terrore, fatta di diktat e onnipresenti sanzioni, quindi di obbedienza e di sottomissione, guida tutta l’azione pubblica e la comunicazione dei media, e si insinua con prepotenza nella vita privata dei cittadini, oramai scomparsi: dopo essere stati ridotti a semplici elettori, poi a consumatori, sono oggi trattati da pazienti, infantilizzati, redarguiti, sottomessi a una serie infinita di regole contraddittorie coercitive e arbitrarie, a punizioni e confinamenti che sono coerenti col nuovo totalitarismo che s’impone, senza suscitare rivolta, e neppure resistenza.

Commemorare in queste condizioni una figura come quella di mia madre, per eccellenza ribelle, che aveva fatto della disobbedienza una virtù, significherebbe o sconvolgere il quadro nel quale si svolgono gli attuali avvenimenti – oppure fare di lei un falso ritratto, “accettabile”, di “femminista”, ex-costituente allineata all’ideologia dominante, parlando solo di mimosa, di violette e altre lepidezze politically correct, innocue e rassicuranti, come si fa quando la si celebra da ormai qualche anno. Pessimum inimicorum genus, laudantes.

Per questo ho apprezzato la tua frase: “essi  non hanno ben presente che sono una storica e se si aspettano un mellifluo ricordo familiare si sbagliano di grosso”. Per questa stessa ragione, io non ho partecipato mai a nessuna commemorazione, né ho mai rilasciato interviste, che possono essere manipolate, tagliate, inserite in un contesto fraudolento, per avvalorarlo. Non voglio contribuire a fare di mia madre un’icona di un regime che lei avrebbe combattuto.

Mia madre, come sai, dopo essere stata espulsa da tutti i licei d’Italia, per aver protestato contro le leggi razziali, prese da giovane le armi, e non combatté per quello che l’Italia è diventata.

A noi bambini non nascose mai le azioni cui aveva partecipato, come, fra le altre, l’esecuzione di Giovanni Gentile (15.4.1944); l’esecuzione sul Lungarno Acciaiuoli del colonnello Italo Ingaramo, comandante della 92 Legione (GNR) – da cui dipendeva il Reparto Servizi Speciali (RSS) dell’aguzzino Mario Carità (29.4.1944); il sabotaggio e l’esplosione di 8 vagoni di tritolo della polveriera Nobel, in una galleria presso Carmignano (11.6.1944) (e altre).

Io l’avevo esortata a raccontare la sua storia, a partire dalla tanto dibattuta esecuzione di Gentile, sulla quale sono state pubblicate tante strampalate ipotesi. Non scrisse mai i suoi ricordi, ma rilasciò un’intervista a un mediocre giornalista del Corriere, certo Carioti, che non le sottopose neppure il testo, prima di pubblicarlo. Scrisse poi una lettera di rettificazione al Corriere, che ti allego: non so se sia stata pubblicata dal Corriere. Si trova alle pp. 267-7 della pubblicazione della Regione Toscana.

Qui ti rinvio alla autobiografia del gappista Cesare Massai (vedi p. 25), dove si ricorda anche che la taglia messa sugli autori dell’attentato a Gentile era di un milione di Lire, e quella sul colonnello Ingaramo 500.000 Lire:

Spero, cara Anita, di esserti stato utile, per il poco che posso. Non credo che mia madre sarebbe contenta di vedermi parlare accanto a un sindaco i cui vigili si accaniscono contro gli innocenti genovesi che non portano la mascherina, o che infrangono il coprifuoco.

Un abbraccio,

G.

P.S. Naturalmente sei libera di leggere e far leggere questa lettera a tutti quelli che vuoi.

 

Immagine in apertura: Teresa Mattei

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