Worlding”, “Mondeggiare”: La pratica di sperimentare e immaginare contaminazioni e conflittualità che generano nuovi mondi, nuove realtà, nei quali differenti specie, tecniche e saperi interagiscono 

 

All’interno delle molteplici analisi e valutazioni che si pongono di produrre e diffondere un sapere critico sulle cause dell’emergenza, sulla sua gestione, su quali saranno i suoi effetti nella longue durée e quindi su altri mondi possibili, ci sembra spicchi un grande assente. Ci riferiamo a quelle esperienze comunitarie e “comunarde” che proprio all’interno di una crisi inedita come questa dovrebbero essere un punto di riferimento non solo per affrontare la contingenza nel suo divenire ma anche per evidenziare le contraddizioni dell’ecologia mondo capitalista nonché al modo in cui ci concepiamo distanti e diverse/i dalla natura. Queste esperienze, forti dell’essere alternative all’affanno delle catene produttive più in crisi, lontane dall’emergenzialità e dallo sconvolgimento della vita urbana in cui l’epidemia ci ha posto, costituiscono già quelli spazi autonomi da cui rivendicare il controllo sulle nostre vite e sulle condizioni delle nostre riproduzioni (Federici 2018).

La stretta correlazione tra l’industria agroalimentare e l’emergere di grandi epidemie globali passate e presenti è invece, a ben ragione, stata più volte affrontata da numerosi contributi1. Insomma, è il necrotico metabolismo capitalista che, accumulando distruzione di interi ecosistemi e biodiversità, pone le basi sistemiche per l’emergere e il diffondersi di tali epidemie. Altre/i si sono occupate/i di queste correlazioni con una consapevolezza maggiore di quella di chi scrive, ciò che è importante sottolineare è che il rischio di nuovi agenti virali non è che una delle conseguenze, la più recente, di secoli di capitalismo e sfruttamento a somma zero della natura. Lo scenario futuro potrebbe essere ben più catastrofico.

Il Capitalocene regge la sua impalcatura del sapere sulla produzione di fratture, l’epistemologia stessa del capitale genera disuguaglianza. È dunque evidente, oggi più che mai, la necessità di impegnarci in uno sforzo immaginifico per un superamento della suddetta logica di sfruttamento, ma non solo: abbiamo bisogno di indagare da quali meccanismi di pensiero, da quali assunti partiamo quando ci poniamo al di sopra della natura e, considerandola altro da noi, ci arroghiamo il diritto di appropriarcene. Serve sapere quali pensieri pensano altri pensieri. Dobbiamo pensare! (Haraway 2019)

A tal proposito ci pare necessaria la prospettiva posta in essere da Jason Moore e Donna Haraway, attraverso i concetti di oikeios e simpoiesi, ed osiamo ritenendo che la controprova alla teorizzazione di questi concetti sia la pratica del Comune.

“L‘oikeios” afferma Moore “è una dialettica multistrato comprendente la flora e la fauna ma anche le molteplici configurazioni, i cicli ed i movimenti geologici e della biosfera del nostro pianeta” (Moore 2015); analogamente Haraway “introduce la preziosa categoria di configurazioni simpoietiche cioè quelle configurazioni condivise che, superando il principio di autosufficienza dei sistemi viventi, pongono alla base dell’evoluzione processi trasversali di organizzazione”2 che superino l’auto-narrazione antropocentrica, androcentrica e coloniale dell’Antropocene. Entrambi, sottolineando le relazioni inter ed intra le nature umana/extraumana ed organico/inorganico, ci suggeriscono come l’unico processo per sovvertire ed immaginare il presente debba essere armonico. Non vuole essere un qualificante dal peso specifico leggero, armonizzarsi richiede uno sforzo intimo non indifferente. Armonia è la rivoluzione del Rojava, la rivoluzione del nostro tempo in cui l’esercizio creativo del riscrivere le storie si fa messa in discussione radicale dei rapporti gerarchici materializzando visioni indigene, meticce, femministe ed ecologiche.

Crediamo che la situazione attuale di emergenza sia l’occasione giusta per allargare lo sguardo su quelle realtà attorno a noi che, pur tra contraddizioni e difficoltà, incarnano e sono le protagoniste di storie speculative in divenire dove non solo si vive quella “vita degna di essere vissuta” ma si ricompone anche la frattura metabolica tra “uomo” e natura, tra città e campagna, tra lavoro produttivo e lavoro riproduttivo. Parliamo di commons, riferendoci in questo momento a chi persegue l’autodeterminazione alimentare e non alle esperienze cittadine che non riescono ad autoriprodursi all’esterno del capitale. Massimo De Angelis puntualissimo ci spiega come sistemi che si dedicano alla ridondanza3, alla cura del corpo vivente, siano più “attrezzati” nell’affrontare momenti di crisi come quello attuale.

Effettivamente, nel confronto avuto con Niccolò dal presidio di Mondeggi Bene Comune riguardo la nostra quotidianità, è risultato evidente che il loro vivere ha subito molte meno alterazioni e la qualità delle giornate è migliore per chi, circondato da compagne/i di vita, ha il vantaggio di vivere in campagna e l’occasione di curare reciprocamente la solitudine e la mancanza dei propri cari.

Due mesi di distanziamento sociale hanno atomizzato in maniera ancor più marcata la maggior parte delle vite, sottolineando i divari di classe e di genere: non per tutte/i la casa è luogo comodo e sicuro dove trascorrere le proprie giornate. La socialità si vive, per chi può, dal balcone ma nella stragrande maggioranza dei casi è veicolata da piattaforme social che acuiscono quel senso di spaesamento, di distanza, di alienazione dalla normalità, il tutto a vantaggio del capitalismo di sorveglianza che monetizza le nostre interazioni. Non si tratta qui di intendere la vita delle/i commoners come priva di ovvi cambiamenti, anzi, l’esistenza di molte realtà contadine di autoproduzione è minacciata dalla chiusura dei mercati. Costrette/i a guardarci negli occhi attraverso uno schermo, anche i momenti di acquisto nelle piazze sono contingentati e ritenuti possibili momenti di contaminazione, da qui la decisione della chiusura dei mercati su tutto il territorio nazionale. Si è deciso di privilegiare la grande distribuzione e la grande industria a scapito di uno degli ultimi baluardi di connessione tra il tessuto rurale e quello urbano: il paradosso è evidente. La rete di Genuino Clandestino ci ricorda che “l’autonomia e l’autodeterminazione alimentare di un territorio sono elementi fondanti del suo bagaglio di anticorpi per rispondere alle crisi ed alle emergenze, per avere comunità resilienti in grado di far fronte a situazioni di difficoltà.”

Dalla situazione dei mercati è evidente come il potere contrattuale delle reti mercatali, di tutte le esperienze di autoproduzione e del movimento dei commons sia, nel dibattito pubblico e nei movimenti, quasi inesistente. Siamo consapevoli che il percorso verso l’amplificazione di queste voci e anche verso l’aumento di tali esperienze e la loro messa in rete sia lungo e difficile, soprattutto alla luce di una futura crisi economica. Una possibile base materiale d’inizio potrebbe essere quella proposta da Stefania Barca che immagina l’istituzione del Reddito di Cura come il primo passo verso l’armonizzazione dell’esistente dando la possibilità a coloro le/i quali si dedicano alla “cura delle persone e/o degli ambienti urbani e rurali”4 di liberarsi dal giogo produttivo e salariale, unica fonte di sostentamento.

Ma non dimentichiamo anche esperienze esistenti e funzionali come le CSA, comunità a supporto dell’agricoltura, che ormai da diversi anni propongono nuove forme di scambio economico attraverso il finanziamento annuale di gruppi di soci a cui sono garantiti la qualità e la stagionalità dei prodotti e assicurano agli agricoltori il lavoro in un meccanismo confortevole anche in tempi di crisi. Pensare ad esempi virtuosi di gestione comunitaria della terra ci aiuta anche a sottolineare la condizione di sfruttamento strutturale dei lavoratori e delle lavoratrici delle immense enclosures della grande distribuzione puntualmente migranti, sottopagate/i, costantemente ricattabili e costretti a vivere in ghetti fatiscenti senza alcun diritto.

Porre l’accento su questa questione consente di incrociare virtuosamente lotte, incarnando nel commoning una nuova trasversalità nella quale si incontrano battaglie spesso scollegate, quali quelle per la libertà di movimento e di accesso ai documenti per le/i migranti, quelle per l’autodeterminazione alimentare, per la giustizia climatica e la lotta femminista.

Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità è il problema ma è paradossale che, ci ripetiamo, chi riproduce alternative è relegato ai margini del pensiero persino da chi immagina altri mondi.

Abbiamo il dovere di ascoltare le storie di chi, rifondando completamente l’idea di comunità, giornalmente lotta e lavora per esistere al di fuori del mercato, crea ed elabora comunità intese come qualità dei rapporti (Federici 2018). Abbiamo bisogno di una pratica forte da contrapporre al realismo capitalista dentro di noi.

 

Note

1 https://www.infoaut.org/approfondimenti/da-dove-e-arrivato-il-coronavirus-e-dove-ci-portera

2 https://not.neroeditions.com/dizionario-lo-chthulucene/

3 https://comune-info.net/luso-politico-dei-parassiti/

4 http://www.iaphitalia.org/dentro-e-oltre-la-pandemia-pretendiamo-il-reddito-di-cura-e-un-green-new-deal-femminista/?fbclid=IwAR1j9ZLaqrgTzxjAhL0frMFMczj5a9KLoEwkKFKkCEJIwO4PUJA1YZFcp0g

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