Per innovazione culturale si è inteso, in questi ultimi anni, l’innovazione di pratiche di produzione e promozione di oggetti e iniziative nell’ambito culturale. Un insieme variegato di iniziative che, tramontata l’epoca dell’industria culturale novecentesca, mutato radicalmente l’organizzazione del cosiddetto terzo settore e complice gli effetti della crisi dei subprime e del precariato fatto sistema in tutto il terziario avanzato, affronta le possibilità e i rischi che l’elettronica digitale comporta con attenzione alle loro ricadute sociali e alle comunità di riferimento.

Da più parti tra i lavoratori della conoscenza della network economy e del capitalismo digitale attivi nel settore culturale si è avvertita la necessità di trovare modi nuovi di fare cultura, facendo proprie pratiche di collaborazione, condivisione e co-creazione. Uno scenario peraltro in linea con gli impulsi che l’Unione Europea agisce attraverso strumenti come il Programma Quadro europeo per la Ricerca e l’Innovazione.

Per un certo periodo di tempo, questa configurazione sembrava offrire la possibilità di promuovere modi diversi e forse più etici di lavoro culturale. Ma le cose non stanno andando così.

L’innovazione culturale sta morendo o è già morta.

Chi ha visto questa scena, questo movimento, fare i primi passi, germinare e formarsi sa di cosa parlo. È da un po’ di tempo che le cose sono cambiate. È bene prenderne atto e sapere quali implicazioni ha. La volontà di trovare strade alternative, sperimentare metodi inediti, dare valore e spazio alle istanze comunitarie e creative per sviluppare dal basso progetti culturali di forma nuova, ha lasciato il posto alle formule smart del dire e del pensare, alle ricette pronte, all’impulso di conquistarsi una nicchia per darsi un posto e un senso nel mondo. Invenzioni creative e insorgenti sono diventate le forme uniche cui adattarsi. Le nuove pratiche sono diventate nuove norme.

Questo testo nasce dall’esigenza di indicare l’elefante nella stanza, pensando a quanti non si fanno irretire dalle sirene del nuovismo e del cambiamento fine a se stesso. Una parola per chi quotidianamente si spende per produrre e diffondere cultura. La trasformazione non è un destino segnato.

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L’innovazione culturale è morta perché l’innovazione o è radicale o è un trucco, un maquillage. Si cambia tutto per non cambiare niente. Una vecchia storia, niente di nuovo.

L’innovazione culturale è morta perché arroganza, edonismo, individualismo, professionismo urbano, sono un aspetto degli anni ’80 che avremmo preferito non rivedere.

L’innovazione culturale è morta perché l’innovazione o è un’invenzione, un espediente da insubordinati o, calata dall’alto, è solo una nuova norma agita dalla potenza dell’istituzione.

L’innovazione culturale è morta perché la resilienza oltre una certa soglia è solo una disciplina di adattamento che porta all’integrazione, alla sussunzione, all’assorbimento.

L’innovazione culturale è morta perché l’inclusione è una buona cosa solo se non è a tutti i costi, solo se non è un senso unico, solo se non costringe alla sola dimensione del profitto.

L’innovazione culturale è morta perché vengono valorizzate in misura sempre maggiore le iniziative imprenditoriali piuttosto che le ricadute a livello sociale.

L’innovazione culturale è morta perché ci sono più progettisti che buoni contenuti culturali.

L’innovazione culturale è morta perché troppa confusione tra l’intrattenimento e la creazione culturale.

L’innovazione culturale è morta perché non si è costruita nessuna proposta sistemica in grado di risolvere le difficoltà strutturali del settore culturale.

L’innovazione culturale è morta perché per opportunismi vari quella che era un tentativo di rispondere a una brutta situazione data è stata fatta passare per il modo “migliore” per fare cultura.

L’innovazione culturale è morta perché le location, gli eventi, il positioning, il fermento, i sogni, gli asset, i talk, gli hub, le community,

L’innovazione culturale è morta perché #socinn, #socent, #p2p, #sharing, #partecipazione #opensource, #openness.

L’innovazione culturale è morta perché le comunità non sono oggetti di cui disporre a proprio piacimento, non si maneggiano quando serve, se le condizioni lo permettono, si formano da sé per autopoiesi. Si compongono e si riconfigurano secondo i desideri più diversi.

L’innovazione culturale è morta perché la comunità non si attiva, non è un interruttore. C’è già, viene prima. Ognuno di noi è espressione di più comunità e ne attraversa diverse nel corso del tempo, o nello stesso tempo.

L’innovazione culturale è morta perché è la comunità che crea cultura e solo in un secondo momento, in un movimento di ritorno, la cultura crea comunità e coesione.

L’innovazione culturale è morta perché alla cultura non serve innovazione, se non a latere. È all’innovazione che è necessaria la cultura perché il suo esercizio (della cultura) è l’elemento trasformativo fondamentale, è atto relazionale e pratica collaborativa.

L’innovazione culturale è morta perché fare rete, fare partnership, lavorare sugli stakeholder senza rendersi conto che i portatori di interesse portano avanti solo gli interessi loro.

L’innovazione culturale è morta perché pensare in termini di pubblico vuol dire essere dentro la cornice concettuale della società dello spettacolo.

L’innovazione culturale è morta perché turismo, audience development, audience engagement non sono gli obiettivi.

L’innovazione culturale è morta perché “la cultura è il petrolio della nazione”.

L’innovazione culturale è morta perché cultura e beni culturali non sono la stessa cosa.

L’innovazione culturale è morta perché il tragico, il sublime e il bello non sono categorie merceologiche.

L’innovazione culturale è morta perché la scalabilità non è sostenibile, la sostenibilità è un feticcio.

L’innovazione culturale è morta perché la competizione, il self-branding, vendersi o svendersi.

L’innovazione culturale è morta perché le storielle dello storytelling non insegnano a crescere.

L’innovazione culturale è morta perché l’ispirazione è cosa da poeti, i pitch ispirazionali sono solo propaganda.

L’innovazione culturale è morta perché il cambiamento per il cambiamento non è rivoluzionario, non è riformista, non è socialdemocratico. È solo tautologico e privo di senso.

L’innovazione culturale è morta perché il cambiamento è una pratica quotidiana.

L’innovazione culturale è morta perché tra vecchi e nuovi paradigmi, l’unico a non cambiare mai è il nostro asservimento alle logiche del capitale. Liberismo, neo-liberismo, turbo-capitalismo, anarco-capitalismo.

L’innovazione culturale è morta perché il lavoro non è sempre esistito. La grande innovazione sociale per la cultura è la libertà dal lavoro.

L’innovazione culturale non muore se segue l’imprevisto, immagina l’ignoto e i modi stra-ordinari di vivere.

L’innovazione culturale non muore se porta a un maggiore benessere comune, a una trasformazione sociale.

L’innovazione culturale non muore se rompe il consenso, se, nel silenzio del lavoro quotidiano, lontano dai riflettori, si adopera per produrre qualità, coscienza, conflitto, emancipazione, gioia.

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