La quarta puntata dei commenti all’intervista di Gennaro Avallone a Jason Moore (qui la prima e la seconda parte).

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L’approccio dell’ecologia-mondo di Moore ha l’obiettivo non solo di sfidare teoricamente un’idea della storia, ma di proporsi come metodo di confronto e dibattito per generare una “prassi rivoluzionaria”, partecipando alla costruzione di un sapere emancipativo per una giustizia planetaria multi-specie. Certamente va rilevata la complessità teorico-metodologica, rigorosa e originale, espressa dall’opera; credo poi sia interessante vedere come diverse siano le possibilità di dialogo e confronto, a partire dalle riflessioni emergenti intorno alle crisi contemporanee e alle conversazioni e grammatiche prodotte in ambito accademico e non, per interpretare insieme le trasformazioni in atto nei processi di valorizzazione del capitale e le pratiche prodotte nella prospettiva della giustizia ecologica e sociale. Il ruolo delle resistenze e del conflitto appaiono infatti poco esplorate all’interno del modello del regime ecologico capitalista proposto da Moore, ma risultano fondamentali per un’analisi socio-ecologica in una prospettiva marxista.

Il metodo proposto da Moore ha come premessa una “filosofia orizzontale dell’umano nella rete della vita”, ovvero una concezione della storia umana come co-prodotta con ed entro le reti della vita. La geografia storica delle reti della vita si configura pertanto come condizione ontologica; i rapporti umani e sociali sono concepiti come prodotti delle reti della vita, ossia co-prodotti con la natura. Vi è qui una critica radicale a quella definita come “geocultura del capitalismo”, basata su due logiche: quella binaria che oppone Civiltà e Natura e quella strumentalista/utilitarista, necessaria a fare della Natura un progetto imperialista e di classe, ovvero di dominazione, appropriazione, colonialità, governo e sfruttamento, in funzione dell’accumulazione capitalistica. Secondo Moore, l’ontologia dualista implicita nella separazione società/natura deve essere analizzata nelle coordinate storiche della produzione della modernità capitalistica, a partire dal 1492. La logica binaria informa la praxis di sviluppo storico-mondiale del capitalismo come “fabbrica geoculturale di feticizzazione”, non solo nella alienazione e svalutazione della Natura, ma anche attraverso coordinate di genere e razza. L’opera di Moore, dialogando con il pensiero femminista, evidenzia il ruolo che ha il lavoro riproduttivo non remunerato (di donne, natura e colonie) rispetto alla produzione del valore, come lo ha il lavoro a basso costo (ad esempio per la produzione di cibo a basso costo), a cui pure concorrono i regimi migratori.

La teoria del sistema-mondo di Wallerstein è un riferimento importante, esplicitato, come metodo di analisi critica della modernità e per una world history “situata”, nella geografia e nelle reti della vita appunto. Ma l’ecologia-mondo non deve incorrere nello stesso determinismo derivante dal fare del sistema mondo l’oggetto di analisi. Come catturare infatti le forme e dinamiche della trasformazione della frontiera del capitale creatrice dell’ecologia mondo? Il metodo della comparazione incorporata, introdotto da McMichael (1990) può essere utile in questo senso, dal momento che si propone di mettere in relazione la storia (ecologico-geografica) del capitale con le sue determinazioni sociali attraverso l’analisi (sincronica e diacronica) delle relazioni di valore, nel tempo e nello spazio. Ad esempio, l’analisi dei regimi alimentari serve a leggere le interconnessioni tra i processi di ristrutturazione delle relazioni di valore agro-alimentari all’interno delle dinamiche metaboliche (di produzione e circolazione) del capitalismo a livello globale, attraverso l’individuazione di episodi che corrispondono alle forme di accumulazione (Friedmann, 2005; McMichael, 2013, 2018). Come dice Moore, il “metabolismo include flussi di corpi, potere e commodities”: il cibo è intrinseco alle relazioni di valore del capitale a livello globale, in quanto fondamentale per la produzione e riproduzione della forza lavoro, in co-produzione con la/nella natura. Ogni regime si basa sull’istituzionalizzazione delle forze politiche e socio-ecologiche, che strutturano le relazioni agro-alimentari, attraverso l’espansione di “spatial fixes”, l’approfondimento delle relazioni di mercato, la compressione dei tempi di lavoro e natura, ma anche forme di resistenza.

La crisi climatico-alimentare-energetica contemporanea è il prodotto dell’estrattivismo neoliberista. Nel corso dell’ultimo trentennio, le dinamiche neo-estrattiviste hanno riprodotto la geocultura del capitalismo, in modo violento e diverso, anche per effetto delle strategie di sviluppo (pure “progressiste”) e di valorizzazione nel quadro di un “consenso delle commodities” (Svampa, 2013) – forse mutato in un “consenso di Pechino” (Svampa M., Slipak, 2015) che ha ridefinito le relazioni di dipendenza e colonialità a livello globale. Tuttavia, il neo-estrattivismo non si configura più solo come processo di estrazione, espropriazione e trasferimento di risorse naturali. L’agricoltura industriale, la supermarketizzazione e finanziarizzazione, attraverso l’agricoltura a contratto, le forma diverse di land grabbing, la diffusione di monocolture flessibili per la produzione di alimenti, biocarburanti o mangimi animali (food-fuel-feed flex crops) (Borras et al., 2016), la cattura nelle value chain e l’orientamento all’esportazione, sono causa di degrado eco-sistemico, spoliazione e avvelenamento delle comunità locali, indebitamento e proletarizzazione di piccoli produttori e contadini (McMichael, 2018). La trasformazione escludente (decommonisation o commodisation), smaterializzazione, digitalizzazione e brevettazione della biodiversità e del cibo, nella bioeconomia, si configura come nuova forma di espansione della frontiera delle commodities, anche oltre i confini geografici (Vv.Aa., 2018). Tuttavia, queste trasformazioni, opponendo – in modo contraddittorio – alla temporalità della Natura quella del capitale, configurano la determinazione di un annullamento (override) biofisico e di valore (Weis, 2013) o, nei termini di Moore, di un valore negativo, considerando il sovra-consumo (o la sotto-riproduzione) della super natura (o del super valore) – “potential surplus labor time of the future”, necessario per la riproduzione sociale (Araghi, 2009).

Vi è però da porre in evidenza come l’accelerazione neo-estrattivista abbia determinato l’esplosione di conflitti socio-ambientali e la svolta eco-territoriale di questi, nel Sud come nel Nord globale, attraverso l’elaborazione di proposte per la costruzione di alternative allo sviluppo o dentro lo sviluppo, nella definizione di un post-estrattivismo. La svolta eco-territoriale ha elaborato un proprio linguaggio di valorizzazione che non reclama semplicemente le risorse naturali, ma la territorialità delle stesse, ovvero la co-produzione con le/nelle comunità, dunque beni comuni, sovranità alimentare, agroecologia, buen vivir (Svampa, 2010). Nella prospettiva ecologica è da leggere la ricomposizione della separazione territoriale fra città e campagna, alimentata dall’ottica sviluppista della modernizzazione, e la ridefinizione della questione agraria, oggi declinata come questione agraria del cibo, evidenziando appunto i rapporti socio-ecologici di produzione e riproduzione ed il ruolo dell’agricoltura contadina nella transizione neoliberista. Sono però anche le pratiche e i movimenti socio-ambientali, contadini e lavoratori della terra a concorre a questo cambiamento attraverso, la costruzione di una nuova politica eco-rurale e la produzione di “valore ecologico” (McMichael, 2015).

Come sottolinea Moore, l’attuale congiuntura storica sollecita lo sviluppo di dialoghi e di agende da parte di movimenti sociali anti-capitalisti, che risultano eterogenei in termini identitari e di appartenenza di classe. Borras (2019), ad esempio, evidenzia come al populismo autoritario di destra emergente negli ultimi anni possa essere contrapposto un (neo)populismo agrario progressista (people of the land), costruito intorno all’alleanza tra classi lavoratrici, rural‐basedo rural‐oriented, ed anche classi medie urbane, o a temi, come nel caso della piattaforma per la sovranità alimentare. Per promuovere riforme profonde e cambiamenti radicali, Patel e Moore (2017) definiscono degli obiettivi sintetizzati in 5R: Riconoscimento, a livello istituzionale e sistemico, della storia prodotta in una logica binaria e degli effetti in termini di dominazione, discriminazione ed esclusione; Riparazione ecologica, apprendendo a interagire con la rete della vita in modo diverso; Redistribuitone, o restituzione, non solo di risorse (e mezzi di produzione), ricchezza e potere, ma di tempo e spazio di vita; Re-immaginazione, del mondo in cui vorremmo vivere; Ricreazione, come svago, tempo liberato, piacere nel fare, affrancazione dall’etica del lavoro. In definitiva, come scrivono i due, “c’è un bisogno urgente di sognare un cambiamento più radicale rispetto all’offerta politica contemporanea”, ossia di una prassi rivoluzionaria.

 

Riferimenti bibliografici

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Friedmann H. (2005). From Colonialism to Green Capitalism: Social Movements and the Emergence of Food Regimes. In: Buttel F. H., McMichael P. D., eds, New Directions in the Sociology of Global Development. Emerald Group Publishing Limited.

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Patel R., Moore J. W. (2017). A history of the world in seven cheap things. Berkeley: University of California Press (ed.it. Una storia del mondo a buon mercato. Guida radicale agli inganni del capitalismo. Milano: Feltrinelli, 2018).

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Svampa M. (2013). Consenso de losCommodities” y lenguajes de valoración en América Latina. Nueva Sociedad,244: 30-46.

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Vv.Aa. (2018).“When Food Becomes Immaterial: Confronting the Digital Age”, Right to food and nutrition watch, n.10, https://www.righttofoodandnutrition.org/files/rtfn-watch-2018_eng.pdf

Weis T. (2010). The Accelerating  Biophysical Contradictions of Industrial Capitalist Agriculture. Journal of Agrarian Change, 10(3): 315-341.

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