Traduzione in portoghese, a cura di Uninomade Brasil, in calce al testo italiano

L’intervista a Frederic Lordon, pubblicata dal sito spagnolo LaMarea e tradotta in italiano da Effimera pone alcune questioni che richiedono un supplemento di riflessioni. Riflessioni problematiche, sicuramente non esaustive, magari provocatorie ma finalizzate ad aprire una discussione sia all’interno del variegato network di Effimera che altrove.

La questione politica posta da Lordon è molto chiara. Alla domanda: “Crede che vedremo un Podemos alla francese tenendo conto del contesto attuale?”, Lordon in modo netto risponde:

“Non credo e aggiungo che, dal mio canto, non lo desidero. Per essere chiaro, mi domando invece se Podemos non sia una specie di controesempio, il modello di quello che non dobbiamo fare: tornare al contesto elettorale, alla rinormalizzazione istituzionale. Tornare al gioco istituzionale è la morte assicurata di tutti i movimenti. Adesso ti domanderai, come trasformare queste riunioni in risultati politici affinché non siano successe invano? È una domanda strategica di primo ordine. La mia risposta per uscire da questa terribile tenaglia è che se tornare al gioco elettorale istituzionale significa la morte, allora non ci rimane altra soluzione che rifare le istituzioni, È per questo che credo che l’obiettivo politico che dobbiamo fissarci, …, consiste nel riscrivere la costituzione. … Dobbiamo scrivere la costituzione di una “repubblica sociale””.

Questa affermazione pone il tema politico della costruzione di una capacità di azione “autonoma” dal basso. La vicenda greca, al riguardo, ci ha dolorosamente aperto gli occhi, dissolvendo ogni possibile ingenuità rispetto ai meccanismi inquietanti a cui soggiace/è costretta a soggiacere la rappresentanza attuale, sul luogo e sul senso della decisione. Tutti elementi che potrebbero condurci a confermare lo svuotamento e il senso d’impotenza della politica di fronte a una nuova articolazione del potere capitalista di cui lo Stato diventa del tutto esplicitamente una delle componenti. Ci pare che anche le riflessioni portante avanti in questo periodo da parte di Uninomade Brasil, con coraggio e capacità di rimettersi dolorosamente in discussione, vadano in questo senso – pur dato un quadro di partenza estremamente diverso, rispetto al piano Europeo.

Autonomia politica, autonomia economica, autonomia di progettazione sociale, quindi. Essere “autonomi” oggi non significa riverniciare di nuovo i contenuti del concetto di autonomia così come era maturato negli anni Settanta all’interno di un’espansione del conflitto sociale dalla fabbrica alla società. Oggi essere “autonomi” non significa combattere il comando capitalistico per contendergli la gestione dello stesso potere (contro-potere). O almeno, non è solo questo, anche perché il comando capitalistico ha assunto nuove forme, pur non diminuendo la ferocia e la violenza. In altre parole, la pratica dell’insurrezione non è sufficiente, non solo perché lo squilibrio di forze è immane, ma perché muoversi sulla stessa logica del “loro” potere non ci interessa. Ciò che gli studenti, i precari, la moltitudine in lotta in Francia chiedono non è un emendamento della Loi Travail ma, come afferma Lordon:

“… la particolarità del movimento attuale sta … nel  criticare la situazione del lavoro e dei lavoratori in sé. È pertanto una critica al capitalismo”.

Potremmo aggiungere, che il movimento francese pone la questione del rifiuto del lavoro e della fine del lavoro: Fin du travail, vie magique, si è letto sui muri. Una questione oggi sempre più attuale, di fronte alle prospettive tecnologiche che si stanno aprendo nel campo della vita (bios) messa in produzione e quindi a valore, dalle bio-tecnologie alla bio-robotica. verso l’illusione di plasmare, controllare, sussumere il corpo-macchina presente e futuro.

Tale critica implica la necessità di costruire qui e ora forme di sperimentazioni “autonome” della cooperazione sociale e di quel “comune” (al singolare) che oggi viene espropriato, sussunto, catturato dal capitale. La scrittura di una “costituzione della “repubblica sociale” parte da qui.

26277220261_e549210e57_z

Foto Myléne Dordet, Nuit debout, Loi Travail à Rouen

 

Questo è stato il tema che ha innervato l’incontro organizzato da Effimera nell’ottobre 2015 dal titolo “Sovvertire l’infelicità”:

“L’indicazione per il “futuro” che proviene dall’incontro di Effimera (a cominciare dall’“essere poeti”) è quella di sviluppare competenze e semplici strumenti di servizio perché ciascuna esperienza autorganizzata, di azione e di pensiero, possa concretamente realizzarsi e autodeterminarsi, secondo le modalità più necessarie e più opportune. Se son rose, fioriranno”.

È micropolitica dal basso. Qualcuno potrà storcere il naso. Lo farà chi crede che bisogna combattere il potere al suo massimo livello (“dobbiamo prenderci la Bce!”) o chi pensa che uno o due  riot siano sufficienti.  Deleuze e Guattari  sostengono che la macropolitica si definisce per la sua rigidità e segmentarietà, mentre la micropolitica si definisce in termini di segmentazioni sottili e flussi di quanta, cioè in termini di ciò che passa e che sfugge. Il macro è il livello della cattura, il micro quello della ‘linea di fuga’. Il nome che loro danno alla macropolitica è molare, appunto per indicare la sua ‘mole’, la sua apparente rigidità. Il nome per la micropolitica invece è molecolare, per indicare appunto il livello dei flussi e delle singolarità o quanta

Linee di fuga, scrivono Deleuze e Guattari in Millepiani. Ma quali “linee di fuga”? Non certo scappare, ma confliggere, con la consapevolezza che dobbiamo operare per portare l’attacco al cuore dei mercati finanziari; ma non a livello macro, piuttosto a livello micro. Una battaglia per l’autodeterminazione e l’autonomia sociale e finanziaria. Ed è a tal fine che portiamo avanti la costruzione e la sperimentazione di circuiti finanziari alternativi fondati sulla moneta del comune, partendo dal micro per ambire al macro, senza rivendicare nulla.

Per questo, l’autonomia di cui parliamo è autonomia costituente, non semplice contro-potere, né semplice esodo.

Crediamo che qui stia la differenza sostanziale tra la Place del la Rèpublique di oggi e la  Place del la Rèpublique  post attentati terroristici dello scorso anno. La prima non chiede, né rivendica nulla a differenza della seconda che  invece chiedeva alle istituzioni di rimanere repubblicane di fronte all’emergenza del terrore (e di proteggere i cittadini). Sono due France del tutto diverse, quasi opposte, anche se potenzialmente ibridabili in linea teorica, ma “non adesso e qui”. Da un lato, la voglia e il desiderio di autonomia e autodeterminazione, dall’altro, la richiesta di partecipazione e di interlocuzione istituzionale. Al momento, per come noi vediamo essere le istituzioni nazionali e europee, inconciliabili.

Da che parte vogliamo stare?

26277225001_1dae507984_z

Foto Myléne Dordet, Nuit debout, Loi Travail à Rouen

Se osserviamo la situazione in Italia, c’è poco da stare allegri. La Loi Travail francese segue  e assimila il Jobs Act italiano, approvato, senza colpo ferire, lo scorso anno. L’istituzionalizzazione della precarietà come forma di organizzazione del lavoro dominante (ovvero la fine del contratto a tempo indeterminato), la liberalizzazione dei licenziamenti individuali, l’introduzione di misure di controllo della prestazione lavorativa, soprattutto laddove si svolgono funzioni cognitive e relazionali, è passata nel nostro paese senza nessuna indizione di qualche forma di protesta (se non sporadica) e nessuna forma di sciopero (meno che mai generalea). Perché in Francia, dove una struttura di movimento è meno presente e dove il tasso di sindacalizzazione è forse inferiore a quello italiano, abbiamo invece visto, nell’organizzazione della protesta, la presenza dei sindacati tradizionali e la saldatura  delle istanze del mondo studentesco e del lavoro, l’unione precari-studenti più che operai-studenti?

Forse perché il sindacato italiano è costituito più dai pensionati che dai lavoratori effettivi,  più impegnato a raccogliere firme per referendum abrogativi che, anche qualora dovessero vincere, hanno poca speranza di cambiare qualcosa (vedi referendum sull’acqua pubblica), perché è più impegnato a ribadire la centralità del lavoro salariato?

Forse perché, sulla stessa lunghezza d’onda, cerca di ricompattarsi, dopo l’ennesima sconfitta elettorale, una sinistra novecentesca e inadeguata a comprendere i processi attuali della valorizzazione e dello sfruttamento capitalista, tutta interna a un progetto politico-rappresentativo che vorrebbe approfittare dello spazio politico aperto da un PD che intende trasformarsi nel Partito della Nazione, al servizio delle attuali lobby di potere?

Forse perché i soggetti che più avrebbero ragioni per opporsi alla precarizzazione della vita sono i primi a non avere altro tempo di vita per poter far fronte al continuo e crescente ricatto a cui sono sottoposti?

Forse perché la galassia dell’antagonismo sociale italiano è troppo impegnata, anche in seguito ai colpi della repressione, a sopravvivere più che a vivere, incapace di sviluppare innovazione comunicativa e politica?

O forse perché – diciamolo con franchezza – le tematiche della precarietà sociale e della autonomia di vita non hanno mai attecchito (con lodevoli eccezioni, anni fa) nella eccessiva politicizzazione e autoreferenzialità del movimento antagonista italiano? E se vengono prese in considerazioni, si perdono in mille rivoli, di fatto corporativi…

Aprés Marx, Avril, si dice oggi in Francia.

Aprile, dolce dormire, si risponde in Italia.

*****

Autonomia e instituições: o que a França nos diz?

Traduzione del testo in portoghese (Brasile) a cura di UniNômade Brasil

Traduzido e promovido por UniNômade

 

A entrevista com Frederic Lordon, feita pelo site espanhol Marea, colocou algumas questões que nos instigam uma reflexão adicional. São reflexões problemáticas, que certamente não se esgotam, talvez provocativas, porém voltadas a abrir uma discussão.

A questão política colocada por Lordon é bem clara. À pergunta: “Acredita que veremos um Podemos à francesa levando em conta o atual contexto”, Lordon responde sem rodeios:

“Não acredito e digo mais: de minha parte, não o desejo. Para deixar bem claro, me pergunto em vez disso se Podemos não seria uma espécie de contra-exemplo, o modelo do que não devemos fazer: isto é, voltar ao contexto eleitoral, à normalização institucional. Voltar ao jogo institucional é a morte certa para todos os movimentos. Agora te pergunto, como transformar essas mobilizações em resultados políticos de tal modo que não tenham acontecido em vão? É uma pergunta estratégica de primeira ordem. A minha resposta para sair desta terrível pinça é que, se voltar ao jogo eleitoral institucional significa a morte, então não nos resta outra solução senão refazer as instituições. É por isso que acredito que o objetivo político que devemos fixar-nos, (…) consiste na reescritura da Constituição. (…) Devemos reescrever a constituição de uma República Social.”

A afirmação acima põe o tema político da construção de uma capacidade de ação “autônoma” desde baixo. A experiência grega, de seu ponto de vista, serviu para nos abrir dolorosamente os olhos, dissolvendo qualquer possível ingenuidade quanto aos mecanismos inquietantes a que sucumbe e é levada a sucumbir a representação atual, o seu lugar e o seu senso de decisão. Todos esses são elementos que poderiam nos levar a confirmar o esvaziamento e a sensação de impotência da política, ante uma nova articulação do poder capitalista de que os estados se tornam total e explicitamente um dos componentes. Parece-nos que também as reflexões levadas em frente neste período, da parte da UniNômade Brasil, com a coragem e a capacidade de recolocar-se dolorosamente em discussão, caminham nesse sentido – dado um quadro de referência extremamente diverso, em relação ao plano europeu.

Autonomia política, autonomia econômica, autonomia de projeção social, portanto. Ser “autônomo” hoje não significa reenvernizar novamente os conteúdos do conceito de autonomia do modo como amadureceram nos anos ’70, na franja de uma expansão do conflito social da fábrica à sociedade. Ser “autônomo” não significa enfrentar o comando capitalista para concorrer à gestão desse mesmo mesmo poder (contrapoder). Ou, pelo menos, não é somente isto, também porque o comando capitalista assumiu novas formas enquanto manteve sua ferocidade e violência. Noutras palavras, a prática da insurreição não é suficiente, não somente porque o desequilíbrio de forças é imenso, como também não nos interessa mover-se sobre a mesma lógica do poder “deles”. Isto que os estudantes, os precários, a multidão em luta na França demandam não é uma emenda à Lei do Trabalho, mas sim, como diz Lordon:

“… a particularidade do movimento atual está… em criticar a situação do trabalho e dos trabalhadores em si. É, assim, uma crítica ao capitalismo.”

Podemos acrescentar que o movimento francês coloca a questão da recusa ao trabalho e de seu fim. Fin du travail, vie magique, se lê nos muros. Uma questão hoje mais atual, diante das perspectivas tecnológicas que se estão abrindo no campo da vida (bios) colocada para produzir e, por conseguinte, a ser-lhe atribuída valor, o que vai da biotecnologia à biorrobótica até a ilusão de plasmar, controlar, subsumir o corpo-máquina presente e futuro.

Tal crítica implica a necessidade de construir aqui e agora formas de experimentação “autônoma” da cooperação social e daquele “comum” (no singular) que hoje tem sido expropriado, subsumido, capturado pelo capital. A escrita de uma “constituição da República social” surge daqui.

Este foi o tema que vergastou o encontro organizado pela Effimera em outubro de 2015, com o título “Subverter a infelicidade”:

“A indicação para o ‘futuro’ que nasce do encontro de Effimera (a começar pelo ‘ser poeta’) consiste em desenvolver competências e instrumentos simples de serviço, de modo que qualquer que seja a experiência auto-organizada, de ação e pensamento, ela possa concretamente realizar-se e autodeterminar-se, segundo as modalidades mais necessárias e oportunas. Se são rosas, florescerão.”

É micropolítica desde baixo. Qualquer um poderá torcer o nariz e o farão aqueles que acreditam que se deve combater o poder em seu máximo grau (“devemos tomar de assalto o banco central!”) ou que pensam que uma ou duas rebeliões seriam suficientes para mudar as coisas. Deleuze e Guattari argumentam que a macropolítica se define pela sua rigidez e segmentariedade, enquanto a micropolítica se define em termos de segmentações sutis e fluxos de quanta, isto é, em termos do que passa e foge. O macro é o nível da captura, o micro da linha de fuga. Os autores chamam de “molar” o nível da macropolítica, para indicar a sua rigidez aparente. E chamam de “molecular” a micropolítica, para indicar precisamente o nível dos fluxos e das singularidades ou quanta.

Linhas de fuga, escrevem Deleuze e Guattari em Mil platôs. Mas quais “linhas de fuga”? Não certamente escapar, mas fazer o conflito, com a consciência de que devemos agir e fazer para levar o ataque ao coração dos mercados financeiros. Mas no nível micro. Uma batalha pela autodeterminação e a autonomia social e financeira. E é com tal finalidade que levamos em frente a construção e a experimentação de circuitos financeiros alternativos fundados sobre a moeda do comum, partindo do micro para ambicionar o macro, e sem reivindicar nada.

Por isso, a autonomia de que falamos é autonomia constituinte, e não simples contrapoder, nem simples êxodo.

Acreditamos que aqui esteja a diferença substantiva entre a Place del la Rèpublique de hoje e a Place del la Rèpublique de depois dos atentados terroristas do ano  passado. A primeira não demanda nem reivindica nada, diferente da segunda, que demandava às instituições que permanecessem republicanas diante da emergência do terror. São duas Franças totalmente diversas, quase opostas, ainda que potencialmente miscíveis. De um lado, o querer e o desejo de autonomia e autodeterminação, do outro, a demanda por participação e interlocução institucional.

De que lado queremos estar?
 

* * * * *

Se olharmos a situação na Itália, temos pouco motivo para alegria. A Lei Trabalho francesa acompanha e assimila o Jobs Act italiano, aprovado sem que se dissesse sequer um a, no ano passado. A institucionalização da precariedade como forma de trabalho dominante (ou melhor, o fim do contrato por tempo indeterminado), a liberação das demissões individuais, a introdução de medidas de controle da prestação laboral, sobretudo onde se desenvolvem as funções cognitivas e relacionais, foi aprovada em nosso país sem nenhuma indicação de qualquer tipo de protesto (ainda que esporádico) e de nenhuma forma de greve. Porque é que na França, onde uma estrutura de movimento é menos presente e a taxa de sindicalização bastante inferior do que na Itália, temos ao contrário visto nas organizações dos protestos a presença dos sindicatos tradicionais e a soldagem de instâncias do mundo estudantil e do trabalho, com a união precários-estudantes mais do que operários-estudantes?

Talvez porque o sindicato italiano seja constituído mais por aposentados que trabalhadores efetivos, mais empenhados em recolher assinaturas para referendos revocatórios os quais, mesmo que venham a ser aprovados, nada mudarão de verdade (ver o referendo sobre a água pública), ou mais empenhados em confirmar a centralidade do trabalho assalariado?

Talvez porque sobre o mesmo comprimento da onda próxima de achatar-se, depois do enésimo fiasco eleitoral, uma esquerda novecentista e inadequada para compreender os processos atuais de valorização e exploração capitalistas, e totalmente interna a um projeto político-representativo a fim de beneficiar-se do espaço aberto por um Partido Democrático (atualmente no governo, partido do premiê Renzi), o mesmo que pretende transformar-se em Partido da Nação, a serviço dos atuais lobbies do poder?

Talvez porque os sujeitos que mais teriam razão em opor-se à precarização da vida sejam os primeiros a não dispor de outro tempo de vida que não aquele usado para enfrentar a contínua e crescente chantagem a que são submetidos?

Talvez porque a galáxia dos antagonismos sociais italianos esteja empenhada demais, inclusive na sequência dos golpes da repressão, mais em sobreviver do que em viver, incapaz de desenvolver inovações comunicativas e políticas?

Ou talvez porque – digamo-lo com franqueza – as temáticas da precariedade social e da autonomia de vida não tenham nunca pegado (com louváveis exceções, há alguns anos) em meio à excessiva politização e autorreferencialidade do movimento antagonista italiano? E quando tais temas são eventualmente levados em consideração, acabam perdendo-se entre os milhares de riachos de fatos corporativos.

Aprés Mar(x)z, Avril, se diz hoje na França.

Aprile, dolce dormire, se responde na Itália.

 

Immagine in apertura: Nuit Debout a Nice, da Liberation (Fr)

Print Friendly, PDF & Email