Reportage #6 dal confine di Ventimiglia, Italia

Siamo arrivati a Ventimiglia alle 10:50 il 14 maggio.
Alla stazione vediamo la solita situazione: stranieri che vengono chiamati con fischi e urla dalla polizia : “ce li hai i documenti?”, “Vieni qua! Fuori!”. Stiamo un po’ a vedere che succede. Sembra che trattengano a lungo un ragazzo con la carta di identità mentre mandano di nuovo sul treno uno più giovane che dichiara apertamente di non avere nessun documento. Ci rechiamo verso l’uscita e, come l’estate scorsa, fuori incontriamo un gran numero di persone in atteggiamento di attesa (circa 100).
Andiamo al fiume dove sappiamo essere di nuovo accampate numerose persone.
La situazione qui è molto peggiorata e chiaramente invivibile. I ragazzi dormono in piccoli gruppi in aree separate del greto del fiume, alcuni in mezzo alla spazzatura, con grossi topi e piccioni che gli girano intorno. Parliamo con i primi che incontriamo sotto al ponte.

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Uno è un eritreo di 20 anni circa con una ferita sulla fronte, completamente pieno di sangue, lo medichiamo e diamo lui degli antibiotici. Parla bene italiano. Non sa come si è ferito, dice di aver bevuto molto e appare ancora disorientato e fisicamente instabile. Si lava la faccia con l’acqua dellebnostre bottiglie. Ha solo una scarpa ma non ha la pazienza e la forza di raggiungere la chiesa per chiedere dei vestiti nuovi.

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Anche il suo amico ha un taglio che sembra infetto sul polso. Mentre parliamo con lui animali di ogni genere mangiano nella spazzatura intorno al posto dove dorme. Parliamo con loro almeno di eliminare tutta quella roba dove dormono, anche se staranno lì solo un altro giorno, per ridurre il problema degli animali.

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Spostandoci lungo la riva del fiume, incontriamo moltissime persone, molti hanno la scabbia, alcuni problemi di dolori muscolari per aver camminato a piedi fino in Francia, altri ancora con dolori addominali. Un ex soldato del Gambia, ci racconta di avere dei problemi oculari per essere stato ripetutamente colpito al volto in Libia. Un ragazzo sudanese ci dice di aver lavorato gratuitamente a Trento per tre mesi (il suo datore di lavoro lo chiamava “tirocinio” e diceva di voler prolungare questo tirocinio gratuito per ulteriori tre mesi). Un 32enne Afghano della zona di Nangarhar, ci racconta con un italiano perfetto di aver studiato farmacia in Afghanistan, di aver vissuto a Verona per due anni e poi di essere ripartito per mancanza di lavoro.

Quando chiediamo loro se riescono a procurarsi abbastanza acqua, un sudanese poco più che ventenne (che in Sudan studiava medicina) ci dice che tutti bevono l’acqua del fiume. Cerchiamo di convincere tutti che bere quell’acqua può essere molto pericoloso, che devono andare a prendere l’acqua da una fontana pubblica, ma ci rispondono che hanno paura perché chiunque si allontani da quel luogo viene arrestato dalla polizia. A questo punto andiamo a comprare delle taniche(per 150 litri), chiediamo a una famiglia rom che nel frattempo passa di lì dove sarebbe il posto migliore per procurarsi dell’acqua, ci spiegano che una possibilità è una fontana nel cimitero proprio dall’altra parte della strada. Ci sembra una posizione troppo pericolosa, pensiamo che un andirivieni di ragazzi neri che dormono sul fiume e che vanno a procurarsi l’acqua al cimitero di Ventimiglia sarebbe eccessivamente evidente. Insieme a loro scegliamo quindi di recarci ad una fontana a circa 500 metri da dove ci troviamo, verso la periferia. Ripetiamo al ragazzo che aveva studiato medicina di spiegare anche a tutti i nuovi arrivati al campo di usare quel metodo e smettere di bere l’acqua del fiume.

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Altri ragazzi che passano, provenienti dal campo della croce rossa e diretti verso il centro ci aiutano a portare le taniche molto pesanti all’accampamento. Nel frattempo varie persone dall’aspetto quanto meno losco si avvicinano ai ragazzi per parlargli, uno si allontana con due di loro che stanno portando l’acqua. Ci accorgiamo che il tipo losco ha comprato una bottiglia di whiskey e sono già mezzi ubriachi quando arrivano al campo.

Proviamo a parlare con loro del fatto che molti soggetti pericolosi tenteranno di approfittarsi della loro situazione e che bere molto non li aiuterà di certo, il nostro quasi collega ci risponde: “Is this place, my brain is lost”.

Dopo la redistribuzione delle taniche decidiamo di allontanarci per mangiare qualcosa.
Ritorniamo dopo un’ora, dopo aver documentato con alcune foto i luoghi prima descritti, vediamo uscire dalle cavità delle arcate del ponte ferroviario un paio di ragazzini, seguiti da altri 3, che ci dicono di avere tra i 15 e i 17 anni (minorenni ma troppo grandi per essere accolti nella chiesa). Vivono in quel buco malsano da 2 settimane, hanno tutti la scabbia. Raccontiamo loro di aver preso le taniche per l’acqua potabile raccomandandogli di non bere più l’acqua del fiume e gli consegnamo degli antistaminici per il prurito (abbiamo finito la crema antiscabbia). Li invitiamo a cercare lunedì un medico volontario per avere la terapia completa al più presto. Nonostante lo schifo in cui vivono ci ringraziano molto per il nostro interessamento.

Lia e Antonio

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