Continuano i report da Buenos Aires di Franco Berardi Bifo. Sempre in attesa del G20. Qui la prima puntata.

****

20 novembre 2018

E’ mai possibile che in una metropoli di tredici milioni di abitanti debbano venire a mettere un ordigno proprio sotto casa mia? Alejandro, il giovanotto che mi ospita in questo airbnb piuttosto comodo e luminoso mi aveva detto, rassicurante, che l’appartamento è super sicuro perché, mi ha detto indicando fuori dalla finestra la bandiera a stelle e strisce, siamo proprio dietro l’ambasciata americana, il posto è super-sorvegliato.

Io sto tranquillo, ma stamattina affacciandomi al balcone ho visto che c’erano telecamere, giornalisti e auto di polizia. Sono sceso per informarmi e mi hanno detto che era stato ritrovato un oggetto sospetto: un barattolo di latta con una specie di bussola o di sveglia non s’è capito.

Uno scherzo? un errore? una provocazione? Chi lo sa.

Oggi la Ministra della Sicurezza Patricia Bullrich (la Salvini argentina) ha comunicato le misure di protezione per il summit del 30 novembre. Aeroparque sarà operativo solo per le comitive che assistono al summit, e sarà chiuso tra il 29 novembre e il primo dicembre.  Ventiduemila effettivi di polizia e dell’esercito proteggeranno la città. Nella zona di Porto Madero, divieto di qualsiasi movimento in acqua mare e terra.

Quattrocento militari americani accompagnano Trump e prendono stanza nella città oltre il Rio de la Plata, Montevideo. Il parlamento urugajo ha dovuto trangugiare l’amaro boccone di questa sorta di invasione. 

Il quotidiano derechista La Nacion lancia l’allarme per l’arrivo dei soliti black bloc.

https://www.lanacion.com.ar/2193584-cuales-son-grupos-amenazan-revolucionar-calles-durante

Macri come Macron

Il Senato argentino ha approvato la legge di bilancio.

Il governo Macri, su ispirazione del Fondo Monetario Internazionale (l’organismo che portò l’Argentina alla catastrofe del 2001), ha messo in moto un processo di indebitamento e rovina, esattamente come allora.

La tenacia dell’assolutismo finanziario è pari soltanto alla mancanza di fantasia. La cura è la stessa: indebitamento, privatizzazioni, attacco al salario, impoverimento.

Quasi il 50% di inflazione nel 2018, cento per cento di svalutazione, riduzione del 20% della capacità acquisitiva del salario, chiusura di migliaia di piccole imprese. E il 2019 si annuncia peggiore. 

Di conseguenza si sono avviate misure di riduzione della spesa per la salute e l’educazione, perché la voce che aumenta fin da subito è il pagamento del debito appena contratto.

Commenta Stelios Keliouglo, un eurodeputato greco intervistato da Pagina 12 durante una sua visita in Argentina: “In due anni Macri ha più che duplicato il debito esterno, quasi duplicato la disoccupazione, ha duplicato la povertà, e moltiplicato varie volte i prezzi dei servizi pubblici, distruggendo la moneta nazionale.”

Macri, come Macron, sta furiosamente tentando di sottomettere la società argentina all’estremismo neoliberale, ma la società argentina sembra offrire una resistenza particolarmente tenace di fronte alla ripetuta offensiva dell’assolutismo capitalista. Menem negli anni ’90 aggredì lo stato sociale di origine peronista, privatizzò interi comparti della produzione e dei servizi, e si indebitò preparando la catastrofe del corralito 2001. Ora ci sta provando Macri. Ma sembra che la società argentina resista come solo la società francese è stata finora capace di fare, sia pure in modo sempre più ambiguo, con l’influenza crescente del Front National e dell’equivoco melanchonismo.

Come spiegare la resistenza spontanea di questo paese? Posso avanzare l’ipotesi che il peronismo, un fenomeno che confesso di non avere mai capito a pieno, e che solo adesso comincio un poco a mettere a fuoco, ha costituito una base di stato sociale più solida di quella che è stata lasciata in eredità dal comunismo sovietico. Sta di fatto che i sindacati peronisti non hanno perduto forza negli ultimi decenni, e il grado di sindacalizzazione del lavoro dipendente è rimasto immutato negli ultimi cinquanta anni.

Macri sta ora tentando l’assalto finale alla resistenza peronista della società.

Per farlo deve dividere il peronismo, e questo è riuscito a farlo, coinvolgendo una componente del partito giustizialista. Ma deve anche convincere la gente a guardare da un’altra parte mentre si compie l’operazione di indebitamento suicida: deve concentrare l’attenzione su pericoli terroristi inesistenti (come il barattolo di latta sotto casa mia), e sulla corruzione del kirchnerismo passato.

Domenica pioveva a dirotto su Buenos Aires. Il taxista mi parla del sottomarino che è stato ritrovato sul fondo con i suoi quaranta morti, e mi dà una spiegazione di quello che sarebbe successo secondo lui. “Il sottomarino era nuovo ma aveva le batterie scariche, perché il governo di Cristina Kirchner, che era molto corrotto, per rubare un po’ di denaro non aveva messo le batterie nuove.”

Forse il mio tassista ha ragione, chi lo sa. Non posso smentirlo perché nessuno sa quale sia la causa dell’affondamento del sottomarino. Ma l’anti-kirchnerismo (come l’anti-petismo in Brasile) è un argomento costante del dilagante discorso pentecostale.

Il dilagare della (in)cultura pentecostale in Argentina come in Brasile sembra incontenibile. Il fantasma reale della corruzione serve a spostare la rabbia della società contro il ceto politico.  Sposata con l’ignoranza e la voglia di vendetta la democrazia è una bomba antisociale. Una bomba che non smette di esplodere. 

trans

In attesa che arrivino i capi delle venti grandi potenze economiche del mondo, la Ministra della Sicurezza Patricia Bullrich invita la popolazione ad abbandonare la città nei giorni del summit, e intanto si arrestano anarchici in un barrio perché secondo la polizia preparano attentati contro il g20. Una donna ha messo una bomba sulla tomba di un militare poi si è fatta un selfie accanto alla tomba-bomba, ma la bomba è esplosa, e l’attentatrice è in ospedale, gravemente ferita.

Non mi sembra che in città ci siano i prodromi di una rivolta. C’è un subbuglio confuso, un’ansia fortemente sessualizzata, un abbracciarsi frenetico, un’esibizione carnale di disprezzo per l’inevitabile. 

Il 17 e 18 di novembre c’è un appuntamento anti G-20 che si chiama LA CRIATURA: artisti radicali, performer, video-attivisti si danno appuntamento al teatro Matienzo, dove la scrittrice traves Marlene Awyar presenta il libro Travesti/ Una teoria lo suficientemente buena, e dove una attivista trans che si chiama Viviana Gonzales parla (con grande forza drammatica) della sua esperienza: l’infanzia con una madre maltrattata, l’abbandono del padre, il desiderio frustrato di andare a scuola, la prostituzione, il cancro, la chemioterapia, e infine l’incontro con attiviste che le permettono di seguire un corso di formazione e la scoperta della cultura, della poesia, dell’arte. 

Nelle stesse ore dell’incontro cui ho partecipato al Matienzo si svolge una manifestazione trans nelle vie della città.

Predomina il discorso trave/trans/queer, che sembra tenere insieme in modo schizoide frammenti di ansietà che hanno perduto ogni speranza di ricomposizione, ogni possibilità di riconoscimento reciproco, ogni energia offensiva. Lo scenario mi ricorda Cabaret (il film di Bob Fosse con Liza Minnelli): Weimar moltiplicato cento volte, una Weimar globale in cui la trasgressione libertaria si scatena in una danza sull’orlo dell’abisso nero del nazismo.

C’è una faccia nascosta, però, dell’esplosione queer, che mi interessa cogliere.

Una faccia enigmatica, che assimila la cultura trans latino-americana alla figura di Malinche, la donna che tradì il suo popolo per tradurre la parola del conquistador Cortes, ma poi tradì la parola del conquistatore traducendola a modo suo per il suo popolo. La Malinche di cui parla Octavio Paz in Hijos de la chingada, è la figura ambigua che tradisce ogni identità per trasmettere un messaggio a chi verrà.

E’ il tradimento trans che mi interessa, questo fuoriuscire dei corpi dalla loro natura sessuale. 

E’ facile capire che l’ostentazione massiccia della cultura queer è una catastrofe politica, una provocazione che scatena la reazione integralista, le religioni sintetiche: gli episcopalisti, i pentecostali, gli evangelisti e tutta questa merda fanatica in America Latina ha cento milioni di seguaci.

D’altra parte la cultura queer segnala l’irriducibilità della vita all’assolutismo del capitale.

Il libro di Marlene Wayar, la scrittrice trans che ho conosciuto al Matienzo, si apre con queste parole scritte da Susy Shock, autrice del Prologo:

“Di quale pazienza di ragna tessitrice è fatta la Wayar? Sta tessendo teoria in un mondo di fallimenti assoluti, tutti questi fallimenti, nel mezzo della festa degli ego, i nessuni, le assenze, il disabbraccio, lo stato del non diritto, l’ingannevole fede in pezzetti di cittadinanza e dignità… Tutto è molto confuso nel frattempo, e non smettiamo di morire perché abbiamo nella prostituzione la sola possibile sussistenza, una volta che l’espulsione dal focolare domestico fa di noi una comunità che cresce nella strada, fin da bambine, nella povertà, mentre si allunga fatalmente la lista dei travesticidi, corollario della nostra vita.”

E Wayar, nelle pagine successive, scrive:

“L’umanità è intesa come realtà sistemica eterocentrata uomo-donna, dalla cui intesa binaria discende il fatto che, dal momento che viene enunciata la legge primordiale “Non uccidere”, la morte diviene il business più produttivo del macro-sistema: civiltà eterosessuali contro altre civiltà eterosessuali. E nel micro-sistema famiglie e focolari eterosessuali violentano, espellono e perfino uccidono per azione e per omissione i loro figli. Per questo dal punto di vista della teoria trans Latino-Americana affermiamo che: “Non intendiamo più essere questa Umanità”.

Il radicalismo trans mi pare essere la sola forma culturale capace non dico di interpretare però di percepire e di esprimere la mutazione post-umana.

la battaglia persa 

Tutto intorno fallimenti giganteschi: Paradise brucia in California, e il fumo degli incendi copre di polvere tossica la costa occidentale fino al ponte di San Francisco. Folle di disperati in carovana risalgono il Centro America e infine sostano alla frontiera di Tijuana dove si innalza un muro di reti metalliche e di cemento, mentre un esercito di quindicimila armati trumpisti si prepara a sparare a chiunque riesca a varcare la frontiera, da solo o in carovana. 

Dopo il fallimento del vertice dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec), lo scontro tra Stati Uniti e Cina sta diventando il tema su cui si giocherà il summit di Buenos Aires del 30 novembre-1 dicembre. Abbandonando il summit asiatico Xi Jinping ha detto che per l’intransigenza tariffaria americana inizia una nuova guerra fredda. Nel frattempo il mondo occidentale si sgretola, Trump insulta la Francia, e la demenza della Brexit ha portato gli inglesi sull’orlo della crisi di nervi.

Alla fine della storia della moderna politica (maschile) tocca alle donne combattere la battaglia perduta. L’ipocrisia della sinistra ci fa credere che le donne hanno finalmente la possibilità di gestire il potere che un tempo era solo maschile. Menzogna. Le donne (Dilma, Cristina, Hillary, Angela) sono state chiamate sulla scena per combattere l’ultima (persa in partenza) battaglia della politica. Bill Clinton, Tony Blair, Gerhardt Schroeder, Massimo D’Alema, François Hollande, Matteo Renzi, questi ultimi potenti della sinistra hanno venduto l’anima all’assolutismo del capitale denominato neo-liberismo, e soprattutto hanno venduto la società solidale all’automa tecno-finanziario.

Poi il presidente nero ci ha provato senza cavare un ragno dal buco ed eccitando il suprematismo inferocito della (ancor per poco) maggioranza bianca, e ora alle donne viene lasciato il compito di combattere la battaglia persa, di affrontare dei violenti come il Donald e il Jair, maschi specializzati nell’umiliazione e nell’insulto, seppellitori della democrazia. Hillary Dilma Cristina e adesso Angela sconfitte sul campo di questa ultima battaglia della politica, prima che il buio e la violenza invadano la scena.

depra 

Sull’Argentina splende l’astro di Alejandro Rozichner, che pur essendo figlio di un filosofo radicale e progressista oggi rappresenta la cultura di punta dell’offensiva macrista. Il messaggio di Rozichner nasce da una reazione contro la depressione della sinistra, contro l’effetto ammosciante e triste del pensiero critico e della conflittualità sociale.

“Il pensiero critico è un valore negativo”, afferma Rozichner in un’intervista, “I docenti vogliono che i loro alunni sviluppino un pensiero critico come se la cosa più importante fosse concentrarsi sulle trappole della società. Questo punto di vista è inefficace. Come possiamo educare i bambini in maniera utile? Come facciamo a renderli più felici, capaci e produttivi? Quel che propongo è che i docenti assumano la sfida di sviluppare l’entusiasmo degli alunni, la voglia di fare, l’interesse per qualcosa, il desiderio di avanzare e di crescere.”

Rozichner, per parte sua, organizza dei laboratori di entusiasmo, e nelle sue parole risuona l’eco dell’inno alla gioia della gioventù hitleriana.

Ma senza andare così lontano quello di Rozichner è il discorso che in Italia ha animato lo stile berlusconiano. La lotta di classe si fonda sull’invidia, e gli invidiosi incapaci di vincere avvelenano l’atmosfera sociale. Viva il partito dell’amore a reti Mediaset-Rai unificate. 

Più recentemente Matteo Salvini ha toccato un tasto potente alludendo al fatto che gli italiani sono depressi e prendono troppi psicofarmaci. E non fanno figli. 

In una foto che riproduce il Ministro degli Interni circondato da bambini di una scuola, da un lato c’è un ragazzino un po’ solo e malinconico, con la maglietta rossa, l’unico che non sorride. Miracolosa metafora del felicismo comunitario.

C’è un modo semplice per liberarsi dalla depressione: la violenza, l’aggressione, il pogrom, l’omicidio. Il depresso è pronto a qualsiasi cosa pur di sentire di nuovo l’eccitazione del desiderio di vita. E nulla provoca questa eccitazione più efficacemente che la sfida della morte. 

Nel suo saggio Il Suicidio, pubblicato all’inizio del secolo passato, Emile Durkheim osservava che durante una guerra il numero dei suicidi diminuisce drasticamente. E’ naturale: quando c’è la guerra siamo così occupati a tentar di scampare al massacro che per un po’ dimentichiamo di suicidarci.

La guerra è la terapia per la depressione, e potremmo leggere il fascismo che riemerge e dilaga come una terapia d’urto contro la depressione. Adrenalina della violenza, anfetamina sparata nelle vene della collettività. E in effetti l’anfetamina solleva brutalmente l’organismo dalla depressione, e lo lancia in un’eccitata vertigine aggressiva. Ma occorre aumentare le dosi ogni giorno fin quando si finisce per buttarsi dalla finestra.

Come una notte senza luna

“Come una notte senza luna” è il titolo di un articolo di José Natanson, pubblicato da Le Monde Diplomatique edizione latino-americana.

In prima pagina un dettaglio del viso di Jair Bolsonaro. L’articolo delinea le possibili evoluzioni della situazione brasiliana, e le possibili ripercussioni sull’America latina.

In primo luogo si può prevedere che il nuovo presidente brasiliano, che è stato sergente o caporale o maresciallo (non ho mai avuto dimestichezza con i gradi militari) e venne allontanato dall’esercito per la sua eccessiva brutalità, consegnerà un potere ampio ai militari, senza bisogno di un colpo di stato classico. Ma qualcuno pensa (l’ho sentito dire da amici informati) che gli alti gradi dell’esercito non siano entusiasti di Bolsonaro, e si preparino a liberarsene (magari con le maniere brutali che si usano in quell’ambiente). Il vice di Bolsonaro, il generale Antonio Hamilton Martinas Mourao, potrebbe a quel punto prendere il posto di presidente liberandosi dell’imbarazzante sergente che ha preso il sopravvento.

Il problema principale di Bolsonaro (a parte guardarsi le spalle dai suoi amici) sarà il controllo militare delle metropoli, dopo il fallimento delle operazioni che il governo Lula tentò contro i gruppi armati che controllano le favelas, il mercato della droga e interi comparti della vita civile.

Ma è probabile che Bolsonaro scelga di non affrontare le formazioni criminali armate, e preferisca mostrare i muscoli contro i sem terra che occupano zone del territorio per produrre il fabbisogno alimentare delle comunità socialmente emarginate.

Certamente Bolsonaro cancellerà le misure di integrazione (azione affermativa) che hanno permesso alle minoranze etniche di entrare nelle università. Per finire Natanson osserva che la xenofobia è destinata a crescere, come dimostrano gli attacchi sistematici contro i migranti venezuelani.

“Nera come una notte senza luna, scrive Natanson alla fine del suo articolo, la formula bolsonariana fonde l’autoritarismo sociale con l’ultra-neoliberalismo economico.”

Ma la notte senza luna che è scesa sul Brasile è destinata ad avere effetti globali. Coloro che hanno sostenuto con maggior entusiasmo l’ascesa di Bolsonaro sono quelli che vogliono abolire o ridurre drasticamente le regole di preservazione delle foreste amazzoniche. 

Mentre bruciano le foreste californiane la vittoria di Bolsonaro suona campane a morte per i polmoni dell’intera umanità.

Print Friendly, PDF & Email