Il prossimo 19 luglio è una data bifronte per il Nicaragua. Daniel Ortega e Rosario Murillo, presidente e vicepresidente nonché consorte regnante di quella dittatura familiare insediata in Centro America, vorrebbero festeggiare “il trionfo” di 43 anni fa. Quando il 19 luglio del 1979 a Managua si insediò la Giunta di governo di Ricostruzione nazionale composta allora da Violeta Chamorro – vedova del giornalista Pedro Joaquin Chamorro assassinato per mano dei sicari del dittatore Anastasio Somoza Debayle appena fuggito con la cassa negli Usa – Moises Hassan, Sergio Ramirez, Alfonso Robelo e Daniel Ortega. Per il popolo del Nicaragua invece la data da commemorare con rabbia e dolore è il 19 luglio 2018 quando tutto il paese insorse contro la prepotenza della coppia al potere. Il popolo del Nicaragua il prossimo 19 luglio piangerà i suoi morti, più di 350 assassinati e migliaia di feriti nelle piazze, nei villaggi dei monti e della costa dai gruppi paramilitari e dalla polizia sandinista ormai trasformate in bande al servizio di Daniel Ortega e famiglia. Ricorderà con rabbia le decine di migliaia di esiliati, il paese impoverito dalla brutale repressione; dove continuano gli assassinii e le persecuzioni, gli assedi di armati alle case degli oppositori, i mezzi di informazioni chiusi e i pochi giornalisti che tentano di fare il loro mestieri perseguitati, le 900 organizzazioni non governative cancellate e, soprattutto le 190 persone (14 sono donne, 4 in isolamento) ancora in carcere, condannati sulla base di false accuse e falsi testimoni a un carcere duro che la Commissione dei diritti dell’uomo non esita a definire tortura. A incominciare da Dora Maria Telléz, la coraggiosa comandante guerrillera e storica di valore (La Sorbona di Parigi le ha appena concesso il dottorato “Honoris Causa” come omaggio a una eccezionale traiettoria politica e scientifica, il suo impegno sociale e internazionale) in isolamento nell’oscuro carcere de El Chipote da un anno, dal momento dell’arresto, di recente condannata a otto anni di carcere con l’accusa di “cospirazione” contro il regime. La cosiddetta cospirazione consiste nell’aver denunciato anche in campo internazionale la prepotenza di Ortega che non solo pretendeva di ripresentarsi per la quinta volta alle elezioni presidenziali, dopo quattro volte consecutive, ma per essere sicuro di vincere aveva fatto arrestare alla vigilia delle elezioni tutti i candidati alle presidenziali e le personalità politiche più in vista, proprio quegli antichi compagni di lotta diventati scomodi per le sue mire di potere assoluto.

Non c’è spazio per l’opposizione politica in Nicaragua, asserragliato nella residenza de El Carmen, il suo quartier generale, Ortega prova a sottomettere un intero paese con la paura ma i nicaraguensi non cedono. I social, i muri delle città e dei villaggi denunciano che quel “trionfo” è ormai macchiato del sangue del massacro di quel 19 aprile 2018 e di quelli che vennero dopo e che ancora continuano. Dicono: “il 19 luglio resta in casa per onorare la memoria del nostro aprile, per dimostrare il tuo rifiuto della dittatura, per la libertà dei prigionieri politici”.

Intanto una Commissioni di parlamentari di sinistra di diversi paesi dell’America Latina sono bloccati al confine tra Nicaragua e il Costa Rica, in località Peña Blanca, da uno schieramento di 300 militari tra esercito polizia e paramilitari con il compito di impedire, anche con le armi, l’entrata della delegazione internazionale. La Commissione internazionale si proponevano, come da richiesta ufficiale fatta pervenire per tempo al governo nicaraguense, di incontrare gli uomini e le donne imprigionate, sottoposte a regime durissimo, senza contatti con l’esterno e verificare le loro condizioni di salute. Infatti, le scarne notizie che arrivano da dentro sono allarmanti, denunciano condizioni di detenzioni durissime che hanno il sapore della vendetta di un dittatore che si sente accerchiato dal popolo e dal suo passato. (Rosella Simone)

******

LIBERTA’ PER DORA MARÍA TELLÉZ E PER LE DONNE E GLI UOMINI PRIGIONIERI IN NICARAGUA 

Di seguito, la lettera dolente e dignitosissima che Pinita Gurdian, parente di due detenute in isolamento, ha mandato all’Associazione degli esiliati e italiani solidali presente in Italia, SOS Italia-Nicaragua, per denunciare le condizioni di detenzione in quel paese.

******

“Uso questo spazio che, seppur piccolo, è l’unico che mi permette di gridare al mondo la mia angoscia e il mio dolore.

Le prigioniere politiche Dora Maria Téllez, Suyen Barahona, mia nipote Tamara Dávila e mia figlia Ana Margarita Vijil stanno scontando 387 giorni di detenzione e totalmente in isolamento. Ognuno in una cella separata, senza poter comunicare a parole o a gesti con alcuno, o leggere o scrivere. Il caso di Tamara è ancora più serio, perché la sua cella è chiusa a chiave. Alcune costrette al buio più totale, altre con la luce 24 ore su 24. Al freddo in questo periodo così piovoso e umido. Ad alcune hanno consegnato la trapunta che gli abbiamo portato noi familiari, ad altre non sono state consegnate. E anche questa è una forma di tortura. Costrette a dormire su un letto di pietra con solo un materassino che col passare del tempo si è assottigliato causa loro un costante mal di schiena. Sempre affamate e alcune rinchiuse in celle che si allagano continuamente.

Private/i di tutto, come nel caso di Félix Maradiaga e di tutti gli altri, come ha raccontato, senza poter nascondere l’angoscia, la moglie Berta Valle, alla quale mando un abbraccio e condivido il suo dolore.

Incarcerate/i e giudicati grazie a false testimonianze per aver protestato in difesa dei diritti di cittadinanza. Questo è stato il loro grande crimine: non restare indifferenti dinnanzi al dolore delle persone che subiscono ingiustizia.

Questo sarebbe un paese libero?

Questo è disumano e non posso stare zitta. Protesto e denuncio a gran voce le ingiustizie che patiscono loro e le altre 190 persone recluse in diverse altre carceri.

Vogliono ucciderli o vogliono farli impazzire?

È questo che intendono quando continuano a riempirsi la bocca di parole come amore, pace, Dio?

Ho un cancro che progredisce ogni giorno ed è da questa mia “speciale” situazione che io protesto e chiedo loro di aprire il cuore. Non vorrei morire senza vederli liberi. Questa angoscia, questo incubo che non mi abbandona mai aggrava la mia situazione.

Anche a voi conviene che tutti si viva in pace.

Chiedo al Signore di aprire i vostri cuori”.

 

Immagine in apertura: le attiviste e femministe Ana Margarita Vijil, Dora María Téllez, Suyen Barahona e Tamara Dávila incarcerate dallo scorso giugno. Dora Maria Tellez, nota come “Comandante Dos”, negli anni ’70 entrò a far parte del Fronte sandinista di liberazione nazionale (FSLN) e divenne comandante nella rivolta popolare per destituire il dittatore Anastasio Somoza Debayle

 

 

Print Friendly, PDF & Email