Un testo di Gennaro Avallone tratto dal libro Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione, in via di pubblicazione per Orthotes Editrice. Nel volume sono raccolti contributi di attivisti, attiviste, ricercatori, mediatori e mediatrici culturali, avvocati, operatrici e operatori sociali (Yasmine Accardo, Ex-Opg Je So’ pazzo, Rocco Agostino, Vanna D’Ambrosio, Karima Sahbani, Adelina Galdo, Salvatore Casale, ASD Atletico Brigante, Daouda Niang, Pierre Dimitri Meka, Alagie Jinkang e Gennaro Avallone)

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“Come un test proiettivo, l’alloggio dell’immigrato

rivela l’idea che ci si fa dell’immigrato,

e che contribuisce a fare l’immigrato.

L’alloggio dell’immigrato non può che essere

ciò che è l’immigrato:

un alloggio d’eccezione, com’è “d’eccezione”

la presenza stessa dell’immigrato”

(Abdelmalek Sayad)

Le politiche di accoglienza delle persone richiedenti asilo e rifugiate in Italia sono del tutto inadeguate in confronto ai bisogni da affrontare e ai diritti da rispettare. Al carattere strutturalmente emergenziale di queste politiche, le novità legislative del 2017 hanno aggiunto ulteriori elementi problematici, specialmente con la legge Minniti-Orlando (Legge 46/2017), che ha ridotto le possibilità di tutela per i richiedenti asilo. E la situazione non potrà che peggiorare, considerando le proposte politiche del Governo in carica e il continuo dispiegamento della crisi come forma di governo ordinaria delle società fondata sulle politiche nazionali ed europee di austerity.

È questa una delle conclusioni a cui siamo giunti nel libro-ricerca Il sistema di accoglienza in Italia. Esperienze, resistenze, segregazione, scritto insieme ad attivisti, attiviste, ricercatori, mediatori e mediatrici culturali, avvocati, operatrici e operatori sociali (Yasmine Accardo, Ex-Opg Je So’ pazzo, Rocco Agostino, Vanna D’Ambrosio, Karima Sahbani, Adelina Galdo, Salvatore Casale, ASD Atletico Brigante, Daouda Niang, Pierre Dimitri Meka, Alagie Jinkang e Gennaro Avallone) in via di pubblicazione per Orthotes Editrice.

Questo sistema non è privo di conseguenze per le persone, dai richiedenti asilo e beneficiari di protezione alle operatrici ed agli operatori che vi lavorano. Per i primi, frustrazione, isolamento, tempo sprecato, timore, soggezione, patologie fisiche e psichiche, esposizione allo sfruttamento lavorativo, scarsa conoscenza della lingua e della società italiana sono condizioni diffuse, anche se molteplici sono state le prese di parola diretta per rivendicare i propri diritti verso le istituzioni pubbliche in contesti sempre più ostili. Per i secondi, soprattutto a seguito della Legge Minniti-Orlando, sono state introdotte funzioni di controllo ancora più marcate di quelle vigenti in passato, che hanno messo in discussione in modo ulteriore le possibilità di costruire relazioni positive con le persone accolte.

Ad essere vigente è anche un razzismo istituzionale di secondo livello che riguarda i limiti incontrati per accedere in autonomia ai servizi sanitari e scolastici, le difficoltà per il riconoscimento dei titoli di studio e professionali, la scarsa presenza di personale addetto alla mediazione inter-culturale dentro e fuori i Centri di accoglienza. Tale razzismo esprime una visione del migrante come persona scarsamente capace di autonomia, priva di un passato e di un progetto e di risorse per il futuro, appena neonato nel contesto di arrivo, ridotto ad essere un im-migrato senza storia né biografia. Un figlio di nessuno. Un vuoto da riempire. Se non proprio un vuoto a perdere.

Nel sistema dell’accoglienza questa continuità temporale che caratterizza e forma ogni biografia individuale viene messa da parte e, con essa, la ricchezza dei bisogni propria degli esseri umani. Ciò che muove il sistema dell’accoglienza è la necessità di rispondere ad un bisogno istituzionale di ordine, quello di collocare le persone da qualche parte. E ciò è coerente con il carattere emergenziale dell’accoglienza, volta soprattutto a non turbare l’ordine pubblico, disinteressata al fatto che le persone migranti siano state sottoposte ad una gestione privatistica, pensate, definite e governate come merci su cui guadagnare il più possibile.

È possibile, tuttavia, organizzare meglio l’accoglienza, come una serie di esperienze già dimostrano. È necessario, per questo, andare oltre i Centri di accoglienza straordinaria, verso i quali persiste la necessità di continuare i monitoraggi, superando la gestione privatistica ed emergenziale delle politiche di accoglienza e, insieme, l’eccezionalismo secondo cui si definiscono e governano le persone richiedenti asilo e rifugiate. Per ottenere questo risultato è fondamentale investire complessivamente il sistema pubblico, a partire dall’introduzione strutturale dei mediatori culturali nel sistema, dalla garanzia del buon funzionamento dei Centri provinciali per l’istruzione degli adulti, dall’accesso indipendente, senza tutori, alle strutture sanitarie e dalla diffusione del sistema Sprar (Sistema di protezione per i richedenti asilio e i rifugiati) nei comuni, insieme alla sperimentazione di forme di accoglienza sociale, ripensando, ad un livello più strutturale, le politiche pubbliche per la casa, ormai azzerate nel contesto nazionale da circa 30 anni. È a queste ultime, infatti, che bisogna guardare se si vuole superare per davvero il regime speciale a cui le persone richiedenti asilo e rifugiate sono state costrette, evitando di riprodurre l’esperienza dei foyer per lavoratori stranieri in Francia, considerati alloggi speciali per persone da tollerare, alloggi sobri per persone povere, alloggi educativi per “un’occupante straniero che

[…] necessita di un’azione educativa”, la cui presenza è pensata e definita come fuori luogo e temporanea (Sayad, 2008: 50).

L’organizzazione di una migliore accoglienza richiede non solo un cambiamento delle politiche dominanti, subordinate ai vincoli dell’austerità neoliberale, ma anche una rottura con i discorsi allarmistici e razzisti sulle migrazioni, con l’ideologia della sicurezza fisica che trascura quella sociale, con le retoriche pietistiche sull’Africa, che cancellano la questione della guerra e dei più complessivi rapporti di forza attivi a livello globale che contribuiscono a condannare gli africani e le africane ad un destino ineluttabile di povertà. Questa doppia rottura decolonizzante sul piano politico e dei discorsi è una condizione necessaria anche per superare il regime vigente delle migrazioni, giungendo ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di lavoro per tutti: una misura minima contro l’apartheid che si sta consolidando in Italia e in Europa, già al centro, tra l’altro, delle mobilitazioni di una parte della popolazione migrante nel continente.

 

Immagine in apertura: confine tra la Serbia e l’Ungheria, agosto 2015, Reuters/Balogh

 

 

 

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