La giovane sindaca della provincia di Maidan Wardak, in Afghanistan, Zarifa Ghafari, ha scritto su twitter e poi dichiarato al New York Times: “Sono distrutta. Non so su chi fare affidamento. Ma non mi fermerò ora, anche se verranno di nuovo a cercarmi. Non ho più paura di morire”. Il 17 agosto, mentre il portavoce dei talebani teneva la prima conferenza stampa dopo la presa del potere, un gruppo di donne afghane ha manifestato davanti al palazzo presidenziale, con cartelli che chiedevano il riconoscimento del loro ruolo nella vita pubblica: “There are Afghan women”, “Le donne afghane ci sono”.

In queste ore drammatiche che dimostrano l’insipienza dell’Europa e l’opportunismo, comunque violento, degli Stati Uniti d’America, gli “esportatori di democrazia” che dopo vent’anni di occupazione lasciano la regione nelle stesse condizioni del 2001, vogliamo esprimere la nostra più profonda solidarietà alle donne e a tutti gli afghani che stanno dimostrando il desiderio di opporsi e di combattere per la propria libertà e la propria autodeterminazione.

Ancora una volta, le cosiddette guerre umanitarie o in funzione “anti-terrorismo”, condotte unilateralmente dai Paesi a capitalismo avanzato, mostrano il loro vero volto. Da un lato, si fanno portavoce di precisi interessi legati all’industria bellica e alla sperimentazione tecnologica, dall’altro producono volutamente caos e incertezza, con l’intento di posticipare nel tempo la crisi di egemonia politica e militare degli Stati Uniti e dei suoi alleati della Nato.

In questo quadro, riteniamo fondamentale l’apertura di corridoi umanitari per l’accoglienza delle profughe e dei profughi. Ma ciò non può bastare. È necessario ribadire l’importanza della lotta e della resistenza delle donne che rimangono a combattere nella propria terra esattamente contro queste logiche di dominio e contro l’oscurantismo patriarcale a cui con disinvoltura, pur tra gli ipocriti piagnistei della cattiva coscienza occidentale, si pretende di consegnarle. È insopportabile una narrazione che tratteggia le donne solo come vittime passivizzate, prima da dimenticare e poi da compiangere.

Durante questi venti anni di “missioni di pace” i talebani hanno continuato ad agire indisturbati, soprattutto nelle province e nei villaggi, incidendo pesantemente sull’esistenza quotidiana di donne, ragazze e bambine. Lo ricorda con dolore una giovane attivista del gruppo femminista Rawa, intervistata dall’Agi, sottolineando tuttavia “che l’unico modo per avere un futuro luminoso è continuare a batterci con forza, proseguire nella resistenza contro jiadisti e religiosi fondamentalisti. Questo e solo questo è il cammino verso l’eguaglianza”.

Oggi in Afghanistan come anche in Rojava, in Polonia come in Argentina, in Chiapas come in Italia e in tanti altri Paesi del mondo, le donne sanno e vogliono essere in prima fila in difesa dei propri diritti e per la costruzione di un mondo migliore.

La nostra vicinanza a tutte le sorelle che stanno lottando, il nostro rispetto per il loro coraggio, mentre cercheremo di unire gli sforzi per sostenerle in questa sfida, commovente ed epocale, che ci riguarda tutte. I nostri pensieri e le nostre energie, in questo momento, sono rivolti a chi sa mantenere il desiderio di una vita che deve, tutta, cambiare.

 

Immagine in apertura: Kabul, 17 agosto 2021. Un gruppo di donne manifesta sotto il Palazzo presidenziale durante la prima conferenza stampa del portavoce dei talebani

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