Introduzione: il libro bianco sulle droghe 2016

Sul sito fuoriluogo.it – sottotitolo “droghe e diritti” – dedicato principalmente ad informare circa i cambiamenti e le novità occorse in ambito istituzionale sul tema delle sostanze stupefacenti, si può trovare, QUI

[1], il video di una conferenza assai interessante. Il testo di presentazione recita:

Martedì 28 giugno 2016 alle ore 11,30 presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati si è tenuta la presentazione del 7° Libro Bianco sulla legge sulle droghe promosso da La Società della Ragione ONLUS insieme a Forum Droghe, Antigone e CNCA e con l’adesione di CGIL, Comunità di San Benedetto al Porto, Gruppo Abele, Itaca, ITARDD, LegaCoopSociali, LILA, Associazione Luca Coscioni.

Sono passati più di otto mesi da quella conferenza; trovo comunque interessante riflettere su alcuni punti sollevativi, se non altro perché la discussione attorno al tema delle droghe, e del loro rapporto con la società, sta tornando prepotentemente alla ribalta, ma stavolta con una prospettiva diversa, rovesciata rispetto al “tradizionale” punto di vista  proibizionista. L’obiettivo degli organizzatori era di presentare il Settimo Libro Bianco sulla legge sulle droghe: una serie di interventi, articoli e – soprattutto – dati concernenti l’attuale situazione in Italia  in materia di droghe. Dall’introduzione di Franco Corleone, moderatore alla conferenza:

“[In Italia, ndr] È ancora in vigore una legge nata sull’onda delle scelte proibizioniste e punitive. […] Tutto il mondo cambia, ponendosi interrogativi sul fallimento della guerra alla droga. […] il movimento che si batte per una diversa politica in Italia non può accontentarsi di aver tolto la superfetazione della Fini Giovanardi. Nel mondo molte cose sono cambiate, c’è stato l’UNGASS[2] […] In Italia siamo in un quadro di piccolo movimento. Il governo non convoca la conferenza triennale sulle droghe, che è attesa da tantissimi anni. In parlamento vi sono proposte di legge per la legalizzazione della canapa e per la riforma del dpr. 309 del 90; esiste una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare. Il Friuli chiede al governo di intervenire sul cambiamento della politica delle droghe e assumere come base il testo che le nostre associazioni hanno scritto.”

Continua dando ulteriori dati, più o meno interessanti visto che riflettono un trend che prosegue da più di vent’anni:

“[…] la presenza in carcere di persone imputate o condannate per droghe è ancora una percentuale molto alta. […] dal 1990 ad oggi […] sono stati fermati e segnalati ai prefetti un milione centosettemila giovani. (la percentuale che riguarda i cannabinoidi è oltre il 72 percento). Il dato conferma una repressione di massa e una stigmatizzazione. È la conferma che bisogna fare qualcosa.”

Contesto internazionale: UNGASS e fne della guerra alla droga

Per capire il perché di questa presa di posizione così netta bisogna conoscere il contesto che  ha permesso ai discorsi antiproibizionisti di prosperare. Facciamo, quindi, un po’ di storia.

Da qualche anno – diciamo dal 2008 – si è prodotta un’inversione di tendenza riguardo alla policy internazionale in materia di sostanze stupefacenti. Verso la fine degli anni ’60, periodo coincidente con la diffusione di movimenti di rivolta sociale un po’ in tutto il mondo, gli USA – da sempre avanguardia internazionale in materia di governance sul tema – dichiararono una vera e propria “guerra alla droga” che si è estesa fino alla metà e oltre degli anni 2000. L’ideologia proibizionista propugnante un drug free world è rimasta, anche se con fasi alterne, per lungo tempo (quasi quarant’anni!) egemone, polarizzando in senso repressivo discorsi di governi e istituzioni sovranazionali.

Finalmente, nel maggio 2014 un team di esperti della London School of Economics ha pubblicato un testo[3] molto importante, in cui si mette radicalmente in discussione punto per punto la strategia proibizionista portata avanti dall’ONU da decenni a questa parte. La pubblicazione di questo resoconto – che consigliamo di leggere per farvi un’idea della situazione -, resa possibile da condizioni politiche favorevoli e spinta dalla richiesta di tre paesi vittime della guerra alla droga, Messico, Colombia e Guatemala, ha spinto l’ONU ad organizzare una Sessione Speciale dell’Assemblea Generale (vedi nota n.2) dedicata interamente al “problema mondiale delle droghe”  in cui ridiscutere i termini della policy.

Insomma, in molti all’ONU hanno confermato che non ha più senso continuare con la politica di guerra totale alla droga (che, concretamente, significa guerra totale ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori), ma ha senso, al contrario, cercare di sviluppare una politica che miri a trovare nuove soluzioni efficaci per gestire il problema droga[4].

Sembra, quindi, che anche qualcuno in Italia si stia allineando alle posizioni anti-proibizioniste che stanno assumendo importanza e forza in ambito internazionale. L’intervento più interessante in proposito è di Marco Perduca:

la partecipazione del ministro Orlando [all’UNGASS, ndr] come capo della delegazione ha dato un chiaro segno di inversione di approccio. […] Noi, con i governi di centro-destra e la legge Fini Giovanardi abbiamo visto anteporre un dogma, quello proibizionista e quello punizionista, al tentativo della ricerca di qualcosa che funzionasse. […] L’Italia si è smarcata quindi, finalmente, da questo gruppo conservatore per non dire reazionario […] Ora occorre che dalle parole si passi ai fatti. Il gruppo ONU che inizia a pensarla in maniera diversa si sta ampliando. […]  gli europei non si sono adeguati a questo scenario (vi sono segnali molto incoraggianti da parte di Italia, Rep. Ceca, Portogallo, Spagna), ma i grandi paesi Francia, Inghilterra, Germania, rimangono nella migliore ipotesi neutrali, nella peggiore penalizzano anche l’uso personale […] La regolamentazione legale è al centro del dibattito alla camera dei deputati, a partire da una proposta di legge preparata da Radicali Italiani[5] (et alii, ndr.). […] L’intenzione del governo canadese è di arrivare in 12 mesi ad avere un disegno di legge di legalizzazione totale della cannabis dopo anni di regolarizzazione terapeutica ben promossa. Tutte queste novità dovrebbero esser rispecchiate quanto prima in Italia.”

Altri dati che danno la misura della gravità del problema, e che costituiscono uno dei pilastri argomentativi degli anti-proibizionisti. Dalle parole di Stefano Anastasia:

“[…] I nostri dati danno il segno di una continuità nel trend repressivo nei confronti del consumo e della circolazione delle sostanze stupefacenti. […] le operazioni di polizia e dall’autorità giudiziaria compiute nel 2015 sono nella maggioranza dei casi orientate alla repressione della circolazione di cannabinoidi. […] Più del 90% dei casi di segnalati sono persone per detenzione e per attività di spaccio (non fanno parte quindi di organizzazioni criminali). […] Nell’ultimo anno 27.718 persone sono state segnalate ai prefetti. Quasi l’80% per consumo personale di cannabinoidi. Segue l’adozione di 13.509 sanzioni amministrative. Solo 151 tra queste persone indirizzate a svolgere un programma terapeutico. […]  E’ importante il dato sugli ingressi in carcere: un detenuto su 4 entra perché imputato di reati connessi alla circolazione di sostanze stupefacenti. […] Un terzo degli studenti italiani hanno sperimentato il consumo di almeno una sostanza illecita. […]  una buona quota di costoro usano sostanze di cui non conoscono la natura.”

 Interessante anche l’intervento di Gennaro Santoro sull’evoluzione giurisprudenziale in tema di stupefacenti. Egli giunge alla conclusione che:

 “Dalla giurisprudenza non ci possiamo aspettare nulla di buono. La Corte Costituzionale ha ritenuto, a mio avviso errando, che la coltivazione come condotta propedeutica al consumo possa essere legittimamente considerata come un reato di pericolo. […] Noi riteniamo che sia una misura irrazionale. Non ce la prendiamo con la CC ma con il legislatore. E’ assurdo continuare a criminalizzare la coltivazione. Essa è l’unico antidoto contro le mafie. […] Visto che il DDL intergruppo è sostenuto da circa 220 parlamentari, tutte singole adesioni, chiedo alle forze politiche maggioritarie di questa legislatura, PD e M5S, ai loro leader, di assumere una posizione chiara.”

Insomma, tutti questi responsabili uomini di sinistra, allineati alle posizioni prese all’ONU, sembrano convinti della possibilità di ricominciare con un “movimento” che lotti per la depenalizzazione, per la legalizzazione, e in generale per finirla con la politica di guerra alla droga.

Situazione in altre parti d’Europa: il caso della Francia

Questo tipo di processo politico sta avendo uno svolgimento anche in altre parti d’Europa. Cito qui un altro caso.

In Francia, un paese che ha da tempo adottato una politica restrittiva in materia di sostanze stupefacenti, il dibattito ha iniziato ad aprirsi. Nel mondo dell’accademia che, assieme ad alcune associazioni[6] impegnate da decenni sul fronte, ha cominciato a muoversi, ovviamente su sentieri diversi, nella stessa direzione degli antiproibizionisti italiani che lavorano in ambito istituzionale. Infatti, in alcune aule accademiche, il dibattito è iniziato e sta assumendo dei contorni interessanti. All’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales[7], ad esempio, un team di ricercatori e professori, tra cui un professore italiano di nome Alessandro Stella, ha organizzato un ciclo di seminari durante l’anno accademico 2016-2017 dal titolo “Consommation et prohibition des drogues: approches transversales”. Il lavoro di questo gruppo di ricercatori va nella direzione di un tentativo a prima vista semplice: quello di provare a ribaltare il paradigma secondo cui il fatto di drogarsi è da considerare prima di tutto un problema da risolvere, quando non, nel peggiore dei casi, una malattia da curare. Il tema dell’ultimo seminario, per citarne uno, svoltosi il nove febbraio scorso, è  “Se droguer pour le plaisir” – “Drogarsi per piacere”[8].

Il team di ricercatori e docenti, perlopiù sociologi e storici di formazione,  è a contatto con gruppi ed associazioni di rilievo internazionale impegnati sullo stesso fronte. Tra le personalità invitate a parlare ad un seminario nel novembre scorso[9] vi era Ethan Nadelmann[10], ex-direttore della DPA – Drug Policy Alliance – un’associazione statunitense che è tuttora in prima linea nella lotta per la legalizzazione della marijuana a scopo terapeutico e non. Essa ha ottenuto, negli ultimi anni, dei notevoli successi. Oratore capace, Nadelmann sa sintetizzare efficacemente le principali argomentazioni di quello che definisce un nuovo “movimento culturale e politico, al pari dei movimenti per gli human rights, per i diritti delle donne o degli omosessuali”, un movimento che cominci a parlare delle droghe in maniera libera, affrontando il tema con un approccio razionale, senza impedimenti ideologici, e che lotti per la fine della guerra alla droga e per la depenalizzazione e la liberazione della cannabis.

Forse ora più che mai, con i recenti cambiamenti al vertice del potere USA, il tema della droga potrebbe diventare un’arma simbolica e politica da impugnare contro l’oscurantismo e il proibizionismo. Questo accade negli Stati Uniti e, in misura minore, in Francia. Sarebbe interessante tracciare una panoramica dello svolgimento di tale processo negli altri stati Europei, e perché no, nel mondo. Ma torniamo a noi.

Ancora in Italia

In Italia, oltre alle varie associazioni e sindacati che hanno presentato il Libro Bianco e che presenteranno la proposta di legge in Parlamento, c’è qualcun altro che ha iniziato a interessarsi da tempo all’argomento. Un articolo è recentemente apparso su Internazionale[11], stavolta ad opera di uno scrittore italiano, Vanni Santoni[12]. Egli cita due importanti studi compiuti dalla rivista medica The Lancet rispettivamente nel 2007[13] e nel 2010[14] (il secondo conferma i risultati del primo)[15]. Questi due studi, che costituiscono una delle basi scientifiche sulle quali poggiano i discorsi antiproibizionisti, hanno riformulato totalmente i giudizi sui cui basare la pericolosità di una sostanza. Prendendo come parametri di giudizio il danno fisico (physical harm) e la dipendenza causati da una sostanza, i dottori hanno tracciato una nuova scala per cui le quattro droghe più pericolose risultano essere l’eroina, la cocaina, l’alcol e il tabacco. Dopo vengono i barbiturici, le metanfetamine e solo dopo, quasi a pari merito, vi sono le cosiddette droghe appartenenti al gruppo degli psichedelici (LSD, MDMA e sorelle, Psilocibina, Ketamina). La cannabis è in penultima posizione, seguita dagli steroidi anabolizzanti. Questo studio ha il pregio di mettere radicalmente in discussione la nostra concezione delle sostanze, ridisegnando completamente la scala e i parametri con cui le giudichiamo: insomma, droghe considerate legali quali alcol e tabacco sono, secondo i dottori dell’Imperial College, oggettivamente più dannose e più pericolose di droghe illegali quali cannabis, LSD e MDMA.

Una deduzione che potremmo trarre da questo studio è che ogni decisione da parte dei governi di inserire una droga nella famigerata Schedule One, la lista delle sostanze proibite dalla DEA[16], non viene presa tanto su basi oggettive e “scientifiche”, ma che dietro questa scelta vi è molto di politico.

Qualche domanda su di “noi”

Ho cercato di tracciare in due parole una panoramica del contesto italiano (e oltre), che dà segni di profondi mutamenti. Ora vorrei arrivare al punto principale, quello in cui ci si pone le domande.

In questo clima di fermento generale, una domanda andrebbe fatta: e il nostro movimento? A che punto è il dibattito tra di noi, in Italia, tra questa minoranza che si richiama ogni tanto, timidamente, sotto il nome di compagni? Forse è ancora troppo presto per formulare delle risposte che non rischino di risultare affrettate; non esiste infatti, ad ora, credo, una mappatura che riassuma le posizioni delle varie “aree” del movimento sul tema delle droghe; anche perché, da parte di queste aree, vi è un silenzio che dura ormai da anni.

Pensandoci a caldo, la sensazione è che il movimento, contrariamente a quanto suggerisce il nome, non sembra essere in grado di s-muovere molto. Il dibattito interno è carente ormai da molti anni a questa parte. Anzi,carente forse è dire poco. Si ha la sensazione che la droga, oggi più di ieri (almeno comparando un qualsiasi giornale sedicente “rivoluzionario” di una quarantina d’anni fa di area contro-culturale, dove la controinformazione, la riduzione del danno, e la rivendicazione di un uso di droghe libero dalle costrizioni sociali imposte erano argomenti frequentemente trattati) sia diventata un argomento tabù, sotterrato da anni di silenzi e di mancanza di prese di posizione chiare. Come se all’interno dei giri di compagni non si drogasse più nessuno…

In questo momento, però, potremmo ipotizzare che la decisione di porre fine alla guerra alla droga abbia aperto una falla, una crepa politica i cui potenziali sviluppi potrebbero risultare interessanti. Il fatto che questa inversione di tendenza provenga almeno a prima vista dall’alto – in questo caso, dalla UNGASS – riflette il livello di interesse posto all’argomento da parte dei movimenti sociali.

Perché, basta un poco per rendersene conto, cosa c’è di altrettanto politico della rivendicazione dell’uso libero delle droghe, rivendicazione che ha a che vedere più in generale con la possibilità di modificare a piacimento il proprio stato di coscienza senza dover rendere conto a nessuno? La rivendicazione politica dell’uso di droghe non consiste, in fondo, in un prolungamento della frase: “il corpo è mio e lo gestisco io”?

Vi sono altre domande che vengono in mente quando parliamo di droghe. Qual è il rapporto tra noi, la droga, il corpo e il capitale? E ancora, entrando nell’attualità, qual è la nostra posizione sulla proposta di legge promulgata dalla sinistra? Dove situiamo il confine labile tra droghe pesanti e leggere, a patto che vogliamo davvero stabilirvene uno?  La risposta non la si può ovviamente trovare tra queste poche pagine, il cui ben più modesto scopo è di informare circa un dibattito che è in corso a livello internazionale, invitare di conseguenza alla riflessione e, in quindi, contribuire ad un dibattito interno che renda partecipi le componenti “di movimento” che si ritengono interessate al fine di prendere una posizione il più chiara e dibattuta possibile sull’argomento.

Conclusioni. Spunti per un approccio possibile: Mark Fisher

Mark Fisher ci viene in aiuto, spingendoci, con le sue riflessioni, a pensare nella giusta direzione. L’articolo che state leggendo è nato anche grazie allo spunto ricevuto dalla lettura di un articolo recentemente pubblicato su queste stesse pagine, tradotto dal francese e precedentemente pubblicato sulla rivista Periode. Qui di seguito l’introduzione alla trascrizione di un suo discorso, tenutosi il 23 febbraio 2016 a una conferenza a Londra.

On le sait, le capitalisme se fait passer pour un système social et économique incontournable. Ce qui contribue plus que jamais à maintenir le statu quo, c’est l’idée qu’il n’existe pas d’alternative à l’ordre existant. Mark Fisher, critique culturel décédé en 2017, s’attache ici à décrire quelles formes de conscience sont capables de rompre l’enchantement de la marchandise. Fisher souligne que la conscience de classe n’est pas la seule forme d’opposition au système, et qu’elle est complétée par la conscience acide (ou psychédélique), et les processus de conscientisation des groupes minoritaires et opprimés. Un projet communiste doit aujourd’hui s’attacher à articuler ces trois formes de conscience, et donner toute son ampleur à leur puissance subversive.”[17]

È sul secondo tipo di coscienza che credo sia interessante soffermarsi, quella che Fisher chiama la “coscienza acida” o “psichedelica”. In questa definizione si rintraccia il nesso tra coscienza di classe e droghe. Qui di seguito un paragrafo in cui Fisher cerca di definire cosa intende per “coscienza psichedelica”:

Per la coscienza psichedelica, il concetto chiave è la plasticità della realtà, l’esatto opposto quindi della rigidità, della permanenza o della immutabilità che non ci lascerebbero altra scelta che l’adattamento al realismo capitalista. Che vi piaccia o meno, non possiamo fare nulla, e dobbiamo rassegnarci. Così, le cose sono quelle che sono, e possono solo peggiorare. E si vuole mantenere il proprio posto di lavoro, è necessario accettare più ore di lavoro, più responsabilità. Ciò non vi piace? A nessuno piace, ma dobbiamo accettarlo. Il capo che si lamenta e che sviluppa tali soluzioni è il prototipo del gestore nella fase attuale del capitalismo. […] Ora,quello che i “viaggi” facevano era portare fuori le persone dalle realta’ dominanti di quel momento esponendo la realta’ come provvisoria, come una forma di organizzazione delle tante possibili.. Naturalmente, l’uso diffuso di queste sostanze non ha portato alla rivoluzione, ma ha suscitato una sorta di impazienza. Con la contro-cultura degli anni Sessanta, siamo riusciti a sfuggire rapidamente dalla realtà dominante e ad avere la sensazione che l’ordine costituito non sarebbe potuto durare per sempre, aprendo così nuove strade.[18]

L’approccio di Fisher sul tema mi pare molto interessante; se non altro, perché chiarisce, inserendolo all’interno di uno schema tripartito, il ruolo molto importante che ebbe, all’interno dei movimenti, la corrente/area cosiddetta contro-culturale/psichedelica. Molto di ciò che fu prodotto da quell’area, che non era priva di un sincero sentimento contestatario e di una forte carica sovversiva, e ciò anche grazie all’utilizzo di sostanze psicotrope, alcune delle quali possiamo farle rientrare sotto la categoria di psichedelici[19]. Con ciò non si intende qui affermare che il rapporto tra droga, movimenti e produzione artistica abbia un carattere matematicamente consequenziale. Molti di coloro che facevano parte di quell’area non si drogavano o comunque non rivendicavano un uso politico delle sostanze. Ma per altrettanti era pur vero il contrario.

Questi brevi paragrafi possono bastare come spunto per farsi un’idea dell’approccio con cui Fisher introduce la questione delle droghe all’interno di una prospettiva rivoluzionaria. È bene sottolineare, per finire, come dietro la decisione di stabilire il livello di pericolosità, e quindi la legalità o meno, di ogni droga, vi è una scelta politica, cosciente, che tiene in conto l’insieme delle relazioni che l’individuo intrattiene con il corpo sociale e viceversa.

Siamo forse in un momento critico, che entrerà nella storia, per quanto riguarda le decisioni prese in materia di droghe, decisioni che andranno a plasmare il nostro futuro e il nostro mondo. Si tratta di scegliere, quindi, che posizione prendere, di farlo insieme e di tenere da conto davvero di tutti i pro e i contro delle varie proposte che altri hanno già contribuito a sviluppare.  Senza lasciare indietro la ragione e i dati scientifici, anzi, riprendendoli forse in mano dopo tanto tempo di ideologico e cieco rifiuto.

NOTE

[1]http://ungass2016.fuoriluogo.it/2016/06/29/presentazione-libro-bianco-sulle-droghe-2016-2/

[2]UNGASS: United Nations General Assembly, assemblea generale straordinaria convocata a New York nell’aprile 2016.

[3]    AA.vv, Ending the Drug Wars. Report of the LSE Expert Group on the Economics of Drug Policy, Maggio 2014. Si trova su http://www.lse.ac.uk/IDEAS/Projects/IDPP/The-Expert-Group-on-the-Economics-of-Drug-Policy.aspx. Il testo è firmato da parecchi premi Nobel di economia e personalità eminenti.

[4]  Potremmo qui domandarci da dove provenga la singolare pretesa di definire la droga come un “problema”. Forse perché essa risulta problematica esclusivamente per chi si sente in dovere di gestire le vite degli altri. Ma non è questa la sede per approfondire tali discorsi: innescherebbero polemiche al momento inutili.

[5]  Tale proposta di legge verrà portata e discussa in Parlamento il prossimo luglio.

[6]Ad esempio, ASUD – l’Association des Usagers des Drogues, riunisce attorno a sé un nutrito gruppo di consumatori che si impegnano a lavorare a favore della riduzione del danno, della legalizzazione, della depenalizzazione, oltre a portare avanti un importante lavoro di controinformazione.

[7]L’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (spesso abbreviata in EHESS), fondata dal sociologo Pierre Bourdieu nel 1975, è una delle scuole francesi più prestigiose per quanto riguarda lo studio delle scienze sociali.

[8]https://www.canal-u.tv/video/ehess/5_se_droguer_pour_le_plaisir.32663

[9]https://www.canal-u.tv/video/ehess/1_de_la_guerre_a_la_drogue_aux_nouvelles_pistes_de_regulation.25113

[10]    Potete trovare un suo discorso qui:   https://www.ted.com/talks/ethan_nadelmann_why_we_need_to_end_the_war_on_drugs?language=it

[11]Internazionale è una delle pochissime riviste diffusa in tutte le edicole ad interessarsi del tema in maniera continuativa. Due copertine, infatti, di due numeri passati (e altrettanti articoli di 4 e più pagine) erano dedicate rispettivamente alla “Terapia psichedelica” (Internazionale, 8-14 maggio 2015, n. 1101 anno 22) e alla morte del chimico Alexander “Sasha” Shulgin, che ha scoperto la MDMA e di più di altre 200 fenetilamine “sorelle”.

[12]http://www.internazionale.it/opinione/vanni-santoni/2017/01/01/psichedelia-rinascimento-medicina

[13]https://en.wikipedia.org/wiki/David_Nutt#/media/File:Development_of_a_rational_scale_to_assess_the_harm_of_drugs_of_potential_misuse_(physical_harm_and_dependence,_NA_free_means).svg

[14]https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/2/2c/HarmCausedByDrugsTable.svg

[15]https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17382831

[16]Drug Enforcement Administration, – https://www.dea.gov/index.shtml – l’organo del governo federale degli Stati Uniti il cui compito, tra gli altri, è monitorare la produzione di nuove sostanze e di classificarle secondo una tabella precisa. La Schedule One, appunto, è quella che contiene tutte le sostanze proibite a norma di legge, sia per uso terapeutico che per qualsiasi altro uso – ricreativo, religioso ecc…

[17]http://revueperiode.net/acid-communism-drogues-et-conscience-de-classe/

[18]http://effimera.org/verso-lacid-communism-presa-coscienza-post-capitalismo-mark-fisher/

[19]Recentemente il mensile Rolling Stone ha dedicato al rapporto tra musica e psichedelici. Particolarmente interessante l’articolo sui Beatles e gli psichedelici.

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