Come dare prospettiva ai commons?

La Guida Galattica per Autostoppisti è la metafora che MACAO ha scelto per raccontare a che punto è arrivata la produzione di pratiche e immaginari su cosa sia, come si organizza e dove si posiziona una “nuova istituzione” (anche nelle complesse relazioni con le istituzioni preesistenti). Di autostoppismo si parla, infatti, se si provano a mettere in fila le “tappe” percorse.

Era il 15 maggio del 2012 (10 giorni dopo l’occupazione della oramai ex meravigliosa Torre Galfa), quando un’assemblea di oltre 500 persone decide di rifiutare la prima delle proposte che sarebbero arrivate dal Comune di Milano, per far fronte all’emersione di una comunità inedita e informale di persone. Un’aggregazione di lavoratori e lavoratrici del settore culturale presa a pugni dalle politiche sul lavoro e insoddisfatta da modalità conflittuali sempre meno propense a immaginare “fork”, ovvero a rischiare la scrittura di percorsi diversi, a partire dalle legittime critiche al sistema che abita.

Scegliere di sperimentare strade “altrimenti” da ciò che si ha a disposizione, richiede una continua produzione di immaginari capaci di riformulare, anche a partire da una comunità specifica, l’idea di che cosa sia il Valore. Cosa significa, infatti, l’autogoverno attraverso un’assemblea di persone, quindi l’agire nei confini così pericolosamente aperti di questa “nuova istituzione”? Cosa, invece, la condivisione dei mezzi di produzione tra realtà, un fondo di mutuo aiuto tra progetti più o meno “fortunati” e un “basic income” interno alla comunità attivata? In più, che cosa significa un accordo tra persone che provano a curarsi dalle forme più violente e competitive che hanno dovuto incarnare – come fossero naturali – per sopravvivere? Questo curarsi collettivo dall’ansia e dall’etica del prestazionismo, infatti, oltre la produzione di dissenso e di scenari, è l’aspetto che più contribuisce alla trasformazione delle vite di ciascunx, nonché il più interessante dal punto di vista performativo.

La prima proposta dell’Amministrazione fu quella di spostare, attraverso un bando e la costituzione in associazione, quel “fare” all’interno dell’ex-Ansaldo, uno spazio di proprietà pubblica vuoto da decenni e appena ristrutturato.

I motivi del rifiuto furono chiari: non è solo una questione di Spazio, è una questione anche legata al Tempo. Quel tempo che all’interno dell’organizzazione del presente si sta sempre più assottigliando: la stessa gente che aveva liberato uno spazio, desiderava quindi riprendersi il tempo, liberandolo da codici in cui non si riconosceva. Risultò allora impossibile tentare questo gesto di riappropriazione all’interno di forme più che codificate e già per moltx poco interessanti.

Comincia così un viaggio a tappe, simile a quello di ogni autostoppista, che conduce MACAO all’interno di una delle aree abbandonate in città più grandi d’Europa e sposta il centro del discorso dallo spazio al tempo – in un salto simile a quello che può darsi tra l’analisi e la denuncia, e il tentativo di costruzione di alternative reali.

Due parole cominciano a risuonare e a delineare insieme la costruzione di ciò che si intende per “nuova istituzione”: “maintenance” (manutenzione) e “produzione”. Maintenance, nel senso di cura dello spazio e delle relazioni nella durata. Produzione, nel senso di sostenibilità collettiva e personale.

A partire da questo nodo, si comincia a delineare un particolare ecosistema, ovvero un luogo capace di diventare punto di connessione nella produzione di immaginario, cura, mantenimento e vivibilità. L’obiettivo di consolidare la dimensione del tempo, diventa quindi una necessità fisiologica di questo ecosistema. Serve tempo – cioè serve molto tempo, per testare pratiche capaci di allargarsi in processi politici di contaminazione più ampi. Per questo nella “tappa” di viale Molise si consolida l’idea  di uno spazio assolutamente non “temporaneo” – trending topic a Milano come in molte altre politiche europee di rigenerazione urbana – dove riorganizzare le forme produttive, riproduttive (e improduttive), e dove non essere complici di politiche di gentrificazione oramai più che scontate.

Queste riflessioni generano diverse proposte che nel corso del tempo alimentano la trattativa in corso tra la comunità di MACAO e il Comune di Milano.

In primo luogo, grazie alla collaborazione tra la rete di nuove occupazioni culturali in Italia e alcune associazioni locali di attivistx e giuristx, viene scritta una delibera. Questa, si situa all’interno di un movimento che, da Napoli a Bologna, chiede che le comunità informali di cittadinx (ovvero senza un direttivo) possano cominciare a gestire spazi e a rigenerare il patrimonio pubblico inutilizzato. L’impianto è quello degli “Usi Civici” su cui si basa l’attuale esperimento Napoletano. Proprio in questi mesi, Torino sta cercando di applicarla, mentre a Milano non passa in nessun modo.

A questo punto, la giunta cambia, cambiano gli interlocutori e la trattativa si arena fino a quando So.ge.Mi., la srl proprietaria della palazzina occupata da MACAO, a inizio 2017 decide di fare cassa annunciando la vendita delle nove palazzine che si affacciano su viale Molise, il fronte strada di tutta l’area dell’ex mercato ortofrutticolo di Milano.

Dentro questa accelerazione, si produce un’idea singolare rispetto al panorama italiano che può sintetizzarsi così: “MACAO si compra MACAO!”. La proposta in realtà è tutt’altro che campata per aria e si fonda sull’esperienza trentennale di un sindacato tedesco, il Mietshäuser Syndikat, che attraverso un sistema ingegnoso tra innovazione sociale e burocrazia tradizionale (funziona così), ha restituito attualmente più di 140 “palazzi” ad altrettante comunità, togliendoli per sempre dal mercato immobiliare. Un meccanismo dunque capace di generare Commons, all’interno del diritto privato.

Questo strumento è capace di alienare la palazzina da possibili speculazioni edilizie future e di perseguire l’obiettivo di mantenere, nella durata, lo spazio fisico e mentale dell’esperienza di MACAO. Comprare uno spazio e renderlo invendibile rappresenta un modello che – scalato sul territorio – è capace di modificare profondamente i rapporti di forza. Nel caso di MACAO, però, So.ge.Mi è un’azienda privata partecipata dal Comune di Milano, risulta quindi inevitabile per l’amministrazione non procedere attraverso un bando di vendita di un immobile pubblico. Se si osservano gli ultimi grossi movimenti sul piano urbanistico, risulta chiaro a tuttx che la cooperazione sociale non può competere sul piano finanziario con soggetti del calibro di uno qualsiasi degli emirati del Quatar…

Così, nonostante il fatto che l’apertura di un sindacato italiano capace di sottrarre patrimonio privato e farne “proprietà” comune, sia una concreta scommessa con e tra tante altre realtà produttive e culturali in giro per l’Italia, MACAO deve continuare a studiare forme che possano garantire il tempo che ha individuato come indispensabile alla costruzione di pratiche produttive “altrimenti”.

La ricerca è ancora in corso. Trovare altri strumenti capaci di riconoscere le innovazioni in atto sul piano della governance interna alla comunità e, insieme, di superare il “bando” come unica forma di assegnazione esclusiva degli spazi vuoti (discussione che a tratti si incendia in altri contesti milanesi) non è semplice, ma non è impossibile. Molto dipende dal coraggio delle politiche amministrative locali di cominciare a sperimentare forme nuove, e quindi di cominciare a rischiare, insieme a chi già lo fa.

Nel frattempo, alcunx studenti provenienti da due università cittadine hanno deciso di unirsi al viaggio: da una parte, all’interno del corso DAStU del Politecnico di Milano, si sono analizzati gli attuali modelli di spazio, governance e sostenibilità economica delle istituzioni culturali milanesi e un gruppo di architettx ha messo a punto un progetto integrale di ristrutturazione della palazzina di viale Molise, dall’altra, alcunx economistx dell’Università Bocconi, stanno studiando le possibilità materiali per concretare questa ulteriore tappa di MACAO. Il 12 gennaio, dalle 18:00 in avanti, saranno presentati gli esiti di queste ricerche.

Indubbiamente, il percorso fatto in questi anni, produce posizionamenti fra loro anche molto distanti. Se da una parte, infatti, pezzi di movimento e istituzioni culturali hanno co-scritto alcuni strumenti o si stanno affacciando ad essi con curiosità, dall’altra, c’è chi osserva con scetticismo ciò che viene definito come un “antagonismo tradito”. Soprattutto tra chi non lavora nella sperimentazione hands-on di ambienti che mettono in discussione il modo di produzione capitalista, il tema delle “nuove istituzioni” viene letto come un tentativo di “stabilizzazione” prima che un ripensamento delle forme di produzione e di riproduzione, nato a partire dalla critica del lavoro e dal dibattito in corso sul futuro del lavoro.

Da parte sua, MACAO, è consapevole (non sempre ma quanto basta) delle contraddizioni che si producono laddove si sperimentano processi vivi, fatti da corpi “erranti” che si arrischiano a oltrepassare i confini dettati dal senso comune, da ciò che si può e ciò che non si può fare, e da ciò che è legale e ciò che legale non è.

“Espropriare per motivi d’interesse generale”, resta comunque l’interpretazione più “fondamentale” alla risposta 42 della Guida Galattica per nuove istituzioni.

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