È stata un archivio, una biblioteca, una scuola d’ostetricia, un deposito, un’osteria: La Vida — Antico Teatro Anatomico di Venezia — era stata restituita collettivamente alla città dai veneziani, dopo una trattativa privata con cui la Regione Veneto la cedeva per 911mila euro. In questi cinque mesi ha funzionato come teatro, sala concerti, ludoteca, luogo di letture e attività per bambini e non, luogo d’incontro e di confronto per tutte e tutti, dentro e fuori dalle sue mura fisiche; ed ha costituito un vero e proprio presidio, con le stufette a gas, le candele e le persone che ci stavano dentro di notte. Pochi giorni fa lo sgombero a forze congiunte — polizia, carabinieri, digos, guardia di finanza — non ha fermato la Vida. Che ora chiama chi la ama.

What is less or more than a touch?

 Walt Whitman

 

Siamo arrivati qui.

Pare che ormai non facciamo altro che contare i morti e i dispersi di una lunga, estenuante guerra contro le cosiddette «politiche del territorio» — nome collettivo per definire il rapporto di vassallaggio che lega il potere economico a quello politico e alle forze dell’ordine. Una guerra mai veramente combattuta, ma dalla quale riportiamo lesioni profonde. Un pestaggio coi sacchi di sabbia. Non ci vogliono nemmeno grandi sforzi di prospettiva per scorgere la simmetria che lega il nostro tempo al feudalesimo. La terra sotto i piedi resta, più o meno — con i suoi immobili, i suoi luoghi di interesse e speculazione, le sue proprietà — e la fedeltà al sovrano diventa l’esproprio degli spazi ad uso e consumo esclusivo del mercato. La vita resiste, ma i margini si riducono di giorno in giorno, i perimetri si restringono sempre di più. Alla fine, non resta che l’aria asfittica di una cella tutta per sé, e una solitudine incomunicabile. La possiamo abitare come sacchi vuoti, certo. D’altronde, combatterla significherebbe affrontare la risposta della repressione. Ci si abitua proprio a tutto, no?

Questa si chiama impotenza. E l’impotenza lascia in bocca un sapore di esequie. Un lungo discorso funebre che tocca ogni tentativo di continuare un discorso interrotto, quello che vorrebbe prendere l’individuo «al centro e dal di dentro»

[1] e fare insieme agli altri esperienza della vita. E proprio oggi, eccone un altro da aggiungere all’elenco, alla Vida di Venezia.

Questo spazio nasce all’interno dell’Antico Teatro di Anatomia, un edificio del XVII secolo in odore di alienazione da parte della regione Veneto da anni. Dal 2015 i veneziani si sono mossi affinché l’immobile non facesse la fine di molti altri luoghi della città lagunare. A seguito del preliminare di alienazione, firmato il 28 settembre dopo una trattativa privata da 911mila euro, «il Teatro Anatomico è stato riaperto e restituito alla città con un atto di riappropriazione civica».[2]

Dopo 5 mesi di occupazione — che vuol dire esperienze condivise, ricostruzione di luoghi di incontro e confronto, creazione di una comunità, partecipazione dal basso, attività culturali —  un’operazione congiunta di polizia, carabinieri, digos e guardia di finanza ha fatto irruzione nella mattinata del 6 marzo e portato a termine lo sgombero. La legalità soverchia con la forza la legittimità di uno spazio che resiste in una città che ne ha bisogno più che mai. Il puzzo maleodorante del morbo che sta uccidendo Venezia si respira infatti ogni giorno.

È la selva di corpi sudati che la percorre da un capo all’altro.

È l’ennesimo luogo sgomberato o riadibito a B&B — Più o meno air.

Sono i brandelli di una città svenduti a chi specula e distrugge a suo maggior profitto.

Venezia è un pesce, fondato su un cadavere: quello di San Marco. Che presto possa diventarlo anche lei?

La notizia dello sgombero non coglie impreparati: voci circolavano, e la Vida era già sotto processo. Il 27 febbraio si era tenuta al tribunale civile di Rialto l’udienza tra i «sei attivisti» e la Regione Veneto, che aveva già venduto l’immobile e a cui evidentemente rodeva il culo per il milioncino che non avrebbe intascato — dato che, con l’occupazione, il proprietario voleva risolvere il contratto. A chi processa interessa identificare dei colpevoli. I sei attivisti sono i capri espiatori di un discorso che rimette al centro la collettività, e che ha permesso a migliaia di persone di attraversare la Vida in questi mesi, con tutto il suo portato di affetti, legami, esperienze. La prossima udienza è il 13 aprile, ma nel dubbio meglio sgomberare prima e denunciare subito, no?

«La genialità dell’operazione economica sta nel sovrapporsi al piano su cui commette i suoi misfatti, quello su cui conduce la sua vera guerra: il piano dei legami»[3]. I legami sono pericolosi perché creano esperienze, attaccamenti, comunità, fino a diventare dei veri e propri spazi concreti dell’altrove, al riparo dalle logiche che fanno della vita e dei suoi luoghi una zona grigia a disposizione del mercato.

E il punto è proprio questo: la Vida è uno degli altrove più concreti di questa palude, il «simbolo della possibilità di resistere allo spopolamento di una città e un vero laboratorio di cittadinanza attiva», come si definisce lei stessa. Una cittadinanza che ha come unica condizione di accesso il proprio corpo, localizzato qui e ora, e il desiderio di viverlo insieme — niente a che vedere coi fogli di carta.

Si sente dire: «non hanno perso tempo, ora che hanno i voti». Ma quello di Venezia non è uno sgombero imputabile a una legittimità elettorale. Pensarlo è lecito, ma troppo facile. La teoria della disfatta non tiene conto di una sostanziale continuità. Nessuno si è svegliato stamattina leghista — come peraltro nessuno è mai «partito democratico» in questi anni fatti di provvedimenti repressivi (come il decreto Minniti), omicidi indiretti via mare (cfr. l’omonimo codice), interventi militari in 35 paesi…

Da molte parti, invece, il silenzio lascia intuire una profonda indifferenza. È veramente tutto così lontano dalla vita dei molti, ancora intontiti da un’altra vittoria elettorale del potere esistente, ancora lì coi lacrimoni per una svolta «che fa paura» e che in realtà non modifica che qualche parola nello stesso grande discorso? Il voto oggi cambia solo quello – e forse il grugno che vedrete apparire sugli schermi, come un fantasma o un’ufficialità. Gli sbirri a San Giacomo, dopo lo sgombero, lasceranno il posto ai vigilantes, che presidieranno 24/7 lo stabile posto sotto sequestro penale. Un po’ come gli occupanti della Vida — ma con le armi, e a difesa degli interessi di pochi. Alla fine, è tutta una questione di punti di vista. Se questo è il biglietto da visita di un potere già in grande sintonia col nuovo clima, è perché evidentemente il nuovo clima è perfettamente in linea col precedente.

Il paradigma dello «Yes we can», come diceva Bifo, è la riprova del genio di Barack Obama.[4] Già, perché nessuno, in realtà, può niente. La nostra impotenza ha qualcosa di sublime. Non possiamo fermare le guerre, lo sfruttamento, l’impoverimento, la morte che ogni giorno si perpetrano in nome del mercato, così come una quantità di altre cose. E «all’impotenza non si può fare la predica del desiderio». Opporsi significa affrontare l’accanimento delle forze armate, del potere giudiziario, il vilipendio di chi non vede altro che ciò che c’è. Ci è concesso di attraversare questo mondo sempre più murato da porte e sbarre, certo, fornendo i nostri badge, le nostre chiavi, le nostre generalità. Sempre nel timore che forse, un giorno, chissà, ci tolgano anche questo. Con la paura che anche la briciola che teniamo in mano ci venga revocata sine die.[5]

Pure in questo caso, non c’è un voto che sopprima tutto questo: sarà sempre e comunque dare legittimità a tutto ciò che accade — e al contempo privare ciò che accade di ogni presa su di noi. Come una lunga anestesia — che «non è solo il risultato della sopravvivenza in seno al capitalismo, ma la sua condizione» [6] – o quella strana nevrosi che si chiama democrazia reale.

Un simile discorso ha un che di tombale: ma gli spiritual che si sentono echeggiare per Calle delle Oche, per Campo San Giacomo, per tutta Venezia, hanno una portata ben più vitale di ogni misura repressiva. Questo significa attraversarle insieme: «La Vida chiama chi ama la Vida», e Venezia risponde. Mentre i poliziotti stanno ancora raso muro, un triste grumo di scudi e uniformi, fuori la Vida si riorganizza. La trovate in Campo San Giacomo dell’Orio, con i suoi pasti condivisi e le sue attività. In cambio chiede solo ciò che occorre — tende, gazebo, candele, batterie stilo, bibite calde, musicisti — e un po’ del tempo di tutte e di tutti.

 

Note

[1] Comitato Invisibile, Maintenant, Paris, La Fabrique, 2017, p. 136.

[2] Dalla pagina facebook dell’Antico Teatro di Anatomia: https://www.facebook.com/Antico-Teatro-di-Anatomia-di-Venezia-1808190519410218/.

[3] Comitato Invisibile, Maintenant, p. 136.

[4] Franco Berardi Bifo, Comunismo Futuro, Conferenza di Roma sul comunismo C17, 18-22 febbraio 2017 (https://www.youtube.com/watch?v=kj2FXoyCqfE&t=5s).

[5] «Félix Guattari immagina una città in cui ciascuno può lasciare il suo appartamento, la sua strada, il suo quartiere grazie alla sua carta elettronica (dividuale) che faccia alzare questa o quella barriera, e allo stesso modo la carta può essere respinta quel giorno o entro la tal ora», in Gilles Deleuze, La società del controllo, «L’autre journal», n. 1, maggio 1990 (https://www.marxists.org/italiano/sezione/filosofia/deleuze/societa-controllo.htm).

[6] Comitato Invisibile, Maintenant, p. 136.

 

Fonte immagine: Andrea Pattaro (Vision)

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