Terzo reportage da Ventimiglia. Il primo descriveva la situazione del campo di via Tenda, poi sgomberato, e raccoglieva alcune testimonianze dei migranti in transito verso la Francia. Il secondo denunciava le pressioni e le torture subite dai profughi in Italia allo scopo di costringerli a rilasciare le impronte digitali. In questa terza puntata i medici spiegano qual è la situazione post-sgombero, la surreale condizione di separazione che si è venuta a creare tra i migranti, le precarie condizioni igieniche e di salute nelle quali si trovano, nonostante il generoso aiuto dei volontari
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Partiamo da Genova con il treno delle 6:48. Così presto poiché ci era stato richiesto di fare un collegamento tramite Skype da Ventimiglia con il Palazzo Ducale alle 11 circa, dove era in corso un incontro sul tema delle migrazioni organizzato tra gli altri dal comitato piazza Carlo Giuliani e da varie associazioni.
Come immaginiamo sia noto a tutti, le condizioni dei migranti in transito a Ventimiglia sono se possibile peggiorate ulteriormente. Infatti, il campo allestito dalla Croce rossa e gestito con Caritas e questura accoglie solo circa 200 migranti mentre tutti gli altri, dopo la chiusura della parrocchia di S. Antonio (a quel tempo si era arrivati a 1000 persone circa) si trovano in strada (a parte quelli portati in giro per l’Italia con autobus e aerei vari da polizia, carabinieri e guardie di finanza).
Il campo B
Per fortuna abbiamo portato con noi le biciclette, poiché essere medici volontari da queste parti diventa sempre più complesso. Ora infatti le persone sono disperse (parco, spiaggia, fiume, chiesa – famiglie e “malati” -, campo della croce rossa e campo informale vicino a quest’ultimo). Dalla stazione facciamo un giro verso il mare, dove un amico sudanese molto attivo nel supporto ai transitanti dorme. Lo svegliamo nostro malgrado per chiedergli dove si trovano le persone. Ci spiega la situazione, è molto preoccupato poiché la confusione e la separazione tra le persone e l’allontanamento dei solidali ha creato delle “profonde divisioni”.
Partiamo dunque con un breve giro dei luoghi da lui indicati. In particolare in chiesa ci sono ancora circa 50 migranti, tutti nuclei familiari con bambini e persone con problemi di salute, lì abbiamo visitato una bambina che aveva una faringite (non c’è più il mezzo della Croce rossa-ASL, già descritto dai volontari della Caritas come chiuso e inutilizzato da settimane, sostituito da una camionetta dei carabinieri).
Ci dirigiamo verso il nuovo campo. Si trova a tre chilometri almeno dalla chiesa, per arrivarci bisogna passare per la bretella della superstrada, strada a scorrimento veloce, parecchio pericolosa e buia la sera. Ovviamente molti migranti che si trovano sia al campo della croce rossa sia nell’adiacente campo informale, per raggiungere per qualsiasi motivo il centro abitato si spostano comunque lungo queste strade.
Arrivati al campo vediamo subito molte croci rosse su sfondo bianco, un tendone e alcuni container. Da lontano vediamo che un operatore della croce rossa sta seduto all’ingresso.
Noi veniamo contattati da un altro ragazzo sudanese di nostra conoscenza, anche lui molto attivo nel sostegno ai migranti in transito su tutta la regione, proprio mentre non riusciamo a trovare l’ingresso al surreale campo informale in cui il resto dei migranti si trovano. Questo è un edificio evidentemente in disuso adiacente al campo della croce rossa, sempre nell’ambito dello scalo ferroviario e costituiva probabilmente una stalla per animali trasportati con il treno. Attualmente vi risiedono, oltre a circa trecento migranti in transito, residui di carri allegorici costituiti da enormi personaggi come: l’uomo ragno, specie di diavoli vari, croci e folletti. Tutti in pessime condizioni. Interessante è la strana separazione che si è creata tra una metà delle persone che sono state accolte nel campo della croce rossa e hanno quindi “diritto” al posto per dormire, benché non troppo salubre, all’acqua, al cibo e all’uso dei bagni, l’altra metà viene chiamata alla fine dei pasti da volontari che passano nel secondo campo quando hanno finito con i primi. Il pasto è sempre l’orrida bustina che ormai da mesi vediamo: mezza baguette, scatoletta di tonno della coop, un pomodoro. Non è chiaro se agli abitanti del campo informale forniscano sempre l’acqua. Per quanto riguarda l’accesso all’acqua, dalle tre alle cinque, in gruppi di cinque, accompagnati da personale della Caritas o comunque accreditato presso la prefettura, possono passare la ringhiera che li separa dalle docce.
I solidali non sono pochi, provengono da diverse parti d’Italia, Inghilterra e Francia. Sono attivi nella logistica, tra cui aiuto nel reperimento di acqua e cibo, traduzioni e accompagnamenti presso strutture sanitarie. Tutte attività che fino a poco tempo fa erano da ascrivere agli aspetti migliori della solidarietà umana e che recentemente sono state considerate “criminali”.
Visitiamo una cinquantina di persone che presentano in prevalenza scabbia e altre affezioni cutanee, infezioni delle vie respiratorie, piccoli traumi, qualche varicella. I farmaci sono pochi e per questo motivo chiediamo l’aiuto economico dell’ambulatorio via mail. Non facciamo più il collegamento previsto con il Ducale poiché un’altra collega riesce ad andare personalmente all’incontro.
Nel frattempo alcuni solidali tentano di costruire una rudimentale doccia e forniscono una batteria per ricaricare i telefoni cellulari, cucinano attraverso una cucina da campo. Il pomeriggio passa più o meno ugualmente alla mattina.
Per la notte ci ospitano in casa di solidali in un paese vicino.
La mattina andiamo a visitare una famiglia del Ciad, madre padre e tre bambini piccoli, ospitata in una casa nell’ entroterra. Chiedevano la nostra visita per problemi cutanei. Purtroppo si tratta di scabbia con la necessità di trattamento e delle ovvie procedure di igiene (cambio indumenti, lavaggio intenso della biancheria) che coinvolge i solidali. Il problema più grave, peraltro evidente, è che il bambino più grande di circa 4 anni non parla, piange diffusamente e presenta automatismi motori da riferirsi probabilmente ad una forma di autismo. Immaginiamo il dolore e lo sconcerto di questa famiglia di trovarsi in questa situazione e con questi problemi, che l’affetto dei solidali mitiga ma non può risolvere.
Incontriamo alcuni solidali per recuperare altri farmaci e ritorniamo al campo informale, visitiamo una ventina di persone e cerchiamo di sottolineare la necessità, per quanto possibile, di separare le persone affette da patologie contagiose, seppur relativamente banali, quali la scabbia e la varicella.
Purtroppo siamo dovuti ripartire dopo le 17 perché gli unici treni sopravvissuti allo sciopero erano il treno speciale pellegrini da Reggio Calabria a Lourdes e il treno per Genova delle 17.48.
Riteniamo sulla base della nostra esperienza che le condizioni di precarietà con assenza totale di diritti delle persone in transito siano solo peggiorate a partire dalla nostra prima venuta a Ventimiglia. L’assurda separazione, operata allo scopo di dimostrare di aver trovato una soluzione, fa acqua da tutte le parti.
Migranti di serie A stipati nei container, migranti di serie B stipati nelle stalle; volontari della Caritas e volontari e collaboratori stipendiati dalla croce rossa solidali di serie A , attivisti e persone indipendenti solidali di serie B, quindi criminalizzati ed allontanati.
Riteniamo infine giusto, puntualizzare quale è stata la nostra esperienza rispetto al cosiddetto “impegno della ASL nella gestione sanitaria dei migranti”.
Dall’inizio di maggio, quando i migranti sono stati sgomberati dai balzi Rossi fino almeno a un mese dopo, non c’e stato alcun tipo di intervento per le oltre duecento persone presenti sotto il cavalcavia di via Tenda (noi e altri colleghi ci siamo recati lì ogni fine settimana e comunque da Genova siamo stati sempre in contatto con solidali presenti sul campo). Come espresso nella lettera dalla direzione della ASL, la prima azione di questa, è stata la richiesta al sindaco di sgombero del greto del fiume. Tuttavia la mera azione di sgombero non si è accompagnata ad alcuna altra che fosse rivolta a preservare il diritto o la dignità delle persone che lì stazionavano (accesso all’acqua, al cibo e a servizi igienici, ad esempio). Le persone hanno dovuto spostarsi senza sapere dove andare per cui quelli di loro che non sono stati portati via dalle forze dell’ordine (anche questo senza rispetto dei loro diritti, vedi i precedenti report sulle violenze) presso strutture di identificazione, hanno spontaneamente deciso di chiedere aiuto presso la parrocchia di Via Tenda (S. Antonio). Dal 9 Giugno una unità mobile della croce rossa ha stazionato di fronte alla parrocchia. Da quel momento in poi, ogni volta che ci siamo recati a Ventimiglia abbiamo avuto molte visite da fare, le persone con problemi di salute venivano accompagnate da noi anche dai volontari della Caritas che richiedevano la nostra presenza, lamentando ripetutamente l’assenza in alcuni casi (il medico era presente più o meno tre giorni a settimana, per alcune ore, la mattina) o l’insufficienza (veniva somministrata una sola o poche dosi di terapia es 1 compressa di amoxicillina/clavulanato) dei servizi della ASL.
Vogliamo precisare come, nello spirito dell’associazione ambulatorio città aperta (quello di poter chiudere l’ambulatorio avendo ottenuto che le persone extracomunitarie siano seguite dal SSN), che il caso dei migranti in transito da emergenza si sta trasformando in situazione consolidata in tutta Europa, per cui l’aspetto sanitario deve essere preso in carico dalle istituzioni. Come cittadini e come medici abbiamo potuto osservare sul campo dei ritardi e delle mancanze evidenti.
Ventimiglia, 26.7.2016
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