#omaggio a Toni Negri 17

La prima volta che incontrai Toni Negri fu nell’ottobre del ’99, in un ristorante romano per il compleanno di Gaetano, un suo vecchio compagno di Potere Operaio col quale lavoravo alla Sapienza. Non mi sembrava vero, finalmente riuscivo a conoscere il professore, il marxista rivoluzionario del quale avevo cercato per anni i libri, senza riuscirci, e che però adesso leggevo perché la censura era caduta.

Il ristorante era vicino casa di Gaetano ed aspettavamo che il maestro arrivasse. Suona il citofono, scendiamo, si apre il portone ed ecco Toni e Judith sorridenti, che salutano allegramente il festeggiato e mi si rivolgono amichevolmente. Nella discussione a tavola scontavo un certo timore reverenziale, che non superai mai appieno nonostante la cosa gli desse abbastanza fastidio, ma che quella sera svanì tra i dolci e gli amari di fine pasto. Infatti, mentre gli altri commensali parlavano non ricordo di cosa, Toni, che mi stava di fronte, cominciò a fissarmi con insistenza attirando il mio sguardo. Fece uno strano gesto e si piegò di lato con le braccia conserte, per nascondere il bicchierino che teneva in mano: voleva la grappa! Feci cenno di aver capito e, nonostante gli fosse vietata dopo il vino, evidentemente, provai ad assecondare la sua richiesta. Se ne accorsero subito tutti, ma, dopo qualche amorevole rimprovero di Judith e intrattenibile risata di Gaetano e mia, Toni riuscì a mediare per il limoncello. Da allora, ogni volta che sento il motto “chiedere il massimo per ottenere il minimo” lo traduco in “chiedere grappa per ottenere limoncello”.

Di li a poco ci vedemmo nuovamente a cena e discutemmo di Impero, la sua ultima fatica non ancora tradotta in italiano. Al termine lo accompagnammo a Rebibbia, dove era costretto a rientrare la notte in quanto “semilibero”, ma vicini alla meta il diletto della discussione e le risate di contorno cedettero il passo a momenti di silenzio. Si fece lasciare distante dall’ingresso, con la scusa di fare due passi, per evitare in realtà che qualche  occhiuto questurino prendesse il numero di targa. Non dimenticherò mai la figura di Toni con la borsa piena di libri, riflessa sulle alte e illuminate mura di Rebibbia, che diventa sempre più piccola fino a sparire dietro una porta di ferro.

A questi primi incontri ne seguirono molti altri: a Trastevere, nella casa dove ha vissuto con Judith; a Via di San Crisogono, dove ha condotto un seminario quindicinale che per molti, me compreso, fu una esperienza formativa fondamentale; alla Sapienza, a Sociologia, dove tenne un convegno e delle lezioni magistrali; nei teatri occupati di Roma e Palermo, dove fui contentissimo nel sapere che Toni considerava il mio lavoro d’inchiesta «molto positivamente e a vantaggio di tutti noi»; alla scuola estiva a Passignano sul Trasimeno; al seminario su Impero presso l’Università della Calabria e in città, eccetera, eccetera.

Tra le altre, anche quest’ultima esperienza, una settimana indimenticabile, fu altamente formativa, piena di gioia e risate. Ricordo, ad esempio, che visitammo il centro storico di Cosenza, di origine medioevale, molto stretto ed in salita. In quel periodo c’era la disputa sulla ZTL e Toni, che leggeva ogni mattina i quotidiani nazionali e locali, evidentemente ne era al corrente. Fatto sta che ci trovammo in fila indiana nella strettoia di Corso Telesio con le macchine che ci sfioravano. A un certo punto Toni salta sul gradino di un negozio chiuso, si gira verso la saracinesca abbassata, alza le mani e allarga le gambe come se lo stessero perquisendo, ed inizia in quel trambusto a gridare: «basta traffico, basta, non ne possiamo più, fate qualcosa, chiamate i vigili». Senza capire bene un paio di compagni ed io, istintivamente, facciamo la stessa cosa tra il rumore dei motori e il puzzo dei gas di scarico. Lì per lì ridevo, anche per il tasso etilico della serata, ma non capivo il motivo del gesto, ripetuto nel frattempo da altri compagni sulla saracinesca di fronte. Arrivati in piazza Duomo, un minuto dopo, mi fu tutto chiaro e ripresero le risate: l’Assessore ai Vigili Urbani era Franco Piperno che, come ricorda lo stesso, in occasione della sua nomina ricevette da Toni un telegramma: «finalmente uno dei nostri a capo di una banda armata!».

Un ultimo ricordo che voglio condividere non riguarda una esperienza particolarmente gioiosa ma ha sempre a che fare con le qualità umane di Toni. Siamo all’ex Asilo Filangeri di Napoli in occasione di un seminario. Arrivo da Roma al mattino, prima dell’orario d’inizio, e vedo Toni che sta discutendo con altri compagni. Mi fermo all’esterno per fumare una sigaretta. Mi vede e mi raggiunge con gli occhi preoccupati e, dopo un veloce saluto, prima che dicessi qualcosa, mi incalza: «adesso che pensi di fare?», «riesci a trovare un qualche lavoro?», «soldi ne hai?», «come posso aiutarti?». Aveva saputo che, con due figli nati da poco, ero stato “sgambettato” all’università, ovvero non mi avevano prorogato l’assegno di ricerca nonostante avessi lavorato duramente. Gli risposi che mi ero messo a progettare software e che la cosa mi permetteva di avere un reddito e stare tranquillo. Il suo sguardo si rilassò e cominciammo a parlare d’altro, negli anni successivi venni a sapere fortuitamente che quella non era stata l’unica volta che Toni si era concretamente preoccupato della mia condizione.

Non riesco in questi giorni tristi ad andare oltre questi piccoli flash personali, tantomeno parlare del Negri politico e filosofo. Vorrei restituire quanto sia stato per me importante, ma appena ci provo tanti pensieri mi affollano la mente, a partire dalle parole di Carletto Cuccomarino: “il maestro neppure immagina quanto ha influenzato la mia vita”. Eh si, e non soltanto la sua, perché Toni Negri è stato contagioso e poterlo ascoltare e parlargli rinfocolava la speranza comunista che abbiamo dentro. La sua storia e il suo lavoro, in fin dei conti, ci dicono materialisticamente che la vita può essere trasformata e divenire gioiosa, che le passioni tristi e lo sconforto possono essere sconfitti, che il capitalismo può essere compreso e superato, che la rivoluzione è ancora oggi possibile. E quando riusciremo a praticarla istituzionalizzeremo la felicità, allora il nostro riso diverrà come quello di Toni, “puro come l’acqua”.

Non ti dimenticheremo amato maestro, perché come scrivesti “i saggi sanno cambiar capitolo ma non la passione”.

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