In questo breve scritto tenterò di tratteggiare un’alternativa speculativa all’ormai diffuso termine “Antropocene”, coniato nel 2000 da Crutzen e Stoermer

[i]. Benché ritenga l’impiego di tale termine scientificamente fuorviante e filosoficamente legato a una tradizione antropocentrica, credo, tuttavia, che vi siano alcuni aspetti della questione che meritino di essere indagati ulteriormente. Questa analisi, che di certo non ha la pretesa di essere né approfondita né esauriente, ha come obiettivo l’individuazione del punto di rottura tra il concetto di Antropocene e la narrazione, tipicamente occidentale, del dominio umano sui processi naturali – il cosiddetto “impatto geologico” delle attività umane. Il risultato di questo slittamento di paradigma sarà l’emergenza di un campo di ricomposizione tra essere umano e natura. Il prezzo, tuttavia, sarà così elevato da costringerci a ridefinire la nozione stessa di “orrore”.

Geologia oscura

Vorrei cominciare da una semplice questione di carattere scientifico[ii]. Nonostante la massiccia ed evidente presenza di indicatori antropogenici – quali depositi di plastiche e particelle carboniose, intensificazione delle emissioni di anidride carbonica e isotopi radioattivi, maggiori concentrazioni di metano e ossidi di azoto, sedimentazioni di prodotti tossici e crescente cementificazione del suolo[iii] – non sarebbe ancora possibile identificare un’era geologica denominabile Antropocene. Da un punto di vista geologico, il concetto di Antropocene sarebbe scorretto per tre, fondamentali motivi: per la scarsa profondità di suddetto strato, per l’impossibilità di definire con esattezza dove tale strato cominci e, infine, per la relativa novità cronologica del dominio antropico[iv]. Non vi sarebbe, dunque, alcun fondamento empirico in grado di giustificare l’impiego di termini come Antropocene, relativamente alla stratificazione terrestre, o Antropozoico, relativamente alla sistematizzazione temporale delle ere geologiche. Per la geologia rimaniamo nell’Olocene, quarto scenario macro-ecosistemico dell’era cenozoica.

Eppure, lo scenario si complica qualora si decida di concentrarsi sugli effetti ecosistemici dell’azione umana. A causa dello sfruttamento intensivo delle risorse planetarie, e del conseguente restringimento degli habitat, il tasso di estinzione delle specie animali e vegetali è divenuto cento volte più rapido che in passato, conducendoci alla soglia della sesta estinzione di massa[v]. Questa drastica diminuzione della biodiversità, accompagnata a un altrettanto drastico successo adattivo di alcune specie (le cosiddette specie “invasive”), potrebbe condurre, in un arco di circa duecento anni, all’estinzione della maggior parte degli organismi individuali[vi]. In un periodo ancora minore, il riscaldamento globale, entrato in feedback positivo con lo scioglimento dei ghiacci polari, avrà desertificato gran parte dell’Europa e l’intera Africa – generando un’ondata di migrazioni senza precedenti, e periodi di piogge così intense, da rendere quasi impossibile la prosecuzione della vita quotidiana[vii]. Giunti a questo punto, anche le nazioni che meno avranno contribuito alla dissoluzione ecologica saranno irreversibilmente colpite dagli effetti del cambiamento climatico, finendo, per di più, per essere invase dalle nubi di polveri sottili e materiali radioattivi trasportati dai venti[viii]. Tutti fenomeni dei quali possiamo attualmente osservare la genesi.

L’Antropocene sarebbe dunque una specie di fantasma, un’entità non direttamente osservabile, ma di cui è possibile avvertire la presenza e l’imminenza. Proprio questa “spettralità” è la caratteristica sulla quale vorrei focalizzare l’attenzione.

Al di là dei facili (sebbene comprensibili) catastrofismi, il campione di dati selezionati sembra evidenziare un punto di grande rilevanza teorica: l’Antropocene, ossia l’epoca definita dall’egemonia e dal dominio tecnologico dell’essere umano sulla natura, coinciderebbe con l’inaugurazione di un periodo di grave crisi per la specie umana. Un vero e proprio “collo di bottiglia” planetario[ix], da cui, in definitiva, la nostra specie potrebbe non uscire. L’azione umana, espansa a scala globale, si rivelerebbe, perciò, come il principale fattore di rischio della propria estinzione, nonché di quella degli ecosistemi complessi dai quali dipende.

Così come il passaggio da un’era all’altra – o, addirittura, da un’epoca a un’altra – è stato segnato da grandi estinzione di massa (le più paradigmatiche delle quali sono, senz’altro, quella dei dinosauri, nel Cretaceo-Paleocene, e quella della megafauna nel Pleistocene), l’ingresso nell’epoca dell’Antropocene, annunciato dall’inquietante attesa di una catastrofe, manifesta lo spettro dell’estinzione dell’essere umano. Di fatto, solo il collasso totale delle strutture antropiche, seguito da un lungo periodo di sedimentazione delle stesse, sarebbe in grado di produrre le prove materiali di cui i geologi ritengono di aver bisogno.

Discutere di Antropocene o Antropozoico significherebbe, dunque, analizzare un’ipotesi scientifica, verificabile alla sola condizione di trovarsi su un pianeta in cui non vi sarebbe più alcun osservatore umano. Tale perturbante ambiguità teorica consente, a mio parere, di annoverare la geologia tra le principali discipline in grado di indagare il paradosso di Fermi (consistente nella domanda: «Se l’universo e la nostra galassia pullulano di civiltà sviluppate, dove sono tutti quanti?»). Una geologia oscura, radicalmente post-umana, che identifica il “grande filtro” di Hanson − ossia l’ipotetica impossibilità di uno sviluppo illimitato delle specie − in un’essenziale fragilità e precarietà degli ecosistemi, deponendo, al tempo stesso, l’essere umano dal suo ruolo di signore e padrone del pianeta Terra[x].

Intrappolato nel ghiacci

Tra i principali effetti collaterali del riscaldamento globale, si può senz’altro annoverare l’intensificazione dell’attività degli agenti virali e batterici. Dal 2014, migliaia di esemplari di saiga tatarica e volpe volante sarebbero deceduti a causa di complicazioni batteriche, probabilmente correlate al rapido incremento delle temperature[xi]. Più o meno dallo stesso periodo, sulle coste occidentali di Stati Uniti e Canada, milioni di stelle marine e ricci di mare sono stati uccisi dal misterioso Densovirus, rimasto ipoteticamente latente per anni, finché il surriscaldamento degli oceani e l’acidificazione delle acque non ne hanno scatenato il potenziale epidemico[xii].

Vi sarebbe, tuttavia, un’altra conseguenza del riscaldamento globale, ancor più strettamente legata a eventuali rischi pandemici. Lo scioglimento dei ghiacciai e del permafrost, starebbe riportando alla luce virus e batteri considerati estinti o debellati, ma anche specie, vecchie di milioni di anni, sconosciute all’epidemiologia. Dalle nevi “perenni” della Siberia e dell’Alaska tornano alla luce il vaiolo, la spagnola e l’antrace. Ma dalla tundra, a profondità ben maggiori, risvegliate dagli scavi minerari e dalle attività di trivellazione, riemergono anche entità ancestrali, come il Mollivirus – un virus risalente ad almeno trentamila anni fa, così grande da poter essere osservato con un comune microscopio ottico[xiii]. L’idea che l’essere umano possa definitivamente eradicare gli agenti infettivi, si scontrerebbe con la costante comparsa di nuove minacce, ma anche con la ricomparsa di attori, seppelliti sotto milioni di anni di storia profonda. Se, nel primo caso, ci troveremmo di fronte a uno scenario molto comune, ossia quello dell’incertezza dei saperi e delle facoltà conoscitive, nel secondo saremmo al cospetto di una “storia” non umana, addirittura arcifossile[xiv], che tuttavia si manifesta ancora una volta − come l’araldo di un tempo geologico che rifiuta di essere messo da parte. Così, come l’Antropocene indica un tempo futuro privo di osservatori umani, l’arcifossile irrompe all’interno del dominio antropico, ripresentando un passato in cui l’essere umano ancora non esisteva o muoveva i suoi primi passi. Citando H. P. Lovecraft: “È assolutamente necessario, per la pace e la salvezza dell’umanità, che alcuni degli angoli più oscuri e sepolti della Terra e delle sue abissali profondità rimangano inviolati; altrimenti, orrori che dormono si sveglieranno a nuova vita […] per rinnovare e ampliare le loro conquiste”[xv].

Considerato nei suoi effetti meno evidenti, l’Antropocene si complica ulteriormente, intersecandosi al ritorno dell’ancestrale al presente, e alla paradossale futuribilità del passato remoto.

Estinzione

Sia nel caso dell’incertezza per il futuro, sia in quello dell’ignoranza rispetto al passato, è difficile sottovalutare l’importanza di questo riposizionamento delle attività umane a livello geologico. Se l’Antropocene rappresenta un importante nodo concettuale, è perché a essersi annodata è proprio la duplicità di questo unico movimento della Terra, che dal passato più remoto si proietta al futuro più lontano. La fine della “conoscenza esatta”, un passaggio di paradigma che parrebbe totalmente agli antipodi rispetto al significato di Antropocene, getta sul futuro della specie umana un’ombra imperscrutabile, richiamandoci alla costruzione di nuove metodologie scientifiche e nuove forme di vita.

Riusciremo a mettere in atto i rivolgimenti politici che l’estrema gravità della situazione richiederebbe? Riusciremo a sottrarci collettivamente alle devastazioni causate dall’attuale sistema di produzione? Sarà ancora possibile una vita dopo l’Antropocene, magari nel senso indagato dall’anonimo Desert[xvi]? Interrogativi di questo tipo costellano la geologia oscura, ne impregnano la peculiare consapevolezza filosofica, sospesa tra il riconoscimento della transitorietà umana nel più vasto movimento gaiano, e una radicale ripugnanza a deporre le armi della critica.

Se non saremo in grado di rispondere (anche incompiutamente), a questi interrogativi, se non saremo in grado di tratteggiare dei percorsi in ogni direzione, rimarremo muti dinanzi all’orrore. Un orrore che si palesa ogni qual volta discutiamo o analizziamo il concetto di Antropocene – così come gli omologhi Capitalocene, Omogenocene e Chthulucene. Ecco, infine, la forma compiutamente realizzata di questo orrore: la definizione di Antropocene come “periodo breve”, deducibile a partire da uno strato geologico testimoniante, agli occhi di un enigmatico osservatore futuro, la straordinaria quanto temporalmente limitata diffusione di una singola specie su tutto il pianeta.

 

Note

[i]  Per maggiori informazioni: http://www.igbp.net/download/18.316f18321323470177580001401/1376383088452/NL41.pdf.

[ii] Preliminarmente, rimando al lavoro di raccolta dati svolto dal Working Group on the Anthropocene: https://www.researchgate.net/publication/319613362_The_Working_Group_on_the_Anthropocene_Summary_of_evidence_and_interim_recommendations;e:

http://www.ingentaconnect.com/content/schweiz/nis/2017/00000050/00000002/art00004;jsessionid=19s991kd6ah1v.x-ic-live-02. Per un breve riassunto della questione: https://www.eurekalert.org/pub_releases/2017-03/uol-tas032317.php.

[iii] Sulla formazione di un nuovo strato geologico: http://science.sciencemag.org/content/351/6269/aad2622; e: https://www.nature.com/articles/541289b.

[iv] Per le obiezioni alla validità del termine Antropocene: https://www.smithsonianmag.com/science-nature/what-is-the-anthropocene-and-are-we-in-it-164801414/.

[v] Sulla sesta estinzione di massa: http://advances.sciencemag.org/content/1/5/e140025; e: https://www.theguardian.com/environment/2017/jul/10/earths-sixth-mass-extinction-event-already-underway-scientists-warn.

[vi]  Per una definizione di Omogenocene: https://www.researchgate.net/publication/210289384_Review_A_Guide_to_the_Homogenocene.

[vii]  Sugli effetti del riscaldamento globale: http://iopscience.iop.org/article/10.1088/1748-9326/aaaad3/meta; e: http://www.wri.org/blog/2017/09/water-stress-driving-conflict-and-migration-how-should-global-community-respond.

[viii]  Ancora sul riscaldamento globale: https://www.theguardian.com/theguardian/2008/mar/01/scienceofclimatechange.climatechange; e: https://www.nytimes.com/2017/11/15/world/europe/radioactive-cloud-europe.html.

[ix] Per collo di bottiglia si intende un particolare fenomeno di drastica riduzione degli individui facenti parte di una specie o popolazione, per lo più dovuto a cause atipiche quali caccia, isolamento, epidemie ed eventi catastrofici di tipo abiotico (quali terremoti, eruzioni e metamorfosi climatiche). I pochi esemplari sopravvissuti a tali minacce si ritrovano a fronteggiare il rischio di estinzione. Un collo di bottiglia di proporzioni globali non potrebbe non riguardare la totalità delle specie e delle popolazioni terrestri, homo sapiens compreso. Sugli effetti del collo di bottiglia sulla fitness: http://www.lescienze.it/news/2004/01/05/news/un_collo_di_bottiglia_evolutivo-587116/.

[x] Sul paradosso di Fermi e il grande filtro: http://www.independent.co.uk/news/science/fermi-paradox-climate-change-human-extinction-great-filter-planet-earth-a7845141.html; e: https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_filtro.

[xi]  Sull’aumento delle morti improvvise tra i mammiferi: https://www.theguardian.com/environment/2018/feb/25/mass-mortality-events-animal-conservation-climate-change.

[xii]  Per maggiori informazioni su Densovirus e moria delle stelle marine: http://www.pnas.org/content/111/48/17278; e: https://news.nationalgeographic.com/news/2014/11/141117-starfish-dying-epidemic-virus-animal-ocean-science/; per una mappa costantemente aggiornata dell’epidemia: http://data.piscoweb.org/marine1/seastardisease.html.

[xiii]  Sul tema delle malattie ancestrali: http://www.bbc.com/earth/story/20170504-there-are-diseases-hidden-in-ice-and-they-are-waking-up.

[xiv]  Q. Meillasoux, Dopo la Finitudine, Saggio sulla Necessità della Contingenza, pp. 13-43, Mimesis, Milano, 2006.

[xv]  H.P. Lovecraft, Tutti i Racconti, 1931-1936, p. 117, Mondadori, 1992, Milano.

[xvi]  Per la versione completa e gratutita di Desert: https://theanarchistlibrary.org/library/anonymous-desert.

Print Friendly, PDF & Email