Introduzione
Da qualche anno a questa parte, in particolare in ambito francofono, si sente sempre più spesso parlare di una teoria che sta diventando oggetto d’interesse di molti, ma che soprattutto sembra destinata a crescere ulteriormente: la collassologia. L’interesse verso questa, che si fatica a chiamare disciplina, soprattutto per via del suo carattere assolutamente ibrido e che vede la partecipazione di molti ambiti di studio fra loro differenti, ha però un obiettivo ben preciso: studiare le cause e le conseguenze del possibile collasso[1] del nostro sistema socio-economico e ambientale. A partire quindi dal suo stesso oggetto di studio, si coglie da subito la contrapposizione nei confronti di un certo modello di sviluppo: quello occidentale emerso a partire dal secondo dopoguerra. Scopo di questo contributo sarà quello di definire ciò che ha portato alla nascita di questa teoria, ma anche i possibili (e ancora in atto) sviluppi della stessa.
I precursori
Una teoria come la collassologia rappresenta sicuramente una novità all’interno del nostro dibattito e sarebbe sbagliato non riconoscere ciò; d’altra parte, però, sarebbe allo stesso modo ingiusto non tentare neppure di far luce su alcuni lavori che sono stati (e continuano ad essere) importanti nel formarsi della stessa. Come nella maggior parte di queste operazioni di ricerca, la lista sarebbe molto più lunga (data anche la natura multi-disciplinare della collassologia), tuttavia i tre lavori qui segnalati possono essere senza dubbio considerati fondamentali.
Nel 1972 uscì un’opera che segnò l’inizio di una nuova fase di ricerche sul tema del rapporto fra l’uomo e la natura e che sarà centrale nello sviluppo della collassologia. Il titolo italiano era Rapporto sui limiti dello sviluppo, traduzione del volume The limits to growth, una ricerca commissionata al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dal Club di Roma[2]. Da tale ricerca si inaugurò un metodo che non aveva precedenti: per la prima volta, il crollo del nostro sistema economico ed ecologico veniva considerato partendo da un’analisi sistematica delle relazioni tra la crescita della popolazione, i consumi e la produzione di energia. Per la prima volta, gli studi sul superamento dei limiti naturali e sui rischi di un collasso del sistema venivano concepiti su basi scientifiche.
Un’altra proposta di studio intorno al tema del collasso è del 1988, quando lo storico e antropologo americano Joseph Tainter pubblicò The collapse of complex societies[3]. In quest’opera, Joseph Tainter individuò (forse in maniera troppo semplicistica) tre criteri per poter riconoscere il possibile collasso di una società: le crisi demografiche ed economiche, una sempre maggiore coercizione da parte degli apparati governativi e, infine, la presenza di sistemi istituzionali sempre più costosi e sempre più propagandistici.
Nel 2004, il vincitore del premio Pulitzer Jared Diamond[4], noto a livello mondiale per il saggio Armi, acciaio, malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni[5], pubblicò Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere[6]. Jared Diamond si domandò su quale tipo di futuro si prospettasse per le società contemporanee, considerando le condizioni attuali delle stesse. A partire da questa domanda, si interrogò anche sulle effettive possibilità che le diverse società hanno di scegliere se affrontare e superare le (possibili) crisi o, per diversi motivi, andare incontro alla propria fine. Nel rispondere a ciò, Diamond portò diversi esempi di civiltà (per esempio, gli abitanti dell’isola di Pasqua, delle isole Pitcairn, i Maya e altre), mettendo in risalto le cause del crollo o, viceversa, i motivi della loro sopravvivenza. Il senso del libro è esplicitamente dichiarato dall’autore stesso nelle righe conclusive:
«I documentari televisivi e i libri ci spiegano in dettaglio cosa è successo ai Maya, ai Greci e a tanti altri. Abbiamo dunque l’opportunità di imparare dagli errori commessi da popoli distanti da noi nel tempo e nello spazio. Nessun’altra società del passato ha mai avuto questo privilegio. Ho scritto questo libro nella speranza che un numero sufficiente di noi scelga di approfittarne»[7].
Ecco dunque che, pur non negando le tante differenze e i limiti di questi tre studi, è tuttavia evidente l’interesse comune verso un unico fenomeno: il collasso. Pur partendo da differenti punti di vista, questi tre diversi lavori, se letti in modo storiografico, possono essere considerati i primi testimoni di un’esigenza che sarebbe stata sempre più centrale: quella di interrogarsi sui rischi di un possibile collasso. Ma che cosa si intende con collasso? Che cos’è l’«effrondement»?
Ciò che accumuna il termine «effondrement» e collasso è sostanzialmente l’idea di una caduta integrale degli elementi che costituiscono una certa struttura. Che essa sia organica, architettonica oppure socio-economica, essa si ritrova in un’impossibilità improvvisa di funzionare. La radice latina del vocabolo (participio del verbo collabi) composta da cum e lapsus indica quindi un cedimento solidale: un crollare insieme. In sintesi, per come è da intendersi qui, l’«effondrement» evoca un processo di cedimento della nostra struttura socio-economica, in particolare:
a) generalizzato;
b) simultaneo;
c) dovuto a rapporti interni complessi di interdipendenza delle sue componenti;
d) imputabile ad una negligenza, volontaria o involontaria, rispetto alle proprie zone di fragilità e insostenibilità.
Genesi
A partire dal tentativo di individuare i differenti significati evocati dal concetto di collasso, nel 2015 Pablo Servigne e Raphaël Stevens hanno pubblicato Comment tout peut s’effondrer. Petit manuel de collapsologie à l’usage des générations présents[8]. A seguito della stampa di quest’opera si può considerare a tutti gli effetti emersa una nuova disciplina: la collassologia, di cui tale lavoro può essere considerato il Manifesto. L’obiettivo principale di tale proposta è quella di studiare le possibilità e le prospettive di un crollo integrale del nostro sistema socio-economico, troppo complicato e insostenibile da un punto di vista ambientale per non incorrere in un «corto circuito» a breve termine. Comment tout peut s’effondrer è un lavoro in cui Pablo Servigne e Raphaël Stevens mettono insieme in maniera organica una serie di dati, modelli, studi e prospettive che vanno dalle ricerche del già citato Club di Roma, alla teoria del picco petrolifero di Hubbert[9], passando anche, per esempio, attraverso gli studi in parte già menzionati di Jared Diamond.
L’assioma che regge tutto il sistema teorico è la certezza che l’attuale forma di sistema globale (in tutte le sue molteplici forme) è destinato, prima o poi, a implodere. In particolare, Pablo Servigne e Raphaël Stevens utilizzano il termine «intuizione» per descrivere questa consapevolezza, proprio per sottolineare come nonostante non sia possibile determinare quando verrà raggiunto il punto di rottura, i due autori non nutrono dubbi sul fatto che questo prima o poi vi sarà. La società termoindustriale, ovvero il sistema globale in cui la maggior parte degli esseri umani sono immersi, ha un destino legato a doppio filo con quello dell’ambiente e degli altri esseri viventi. Il nostro sistema economico, ricordano i collassologi, è troppo fragile, quindi destinato inevitabilmente a collassare[10] prima o poi.
Comment tout peut s’effondrer ha un approccio interdisciplinare, ben radicato nel mondo della scienza, che valuta il collasso anche dal punto di vista dell’etica individuale. Problemi come la combustione incontrollata di petrolio, l’inquinamento da plastiche, l’estinzione della fauna e della flora terrestre vengono ribaditi in maniera forte eppure, lamentano gli autori, sussiste comunque un’inerzia o, peggio ancora, una noncuranza diffusa nei confronti di queste tematiche (fin troppo conosciute). Secondo Pablo Servigne e Raphaël Stevens, una possibile interpretazione di tale atteggiamento è nel modello delle fasi di elaborazione del lutto della psichiatra Elisabeth Kübler-Ross, secondo cui, in caso di una perdita (affettiva o ideologica) si attraversano cinque fasi: la negazione, la rabbia, la negoziazione, la depressione e l’accettazione. Secondo i due autori, queste stesse fasi devono essere applicate anche al modo in cui l’umanità sta ponendosi nei confronti delle imminenti catastrofi a cui va incontro.
Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare alla collassologia soltanto come a una teoria della catastrofe, infatti, come ben mostrato da Servigne e Stevens in Comment tout peut s’effondrer, questa si porta con sé anche una pars costruens, nonostante l’irreversibilità dei fenomeni che descrive.
Gli sviluppi
Nel 2018 Pablo Servigne, Raphaël Stevens e Gauthier Chapelle pubblicano Un autre fin du monde est possible. Vivre l’effrondement (et pas seulement y survivre), tradotto e stampato in italiano da Treccani[11] nel 2020. Sempre nel 2018 Julien Wosnitza pubblica Pourquoi tout va s’effondrer e un anno più tardi Yves Cochet stampa Devant l’effrondement. Essai de collapsologie. Nel 2020 Jacopo Rasmi pubblica Collassologia. Istruzioni per l’uso e collabora a Générations collapsonautes: naviguer par temps d’effondrements di Yves Citton. Intorno all’universo collassologico sono state prodotte anche due serie audovisive, a dimostrazione del sempre maggiore statuto socio-culturale acquisito e che continua a crescere: Next. A’ la rencontre des collapsologues di Clément Monfort e L’Effondrement del collettivo Les Parasites.
Dunque, se da una parte si è costretti a constatare la sempre maggiore importanza di questa corrente di pensiero, dall’altra si intuisce come la proposta teorica di quest’ultima non potrebbe limitarsi a una mera denuncia delle criticità sociali, ambientali ed economiche dietro al collasso di una società (non se ne spiegherebbe fino in fondo il sempre maggiore interesse di molti, essendo questi argomenti già conosciuti). Dunque, qual è l’elemento nuovo della collassologia? Perché la sempre maggiore importanza di questa proposta di pensiero?
La risposta a questa domanda si articola in due punti.
In primis, la collassologia non rappresenta soltanto l’insieme delle ricerche e dei saperi che si interessano delle possibilità e delle modalità di un crollo trasversale della struttura socio-economica attuale, ma si interroga, al contempo, sulle prospettive che conseguiranno da tale evento. L’oggetto di studio centrale per gli esperti del collasso non è tanto il crollo di una civiltà umana in generale, ma piuttosto la scomparsa della nostra, quella moderna, termo-industriale, messa in scacco dai problemi ecologici di cui sarebbe contemporaneamente responsabile e vittima. L’interesse vivo per altre situazioni storico-geografiche di un certo sistema socio-economico (dalle comunità primitive a quelle amerindiane) risulta di conseguenza relativo alla comprensione e alla previsione di ciò che bisogna aspettarsi dal nostro contesto attuale. Dunque, non soltanto il collasso delle società, ma il collasso della nostra società (quella occidentale) e tutto ciò che ne potrà conseguire.
Il secondo aspetto che giustifica il sempre maggiore successo della collassologia è rappresentato da un altro dei suoi ambiti di studio: le nostre vite nel collasso. Come sostiene il sociologo Bruno Latour in Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica:
«Ormai noi beneficiamo, per così dire, dell’aiuto di agenti scatenanti che obbligano a ridefinire ciò che è un essere umano, un territorio, una politica, una civiltà»[12]
Quest’ultimo aspetto della collassologia è quello che apre la strada ad un nuovo concetto: la «collassosofia». Con quest’ultimo termine gli autori di Un’altra fine del mondo è possibile. Vivere il collasso (e non solo sopravvivere) intendono lo studio delle pratiche quotidiane per vivere e, in parte, ridurre il collasso. Attraverso una proposta per molti aspetti simili a quella della filosofa Donna Haraway[13], ciò che si propone è un «cambio di rotta», che si muova (citando Joanna Macy[14]) su tre dimensioni:
– La prima fa parte delle azioni e delle lotte per rallentare e fermare i danni causati alla Terra, agli ecosistemi, alle comunità più fragili. È l’attivismo, spettacolare o discreto, come lo si intende di solito;
– La seconda consiste nell’analizzare e comprendere la situazione attuale (ecco dunque che la stessa collassologia viene ricompresa nella collassosofia);
– La terza dimensione è quella di un profondo cambiamento di coscienza, di un cambiamento interiore.
Dunque, la novità fondamentale portata dalla collassologia è la presa di coscienza che la denuncia e la vita in una situazione di crisi (che, appunto, rischia il collasso) non è semplicemente un oggetto di studio fra gli altri, ma è un ambito che influenza inevitabilmente le nostre esistenze. La consapevolezza di ciò, a sua volta, apre a due possibilità. Da una parte, si può provare il più possibile a sopportare quello che la ricercatrice canadese Ashlee Cunsolo e l’australiano Neville Ellis definiscono il dolore ecologico; dall’altra, tutto ciò può far nascere nuova ricerca, ma soprattutto una diversa consapevolezza per vivere il collasso e non solo sopravvivere (per dirla con Servigne, Stevens e Chapelle).
Conclusione
In conclusione, lo studio del collasso è un ambito di ricerca che implica due presupposti fondamentali: il fatto che tale collasso è quello causato dalle società occidentali[15] e il fatto che tutto ciò è inevitabilmente dentro le nostre pratiche quotidiane. La situazione è complessa perché è complesso con-vivere con il collasso (in tutte le sue dimensioni) e soprattutto per questo la collassologia vuole provare a crescere in questa (invece che sopperire). I rischi e i punti critici sono tanti, ma, ci insegnano i collassologi, una direzione può ancora essere scelta.
Note
1 Nella totalità degli autori, questo viene dato per certo, ma in forme molto differenti fra loro.
2 Il Club di Roma è un’associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini d’affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti e cinque i continenti.
3 Joseph Tainter, The collapse of complex societis. Cambridge University Press. Cambridge. 1988.
4 Jared Diamond insegna all’Università della California a Los Angeles ed è membro dell’Accademia Nazionale delle scienze americana. È un biologo, fisiologo, ornitologo, antropologo e geografo statunitense.
5 Jared Diamond, Armi, acciaio, malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni. Einaudi. Torino. 2014.
6 Jared Diamond, Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere. Einaudi. Torino. 2014.
7 Ivi. Cit. it. p. 242
8 Pablo Servigne, Raphaël Stevens Comment tout peut s’effondrer. Petit manuel de collapsologie à l’usage des générations présents. Éditions du Seuil, avril 2015.
9 https://www.ecoage.it/picco-petrolifero-di-hubbert.htm#:~:text=La%20teoria%20del%20%22Picco%20petrolifero,sullo%20stato%20delle%20riserve%20americane.
10 Su questo, in particolare, mi permetto anche di consigliare lo studio della CONSOB sulla crisi economica, ma non solo, scatenata dalla recentissima e ancora in atto pandemia del virus SARS COVID 19: http://www.consob.it/web/investor-education/crisi-sanitaria-economica
11 Pablo Servigne, Raphaël Stevens e Gauthier Chapelle Un’altra fine del mondo è possibile. Vivere il collasso (e non solo sopravvivere). Treccani. Torino. 2020
12 Bruno Latour Tracciare la rotta. Come orientarsi in politica. Raffaello Cortina Editore. Milano. 2018. Cit. it. p. 115
13 Su questo, in particolare si vd. Donna Haraway, Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Edizioni Nero. Roma, 2019.
14 Joanna Rogers Macy è un’attivista ambientale, autrice, studiosa di buddismo, teoria dei sistemi generali ed ecologia profonda.
15 Per approfondire questo, mi permetto di consigliare Max Horkheimer, Theodor W. Adorno Dialettica dell’Illuminismo. 2010. Einaudi editore. Torino
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