Questo contributo è prodotto di una recente permanenza di circa 40 giorni in Argentina, svoltasi fra la seconda metà di Marzo e fine Aprile di questo anno.

Parlo di un “caso argentino” perché colpisce che un paese come l’Argentina, che nel cosiddetto “Occidente Allargato” vanta fra i più alti livelli di conflitto sociale , sindacale e politico organizzato e dal basso, il paese delle Madri di Plaza de Mayo, l’unico paese della regione latinoamericana che il suo dittatore (uno dei vari, Jorge Videla), lo ha fatto morire in carcere, colpisce che proprio un paese del genere si ritrovi ora col presidente forse più a destra, Javier Milei.

Cominciamo dai numeri. Nel primo turno delle elezioni presidenziali, svoltosi il 22 di ottobre del 2023 i risultati raggiunti dalle forze principali sono i seguenti:  Sergio Massa (Peronismo) 36.69%, 9.645.983 voti.

Javier Milei (La Libertad Avanza) 29.99%, 7.884.336 voti.Patricia Bullrich (destra tradizionale) 23.84%. 6.267.152 voti. Il restante 6,79% viene raccolto da un altro candidato peronista ancora più moderato, più il 2,7 % del candidato della sinistra variamente trotskista. Gli aventi diritto al voto sono 35.410.080, e quindi la partecipazione al voto è del 76,53%.

Al secondo turno di ballotaggio, svoltosi il 19 di Novembre, i risultati invece saranno questi:  Javier Milei 55.69%, 14.476.462 voti. Sergio Massa 44.31%, 11.516.142 voti. La partecipazione al voto è quasi uguale  a quella del primo turno.

Una prima osservazione. Premesso che stiamo comparando due risultati elettorali in paesi con sistemi istituzionali diversi, presidenziale quello argentino e parlamentare (per ora) quello italiano, il consenso reale sul totale della popolazione col quale al secondo turno è stato eletto presidente Javier Milei, è notevolmente più alto di quello sul quale si basa l’attuale governo di Destra-Centro italiano. Milei al secondo turno raccoglie il 40,88 % del totale degli aventi diritto al voto, l’attuale governo italiano si basa su un consenso effettivo e reale del 26,73 % degli aventi diritto al voto.

Perchè vince Milei

Anzitutto vince perché al secondo turno al suo quasi 30 % iniziale si aggiunge il grosso del quasi 24 % di voti raccolti al primo turno dalla cosiddetta destra tradizionale, e qualcosa dei voti del candidato peronista minore, componendo così un blocco maggioritario di fronte al quale il candidato peronista principale non aveva possibilità di vittoria. Su quel 24 % non ho molto da dire: si tratta di un blocco dove prevalgono interessi di classe della classe media ed alta del paese, e posizioni ideologiche che vanno dall’antiperonismo, al classico desiderio di legge ed ordine in un paese storicamente conflittuale e polarizzato, sino ad arrivare alle nostalgie per la ultima dittatura del 1976-1983. Ma il “capolavoro” politico di Milei consiste nell’avere saldato il suo 30 % di elettorato di origine, dove convivono interessi e posizioni economiche diverse, con questo blocco di destra classica e classista più tradizionale. Quindi è su questo 30 % che va centrata la attenzione.

I fattori che contribuiscono al formarsi di questo 30 % sono ovviamente molteplici. Anzitutto la delusione verso il governo presieduto dal peronista di centro Alberto Fernandez, il quale promette molto al suo elettorato popolare e realizza assai poco, soprattutto a causa della assenza di volontà di scontrarsi con i poteri concentrati che hanno in mano i principali settori della economia argentina (finanza, energia e miniere, grande distribuzione, blocco agro-esportatore). A questo si aggiunga, con una economia deteriorata e soprattutto una inflazione superiore al 140% in Ottobre 2023, il colpo di genio finale di avere candidato come presidente contro le agguerrite destre Sergio Massa, che dal 3 Agosto 2022 era stato proprio super-ministro della economia.

A questo si aggiunga anche l’appoggio di fatto goduto da Milei ed offerto da una parte importante del sistema mediatico Argentino. Milei, che prima era solo un opinionista TV fra i tanti, muove i primi passi politici nel 2020 partecipando alle mobilitazioni promosse contro la quarantena ed i vaccini durante la pandemia Covid. All’inizio il suo movimento si chiamava, pensate voi, Partido Libertario, nome poi modificato in La Libertad Avanza. Le sue proposte politiche iper-liberiste veicolate attraverso un linguaggio aggressivo, violento e fuori dagli schemi della politica tradizionale argentina, fanno sì che il sistema mediatico lo individui come “l’uomo nuovo” su cui puntare, da cui le innumerevoli interviste, citazioni, comparsate in talk show etc.

Ma esiste un ultimo aspetto forse più importante. Molto si è detto sul fatto che una parte importante del voto a Milei proveniva dai giovani. Premettiamo che mentre in Italia la età media è di 47 anni, in Argentina è di 33. È ipotizzabile che una parte significativa di questo segmento sociale, a media o alta scolarizzazione, frustrato dalla assenza di prospettive economiche e nel contempo convinto di essere portatore di talenti e capacità non valorizzate, abbia ritenuto più convincente il violento messaggio iperliberista di Milei, che non le tradizionali proposte del peronismo incentrate su una ripetitiva retorica solidaristica, statalista, nazionalista ed interclassista, peraltro poi non molto tradotta in concreta pratica di governo… per non parlare delle proposte della sinistra di matrice trotskista e marxista.

In questo contesto il successo di Milei, fatte le dovutissime proporzioni e distinzioni, ha qualche elemento in comune con quello del Movimento 5 Stelle in Italia, con la sua insistenza sul merito e la lotta contro la casta corrotta. Ha certo in comune anche con la tendenza in atto nel mondo, evito gli esempi, a canalizzare il malcontento verso la democrazia rappresentativa, in direzione di nuovi personaggi della destra “non conforme”.

In sostanza quindi in quel 30% di elettori originari, confluiscono malesseri molto diversi fra loro, portatori di interessi economici molto diversi …. Dagli incazzati per la lunga quarantena Covid, a settori di lavoro dipendente delusi dal peronismo, settori di lavoro giovanile frustrato, flessibile e precario, studenti preoccupati per il proprio futuro, classe medio-bassa in permanente rischio di scorrere verso il basso della scala sociale…Settori diversi ma accomunati da una sorta di “QUE SE VAYAN TODOS”, rideclinato da destra oltre 20 anni dopo la grande crisi del Dicembre 2001…Non a caso il riferimento al “que se vayan todos” è stato presente fra le varie suggestioni lanciate da Milei nella lunga campagna elettorale…..Non a caso inoltre Milei non attacca mai il Peronismo in quanto tale, parla genericamente di “maldita casta politica” o tuttalpiù di Kirchnerismo…perché nel suo 30 % di voto originario confluisce anche un pezzo del voto peronista deluso.

Che poi dopo cotanta retorica anti-casta politica, Milei vinca le elezioni e poi governi grazie all’appoggio di parti fondamentali della suddetta casta, sia di destra che della destra peronista-moderata-dialogante, fa parte ulteriore di una grandissima truffa, sulla quale qui non è necessario estendersi troppo.

L’impoverimento programmato

È stato rappresentato con questo concetto il programma sociale del governo Milei. Anche in questo caso cominciamo dando un po’ di numeri.

Nei primi mesi del governo Milei l’inflazione è schizzata dal 160 % degli ultimi mesi del governo precedente, al quasi 290 % accumulato negli ultimi 12 mesi. Nei soli primi 4 mesi del 2024 raggiunge il 65%. Ora pare stia dando segni di tendenza al calo, 8,8% in Aprile 2024, ma questo a fronte di una economia molto rallentata. I consumi sono in calo: -15% di vendite nei supermercati in aprile ’24 confrontando con Aprile ’23; consumo di carne più basso degli ultimi 30 anni. In aumento la disoccupazione, e la povertà (che ormai interessa quasi il 50% della popolazione urbana). Da inizio maggio son entrati in vigore aumenti del gas che vanno dal 350 al 450%. Anche le tariffe elettriche son diventate le più care degli ultimi 30 anni in relazione al potere di acquisto. Da una osservazione diretta: i prezzi nei supermercati sono uguali ed in alcun caso superiori (igiene personale, cancelleria…) a quelli italiani. Quelli di frutta e verdura nei piccoli negozi, appena di poco inferiori. Il tutto a fronte di salari medi di 550 euro, dai 400 euro mensili di una commessa di negozio o infermiera di clinica privata, ai 650 mensili di un operatore della grande distribuzione. Discorso a parte meritano le assicurazioni mediche private, che coprono una parte importante della popolazione dei lavoratori formali dipendenti ed autonomi, e che dopo la liberalizzazione dei prezzi varata da Milei son aumentate ad un livello tale (aumenti sino al 150% fra dicembre 2023 e marzo 2024) che perfino il governo è dovuto intervenire limitando ulteriori aumenti. Da ricordare che di queste assicurazioni fruisce parte importante di quella classe media che vota a destra. Unico settore dove si possono trovare ancora prezzi relativamente bassi è quello dei piccoli servizi urbani, dai ristoranti ai barbieri, perché lì al contrario dei supermercati e della sanità privata è impossibile agire secondo logiche di cartello e di monopolio, e le piccole attività di questo tipo se alzano troppo i prezzi rischiano di chiudere.

Quale è la logica di tutto questo ??…Perché parlare di impoverimento programmato ??…Indurre in quote crescenti di popolazione una condizione di crescente precarietà economica e di vita, costringerla a centrare le proprie energie su come arrivare a fine mese, obbligarla a lavorare di più o a fare più lavori o andare a vendere calzini in strada, ad ingegnarsi su dove e come trovare i prezzi più convenienti…tutto questo è esso stesso un potente strumento di controllo sociale. Nella regione, si pensi al Salvador o all’Honduras, non mancano casi dove la decomposizione sociale indotta dalla povertà, rende difficile qualunque progetto di ricomposizione basata sulla organizzazione sociale dal basso. Senza dimenticare che come molt@ dicono in Argentina, politiche del genere non funzionano senza un aumento della repressione: protocollo contro le manifestazioni docet. Ma parliamo anche di aumento della repressione sociale diffusa nei territori. Già ora l’Argentina, con una popolazione di poco oltre 46 milioni, conta una popolazione carceraria di 120.000 persone, il doppio di quella italiana, per non parlare dei 20.000 detenut@ nei commissariati.

Per rendere ancora più chiara la logica va anche considerato il modello economico inestricabilmente connesso alla strategia dell’impoverimento programmato, un modello che vorrebbe l’Argentina definitivamente trasformata in esportatore a basso prezzo di prodotti primari, energetici e minerari, passando col rullo compressore su ambiente, salute e diritti sociali delle popolazioni. Si veda a tale proposito questo contributo.

Opposizione a Milei e repressione

Quel che in Argentina non manca, è certamente l’ottimismo della volontà. Intendo dire che in vari momenti mi è parso di percepire da un lato una fortissima e diffusa determinazione a mettere in campo tutto il possibile per bloccare i piani del governo, ma dall’altro anche il dubbio inconfessabile che Milei, almeno in parte, possa alla fine avere successo e cambiare, in peggio, l’Argentina.

Sin da subito il governo accanto alla caterva di misure antisociali nei campi più disparati, ha varato normative ad effetto immediato, contenute in un decreto, per impedire o limitare il diritto di manifestazione. In particolare il DNU (Decreto di Necessità ed Urgenza) entrato in vigore a fine Dicembre 2023, contiene fra le tante altre cose il cosiddetto “Protocolo Antipiquete”, che in realtà è un protocollo contro le manifestazioni. Esso in una forma volutamente generica punta a criminalizzare qualunque manifestazione pubblica che ostruisca il piano stradale e quindi il flusso dei veicoli. Va detto che la Costituzione Argentina, al contrario di quella italiana, non sancisce in modo esplicito il diritto a manifestare pubblicamente nelle strade e nelle piazze; menziona in modo più generico il diritto di espressione e di presentare petizioni al governo. Però il governo argentino sottoscrive diverse convenzioni internazionali che invece tale diritto lo riconoscono in modo chiaro, anche se avvalersi di tali convenzioni implica un percorso lento e laborioso, e senza garanzie che il governo si adegui ad eventuali pronunciamenti internazionali a suo sfavore.

Nei pochi mesi passati dall’insediamento alla presidenza di Javier Milei, avvenuto il 10 Dicembre 2023, tutti i movimenti di base e le realtà politiche e sindacali di opposizione, sono scese in campo contro il governo Milei, tranne una: il peronismo politico organizzato ed ufficiale, ovvero il PJ (Partido Justicialista), ancora occupato a riprendersi dalla botta della recente sconfitta ed a ridefinire i propri assetti e gerarchie interne. La motivazione ufficiale di tale assenza sarebbe l’attesa che le politiche antipopolari di Milei dispieghino pienamente i loro effetti nefasti nel corpo sociale, incluso il pezzo di classe media e popolare che ha votato per lui, disgregando e riducendo il consenso al governo ed allo stesso Milei. Altri invece, come la sinistra ma non solo, ritengono tale motivazione pretestuosa, e prevedono che lasciare il governo indisturbato ad attuare le sue politiche, condurrebbe ad un rafforzamento del governo stesso.

Altro fattore di discussione, connesso al precedente ma più trasversale dentro il composito blocco di opposizione, e che ne influenza le diverse proposte tattiche, è relativo ad una valutazione, più o meno ottimistica, sulla attuale forza di questa opposizione a Milei, e sul livello di disponibilità alla lotta sinora messo in campo da quelle che un tempo si sarebbero chiamate classi oppresse o masse popolari.

Come dicevo quasi tutti son scesi in campo.

I primi però fra quelli che lo han fatto, a subire la repressione del governo, son stati gruppi e movimenti di sinistra, che han convocato fra fine Gennaio e inizio Febbraio manifestazioni di fronte al Parlamento contro la Legge Omnibus, un condensato di centinaia di provvedimenti contenente anche una delega di pieni poteri a Milei in vari settori, e che per questo son stati duramente attaccati da vari corpi di polizia presenti in Plaza de los dos Congresos, con saldo di feriti, arresti ed un giornalista accecato ad un occhio da un proiettile di gomma. Si è trattato del primo episodio repressivo di questa ampiezza dal dicembre 2017, quando in pieno governo Macri fu duramente attaccata nella stessa piazza una manifestazione contro il taglio delle pensioni.

I sindacati ufficiali (CGT e le due CTA), han già convocato due scioperi generali, il 24 Gennaio 2024 ed il 9 Maggio. I due grandi appuntamenti di Marzo, l’8 marzo femminista ed il 24 Marzo per l’anniversario dell’instaurazione delle dittatura militare, si sono caratterizzati, soprattutto nel caso del corteo del 24 Marzo, per la enorme partecipazione, ed anche per la forte opposizione alle politiche regressive del governo sia sui diritti delle donne, si vedano le ambigue dichiarazioni sul diritto all’aborto libero, gratuito e sicuro, sia sui temi legati ai diritti umani. Su questo aspetto la lista delle regressioni è molto lunga: dal citato protocollo contro le manifestazioni, alla ulteriore estensione dell’uso di armi da fuoco da parte della polizia, sino a legittimare il tiro alle spalle per impedire la fuga, l’inversione dell’onere della prova a danno della parte lesa, l’inibizione delle azioni legali da parte delle famiglie delle vittime. Per non parlare dei progetti di limitazione del diritto di sciopero, e delle politiche di negazionismo quando non aperta giustificazione dei crimini contro l’umanità commessi durante la ultima dittatura militare.

Perché fra le altre cose il governo Milei è anche questo: espressione degli eredi di quel blocco sociale che fra il 1976 ed il 1983 ha sostenuto ed appoggiato la dittatura militare.

Nel fronte di opposizione confluisce anche il movimento delle “Asambleas Barriales”, assemblee di quartiere, che in parte richiamandosi all’analogo movimento spontaneo nato durante la crisi del 2001, punta a dare voce e sponda organizzata a chi vive nei territori ma non è affiliato ad alcuna organizzazione sociale, sindacale o politica. I numeri di queste assemblee non sono paragonabili a quelli del 2001, stiamo parlando mediamente di varie decine di persone, ma la loro importanza è data dall’essere promotrici di una miriade di iniziative, spesso piccole ma molto diffuse nei territori: cacerolazos, presidi in ore di punta ai grandi incroci, con esposizione di striscioni e speakeraggio disponendosi di volta in volta nelle strade dove scatta il rosso e tentando quindi di aggirare il protocollo contro le manifestazioni; festival, assemblee e vari eventi in piazze e parchi; “ollas populares” (pranzi o cene collettive in spazi pubblici); partecipazione organizzata dai vari quartieri agli eventi di mobilitazione maggiori.

Né sono mancati all’appello studenti e lavoratori della scuola e della università, che il 23 Aprile son stati protagonisti di quella che sinora è stata la più grande e trasversale mobilitazione contro il governo, in questo caso contro i mega tagli previsti al bilancio delle università statali, e per la difesa della educazione pubblica. I promotori ed i contenuti ufficiali della marcia son stati abbastanza moderati, patriottici, interclassisti, incentrati sulla difesa della università pubblica argentina come “motore dell’ascensore sociale”. Sta di fatto che pare sia la prima mobilitazione di massa che ha creato qualche difficoltà in più al governo.

Sino ad ora le uniche manifestazioni alle quali il “protocollo antipiquete” non è stato applicato, son state quelle enormi come l’8 e 24 Marzo, quelle associale allo sciopero generale del 24 Gennaio, quelle in difesa della educazione pubblica del 23 Aprile. In tutti gli altri casi la linea del governo è impedire la occupazione del piano stradale durante presidi e picchetti, soprattutto nelle maggiori strade del centro della capitale, ed imporre ai cortei di scorrere occupando solo una parte della strada. Ma senza escludere maggiore rigidità in relazione al contesto del momento, a chi promuove la manifestazione ed a quale corpo di polizia opera sulla tale piazza. La concentrazione indetta dai partiti di sinistra di fronte al Congreso nei giorni a cavallo fra fine Gennaio ed inizio Febbraio, viene attaccata anche quando occupava solo l’interno della piazza senza ostruire nessun tipo di traffico stradale. Da notare che il governo ha sufficiente intelligenza da applicare con una certa flessibilità i suoi protocolli repressivi, tentando di spingere il limite sempre più in là. Certo che far sfilare sui marciapiedi una manifestazione di mezzo milione di persone è impossibile. Ma non tutti i giorni si possono fare mega manifestazioni, ed il progetto di normalizzazione repressiva del governo passa più dal colpire sistematicamente tutti gli eventi ordinari, piccoli e medi, che non sono meno importanti, e dove il protocollo contro le manifestazioni viene applicato eccome.

I movimenti piqueteros

Un discorso a parte merita il movimento piquetero, che da quasi trenta anni in Argentina organizza il lavoro precario, informale e chi lavoro e reddito non ne ha per nulla.

Questo movimento per anni è stato fondamentale sul piano della mobilitazione di strada e di piazza contro i vari governi, in alcuni settori un po’ condizionato da logiche di “governo amico” (parlo dei movimenti piqueteros più legati al peronismo), in altri settori più indipendente.

Sin dall’inizio il governo Milei ha messo questo movimento nel mirino, individuandolo come quello più facilmente criminalizzabile, in nome del diritto del bravo cittadino comune a non essere ostacolato nei propri movimenti dai blocchi stradali dei piqueteros, ed anche del diritto a non dover mantenere col proprio onesto lavoro una massa di “parassiti che vivono dei sussidi dello stato”. Non si tratta solo della classica campagna di destra su “legge ed ordine”. Si tratta anche di quella tipica operazione fascistoide che mira a promuovere guerre fra poveri, fra gli ultimi ed i penultimi nella scala sociale, per guadagnare il consenso di parte dei penultimi, per esempio il lavoro dipendente formale e più o meno sfruttato, e metterlo a disposizione del grande capitale.

Emblema di questo attacco è stato non solo il già citato “Protocolo Antipiquete”, ma anche la campagna : “quien corta no cobra” (chi blocca le strade non prende i sussidi). Per spiegare il senso di questa campagna va premesso che in Argentina parte dei sussidi per poveri e disoccupati, venivano erogati attraverso la intermediazione di vari movimenti sociali, movimenti piqueteros inclusi.

Questo ha condotto al fatto che uno dei punti di forza del movimento piquetero, ma secondo talun@ anche punto di debolezza, consisteva nell’attirare spesso notevoli adesioni non sulla base di particolari affinità  culturali o ideologiche, ma per essere individuato come il referente che svolgeva, seppure in modo vertenziale e conflittuale, la funzione di intermediario fra il governo ed i beneficiari dei sussidi, referente in grado di garantire la erogazione dei sussidi ed anche la loro continuità. Con la campagna “quien corta no cobra”, il governo mira proprio a fare leva su questo punto di vulnerabilità, togliendo ai movimenti la funzione di intermediari, e dimostrando ancora una volta in questo modo di essere perverso nelle sue intenzioni, ma tutt’altro che stupido.

La campagna “quien corta no cobra” non ha esitato ad avvalersi di strumenti di tipo Orwelliano. Durante importanti appuntamenti di piazza nelle settimane successive alla adozione del protocolo antipiquete, gli impianti audio delle grandi stazioni ferroviarie, come per esempio quella di Plaza Constitucion, emettevano ad alto volume verso le masse dei manifestanti che scendevano dai treni, minacciosi messaggi di revoca dei sussidi contro chiunque partecipi a manifestazioni di piazza. Né son mancate campagne intimidatorie di convocazione di beneficiari dei sussidi, per interrogarli sulla presenza o meno di organizzazioni intermediarie, sull’incameramento da parte di tali organizzazioni di parte del sussidio, su pressioni per indurre chi prende i sussidi a partecipare ai cortei. Di recente sulla base di denunce telefoniche anonime, incentivate dal governo istituendo una linea telefonica dedicata, son state anche fatte quasi 30 perquisizioni ad attivist@, con accuse di estorsione e frode verso la pubblica amministrazione. Infine il governo, nei confronti dei movimenti che sceglievano di affittare bus privati per portare i manifestanti sul luogo dei concentramenti, ha usato anche la pratica di minacciare gli autisti dei bus di multarli o revocargli le licenze. Altra possibile leva contro i piqueteros potrebbe essere un inasprimento delle leggi contro gli stranieri, i quali in Argentina sono il 5 % della popolazione, ma rappresentano il 10% del milione circa di beneficiari di sussidi.

La feroce campagna di cui sopra, sin dall’inizio ha avuto un grosso impatto sulla stessa discussione interna dei e fra i vari movimenti piqueteros, sino ad allora divisi fra un settore più affine al peronismo, ed uno più affine alla sinistra. Dopo una prima fase di osservazione ed attesa, in Febbraio 2024 di fronte alle scelte sempre più aggressive del governo, come tagliare i sussidi e persino i rifornimenti alimentari alle mense popolari gestite dai vari movimenti, matura la scelta di scendere in piazza in maniera unitaria ricomponendo i due settori prima citati, che sino a quel momento avevano promosso mobilitazioni separate. Va detto che tale scelta unitaria, a mio avviso di per sé condivisibile ma non attuata prima, matura sulla spinta del momento di difficoltà indotto dalla violenta aggressione del governo contro il movimento piquetero.

Ebbene, il movimento piquetero non è affatto scomparso ma da più fonti mi è stato dette che in questi primi mesi di governo Milei, ha perso una parte importante della sua capacità di mobilitazione: da circa 150.000 persone mobilitate da tutto l’arco dei gruppi nella Grande Buenos Aires, si è scesi a circa un terzo. Questo si deve agli effetti congiunti delle minacce repressive e della revoca dei sussidi, inclusi quelli erogati con importi raddoppiati come contropartita per piccoli progetti di lavoro svolti nei quartieri dalle cooperative dei piqueteros, e che interessano molto la stessa militanza attiva dei gruppi.

Che minacce repressive e conseguenti difficoltà siano molto serie, è stato confermato il 10 Aprile scorso, dove una grande mobilitazione di tutti i gruppi piqueteros sulla centrale Avenida 9 de Julio, è stata attaccata e sciolta dalla Policia de la Ciudad de Buenos Aires, anche qui col solito saldo di arresti, feriti ed una persona accecata ad un occhio dai proiettili di gomma. E’ la prima volta dal 2002, anno dell’assassinio di Dario Santillan e Maximilian Kosteki, che una grande manifestazione piquetera viene attaccata con questa ampiezza nella Grande Buenos Aires. L’esperimento del governo credo sia quello di provare alzare l’asticella repressiva, attaccando una grande manifestazione, e di poterlo fare mutuando i modelli del cosiddetto “primo mondo “, ovvero repressione dura ma possibilmente senza seminare troppi cadaveri nelle strade, perché la crisi del 2001 con le sue 39 vittime della repressione, e la stessa vicenda di Dario e Maxi nel Giugno 2002, dimostrano che in Argentina quando si arriva ai morti in piazza poi la situazione rischia di scappare di mano.

Va aggiunto che in questo scenario gioca un ruolo anche la discussione, già accennata sopra, fra chi valuta in modo più o meno ottimistico il rapporto di forza in questa fase e la disponibilità delle masse al conflitto nei confronti del governo Milei. Nel dibattito fra i vari gruppi piqueteros di sinistra, che riflette il dibattito fra le varie forze politiche a cui sono legati, chi valuta in modo meno ottimistico e positivo questo rapporto di forza, tende a promuovere politiche di unità d’azione e ricomposizione in piazza coi gruppi peronisti. Altri gruppi come il Polo Obrero/Partido Obrero son portatori di una visione più ottimistica, ed han sempre teso a distinguere la propria azione dal peronismo, ma di fronte alle evidenti difficoltà di fase, si sono adeguati alla nuova politica unitaria fra i vari gruppi. Va anche detto che da parte del Polo Obrero, gruppo piquetero affine al Partido Obrero, le iniziali ritrosie ad allargare ai peronisti la “Unidad Piquetera”, si dovevano anche alla volontà di non perdere una certa egemonia che lo stesso Polo Obrero aveva, dentro un coordinamento piquetero limitato ai soli gruppi affini alla sinistra.

Qui fa capolino anche un’altra delle classiche questioni su cui tendono molto a dividersi i gruppi e movimenti della sinistra argentina, che è proprio ed esattamente che tipo di relazione avere col mondo peronista, da talun@ individuato come parte della possibile soluzione, ovvero come un possibile alleato, e da altr@ individuato insieme alla destra come parte del problema. Ad alimentare questa eterna discussione c’è anche una certa difficoltà della sinistra, nel raggiungere una massa critica che le permetta di incidere in modo indipendente sugli assetti politici del paese.

Per completare il quadro, un militante di un gruppo piquetero mi ha detto che il governo, fra isolamento politico, repressione, taglio degli alimenti alle mense popolari e strangolamento economico, conterebbe di chiudere la “questione piquetera” entro Giugno 2024. Né va ignorata una certa influenza della chiesa cattolica e del Vaticano sul movimento, attraverso la corrente piquetera legata a Juan Grabois, chiesa che come già fece durante il governo Macri, tende a privilegiare la via istituzionale ed elettorale per gestire i conflitti, rispetto alle mobilitazioni di strada.

Per fortuna in Argentina non esiste solo il movimento piquetero con le difficoltà che attraversa in questa fase, ed il fronte politico e sociale che si oppone a Milei è assai più ampio.

Valutazioni finali

La mia sensazione è che l’Argentina è già entrata in una fase di crescente conflitto, dove le relazioni sociali, politiche e quelle fra i movimenti organizzati e lo stato, saranno caratterizzate da un aumento di violenza. Basti confrontare tante manifestazioni a Buenos Aires alle quali ho partecipato fra il 2017 ed il 2021, dove in molti casi quasi non c’era presenza di polizia, e quelle di ora, sistematicamente trasformate in minacciose sfilate militari dei vari corpi repressivi.

E’ in corso quindi una battaglia, che credo almeno nel medio periodo non avrà né vinti né vincitori. Non vincerà il governo, che per andare avanti dovrà almeno in parte cambiare e moderare i suoi piani, e non riuscirà ad annichilire o espellere il conflitto dalle piazze e dalle strade del paese. Non vincerà nemmeno la opposizione politica e sociale, che di certo non mollerà il colpo ma che non credo ripeterà la scena della crisi del Dicembre 2001, quando il presidente De La Rua dopo essersi dimesso se ne scappò dalla Casa Rosada con l’elicottero presidenziale. Almeno così sarà se i livelli di conflitto saranno quelli visti in questi primi 5 mesi di governo Milei.

Qui entra in ballo il grande problema che sta dietro tutto ciò di cui stiamo parlando: il rapporto fra movimenti di lotta ed opposizione, e democrazia rappresentativa.

In fondo Milei sta facendo cose simili a quelle che si fanno in Francia, a ben altre latitudini ma con livelli di conflitto sociale e sindacale in qualche modo paragonabili a quelli argentini. Le democrazie rappresentative, che poi tanto rappresentative non sono visto che sempre più rappresentano più o meno cospicue minoranze della popolazione, mettono sulla bilancia il peso di queste minoranze che passivamente hanno votato per il blocco di partiti che esprimerà il governo di turno, per mettere ai margini e reprimere altre minoranze organizzate che attivamente tentano di opporsi e contrastare il governo di turno. Secondo questa logica la più grande delle mobilitazioni di piazza o il più grande sciopero, non avranno mai una legittimità maggiore di un governo votato da milioni di buoni cittadini. I movimenti in Argentina potranno portare in piazza anche uno o tre milioni di persone, ma per il signor Milei e soci, varranno e peseranno sempre meno dei quasi 14 milioni e mezzo che hanno votato per lui lo scorso 19 Novembre.

Ovvio che le cose sono in realtà più complicate, e che un conflitto sociale  e sindacale costante e diffuso nei territori, può mettere in crisi qualunque governo, ma una mobilitazione costante con alto livello di partecipazione non è facile da mantenere, come ho potuto constatare in varie iniziative sindacali a Buenos Aires, dove  a fronte di una partecipazione non enorme, i promotori si premuravano di evitare di intralciare il traffico per evitare di esporre la loro base al famigerato protocollo contro le manifestazioni. Per tutte queste ragioni, il grado di legittimazione, ancorché relativa e manipolata, che i governi traggono dal fatto di essere stati votati da cospicue minoranze della intera popolazione, non può essere liquidato facilmente o sottovalutato. Così come non va sottovalutata la forza e gli strumenti di uno stato moderno, maneggiato da un governo legittimato da recenti elezioni vittoriose. Questo meccanismo appare molto evidente in Argentina, paese noto per le grandissime tradizioni di lotta e capacità di mobilitazione, ma che si trova oggi ad affrontare un presidente iper-reazionario che però è stato votato da quasi il 41% degli aventi diritto al voto.

Quel quasi 41% lo si vorrebbe trasformare in una barriera non facilmente valicabile. Una barriera che il potere in Argentina tenta di rendere ancora più invalicabile, promuovendo ad ogni pié sospinto la spettacolare illusione ottica della onnipotenza dello Stato….. A che altro servirebbero se no questi enormi idranti esposti in bella vista, e queste schiere lunghissime di robocop antisommossa bardati, schierati contro mobilitazioni di massa  che si sa essere pacifiche ???…

Ma la mia sensazione è che le opposizioni sociali in Argentina, al netto di tutte le loro preoccupazioni, siano ben determinate a non lasciarsi travolgere da questa illusione ottica. Da quelle parti sanno bene, come disse qualcuno durante una manifestazione per ricordare l’assassinio di Dario e Maxi, di fronte alla stazione ferroviaria di Avellaneda oggi a loro dedicata, che “non c’è futuro senza lotta e non c’è lotta senza organizzazione”. E visto che laggiù non manca neanche un certo senso pratico, i terreni di lotta vengono impegnati tutti, da quello delle strade e delle piazze, a quello elettorale. Non a caso da quelle parti si usa spesso la espressione: “Hay que movilizar en las urnas y en las calles”. In Argentina tutte le principali aree politiche, inclusa la larga maggioranza di gruppi ed organizzazioni della sinistra di classe e marxista, partecipano ai processi elettorali. Poi magari prendono il 3% e mandano giusto qualche deputato al Congreso, però ci provano a sviluppare la loro battaglia anche su quel terreno.

Quassù da noi, si sa, è un po’ un altro film.

Milano,  18 Maggio 2024

 

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