In questo contributo, che ci arriva dalla Germania, viene analizzato il clima di difficoltà del movimento anti-capitalista tedesco di fronte al dramma di Gaza. Il retaggio della shoah, con le mostruosità che ha creato, alleggia ancora, come uno spirito maligno. E spesso viene strumentalmente utilizzato per bloccare anche timide critiche all’operato del governo israeliano di estrema destra. Ma è importante notare il ruolo che la Germania di Scholz sta assumendo come principale finanziatore guerra ucraina in funzione anti-Russia, ben evidenziata dal bellicismo della “verde” Annalena Baerbock, ministra degli Esteri, e sostenuto dalla Francia di Macron. In Germania, l’asse Ucraina-Israele non può essere posto in discussione e, in questo contesto, il movimento antagonista tedesco si frammenta e si perde. Nel frattempo, la situazione in Medioriente rischia di diventare tragica

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1. Medio oriente, mondo

Il 7 ottobre 2023 Hamas compie una attacco terrorista di una portata senza precedenti contro la popolazione israeliana. Tale da indebolire un asse portante dello stato israeliano, ovvero la sua (presunta, declamata) capacità di agire come elemento di garanzia degli interessi dell’area Nato a livello regionale, minandone la credibilità e mettendo in crisi l’asse con Riad. La risposta di Israele non si fa attendere e si colloca sullo stesso piano, portare terrore e morte in maniera indiscriminata a Gaza e oltre. Non certo una novità se non per le dimensioni e l’atrocità. Quello che Israele però non riesce a fare con questa risposta è recuperare la sua funzione stabilizzatrice a livello regionale. Nonostante la risposta tiepida degli alleati storici di Hamas, presi da crisi interne di ordine sia politico che economico, Israele non sembra limitarsi al tentativo, irrealistico, di cancellare Hamas, ma sembra puntare ad affermare una volta per tutte la sua supremazia nella regione tentando di cancellare o ridurre all’impotenza ogni altro soggetto politico regionale. Questo avviene per motivi di politica interna (crisi politica di Netanyahu) e per motivi geopolitici (disimpegno USA, rafforzamento regionale russo e turco). Gli effetti globali al momento si vedono soprattutto in Europa; le merci non passano più da Suez, l’asse economico si sposta sempre più ad oriente e gli Stati Uniti sono bloccati dall’incognita Trump.

È difficile immaginare, in un contesto mondiale così complesso e in evoluzione, quali saranno le evoluzioni locali e globali di questa guerra. Ma si coglie un salto in avanti in quella che è la madre, o meglio il padre di tutte le guerre: quella mossa dal capitalismo, dai capitalismi di tutto il mondo contro le sfruttati, dagli oppressori contro gli oppresse. La guerra moderna è uno dei modi di produzione capitalista. Quando uno stato o un’alleanza di stati scende direttamente in guerra per mantenere la sua posizione di predominio locale o globale, siamo di fronte ad un cambio del suo modo di produzione di valore. Con l’aggravante che, data la crisi climatica prodotta dal capitale stesso e con l’invenzione dell’atomica, questa guerra rischia di coincidere con la fine dell’umanità.

A questa guerra come a tutte le altre l’unica forza in grado storicamente di opporsi ed invertire la tendenza è ed è sempre stata l’alleanza degli oppresse contro gli oppressori.

2. Europa

A fronte di tutto questo le lotte sociali attraversano una fase di crisi. Da un lato è venuta meno la capacità delle democrazie liberali e illiberali, delle dittature politiche e religiose di fungere da polo intermedio tra gli interessi del capitale e le lotte delle sfruttati. Dall’altro le organizzazioni tradizionali della sinistra e i movimenti dal basso non riescono a far fronte ai cambiamenti sociali, economici, tecnologici e ambientali (demolizione dello stato sociale, carestie, pandemie) creati dal capitale stesso. Se il capitale prospera in questa continua competizione, i movimenti si depotenziano, si frammentano e non riescono a fare rete ne localmente ne globalmente. Come per il capitale, anche per i movimenti questa non è la prima crisi, basti pensare alla crisi dei movimenti operai che portò in Italia alla deriva interventista prima e all’avvento del fascismo poi. E proprio partendo da qui lo sguardo si sposta ancora una volta all’Europa. Un Europa che, alla vigilia delle elezioni, prende sempre più la direzione di un nuovo militarismo; dalla destra al centro-destra tutti i soggetti politici in corsa chiamano al riarmo, paventano la guerra imminente. Un Europa che non riesce a prendere parola, non certo sola in questo, di fronte al massacro senza precedenti in corso a Gaza. Un Europa che a fronte della crisi ecologica inizia a parlare di nuovo di nucleare. L’asse franco-tedesco è in crisi, eppure mai come ora i due hanno bisogno l’uno dell’altro. La Germania è la sola in grado di sostenere economicamente e produttivamente una rincorsa agli armamenti, e di fatto è la sua industria bellica a sostenere per parte europea la guerra in Ucraina. La Francia è la sola ad avere nell’immediato una qualche capacità di proiezione militare e la agibilità politica al suo interno e all’estero per farlo, e in Africa sta perdendo su ogni fronte. La guerra contro la Russia accelera, in Ucraina come in Africa, e Scholz inizia a parlare di Eurobond per finanziare il riarmo. Quegli Eurobond che mancarono, per volontà della Germania stessa, per sostenere la crisi economica e sociale della Grecia. Ed è proprio qui in Germania che tutte queste crisi precipitano. Se gli Stati Uniti continueranno a definanziare la guerra in Ucraina, cosa plausibile, la continuazione della guerra dipenderà dalla volontà e dalla capacità tedesca di prendersi carico del costo e delle conseguenze della guerra.

3. Germania e movimento anticapitalista tedesco

I movimenti sociali sono in difficoltà in tutto il mondo, dall’Europa alle Americhe all’oriente. Diritti fondamentali quali quelli nel lavoro, per il reddito, per l’abitare, per la salute faticano ad aggregare, vengono costantemente erosi, mentre fascismo razzismo e guerra avanzano ovunque. Eppure le battaglie sociali quando riescono a conservare un respiro internazionale riescono ancora ad avere la capacità di incidere politicamente. Ecologismo, trans-femminismo e pace rimangono collanti in grado di unire e rilanciare le lotte, a livello sia globale che locale. C’è bisogno di intersezionalità nelle lotte per rilanciarle a livello locale, e questa non è una novità. Ma quello che la realtà ci dice, è che questa battaglia la stiamo perdendo. Se l’analisi è corretta allora quello su cui siamo carenti è il piano strategico. E il piano strategico ci porta oggi, qui in Europa, alla Germania.

Anche il movimento tedesco è in crisi. Lo si vede nelle lotte sociali, divise tra chi agisce nel tessuto lavorativo e nel territorio urbano e chi si colloca nella tradizione autonoma e studentesca. Due mondi impermeabili l’uno all’altro, con qualche piccola eccezione. Lo si vede nel movimento ecologista, costituito da una componente storica, legata a grandi lotte del passato e oggi meno conflittuale ma più’ in contatto con le istanze locali, e una componente giovane e conflittuale, con lo sguardo volto quasi unicamente al fossile, all’Europa, al mondo. Lo si vede nel movimento trans-femminista, diviso in mille rivoli e incapace di prendere parola di fronte al grido di aiuto del popolo palestinese. È difficile da fuori capire la portata dell’impasse che attraversa il movimento tedesco. Eppure su questa impasse e sul suo scioglimento si gioca molto della possibilità di porre un argine alla catastrofe della Guerra.

Negli ultimi mesi la Germania è attraversata da grandi manifestazioni contro l’avanzata del’ AfD, il partito di ultradestra in rapida ascesa nei consensi, non più solo ad est, anche nella Germania benestante dell’ ovest e delle grandi città industriali. Sotto la pressione delle imminenti elezioni europee L’SPD e i sindacati spingono ovunque per una mobilitazione a livello nazionale, dando agibilità anche a movimenti come quello antifascista fino a poco tempo prima ostracizzati. E i risultati si vedono: non sono solo le grandi città, anche nelle cittadine periferiche le manifestazioni sono frequenti, partecipate, con una composizione eterogenea per classi sociali e di età. L’unica componente assente è (con l’esclusione di Berlino e alcune grandi città) quella migrante.

Ma col passare delle elezioni la spinta propulsiva dell’SPD e dei sindacati verrà a mancare. E se per allora non si riuscirà ad aprire alla componente migrante queste manifestazioni si sgonfieranno. È infatti la componente migrante l’unica che può portare un respiro internazionale a questo movimento, che può declinare secondo una prospettiva intersezionale questa lotta. La capacità di articolare l’opposizione sociale all’avanzata delle destre, della politica di guerra, all’interno di tutte le lotte sociali si gioca proprio sulla composizione tecnica di queste lotte, e la sua caratteristica principale è proprio l’assenza della componente migrante. Senza una ricomposizione politica non c’è prospettiva.

I collettivi e le organizzazioni della sinistra tedesca qui, oggi, hanno paura. Animano le manifestazioni di questi ultimi mesi contro l’AfD mossi dall’urgenza di non guardare a quello che sta avvenendo nel resto del mondo. Si sentono sempre più chiamati alle armi contro il ritorno del fascismo. Per ragioni storiche il movimento è in difficoltà nel riuscire ad integrare la componente migrante, con le sue istanze, nella lotta al ritorno dei fascismi. Il suo intervento, peraltro importante, sulla questione migrante rimane separato dalle altre lotte, oggi più che mai. Il punto rimane l’antisemitismo. Attraverso la lente distorta dell’antisemitismo applicato ad ogni critica o attacco a Israele, il movimento non riesce a farsi carico della questione migrante se non con un approccio umanitario. Le migranti non sono visti come soggetti conflittuali e questo è percepito dalle migranti, sia come individui che come soggetti politici, come forma di antiislamismo e di razzismo. Questa componente è certo presente in tutti i movimenti europei, ma qui diventa una barriera insormontabile. Quello che sta succedendo a Gaza per il movimento tedesco, per via della questione “antisemitismo” come lente distorta di analisi, e’ solo uno dei tanti conflitti che esistono nel mondo; non capiscono l’importanza politica di schierarsi. A questo si aggiunge l’idea che mettere in crisi il concetto di antisemitismo tedesco possa favorire ulteriormente l’avanzata delle destre. Per questo non riescono a pronunciare la parola Palestina, per questo non riescono a pronunciare la parola Pace. Questo e’ stato evidente ad esempio l’8 marzo dove a fronte di una assunzione globale della questione palestinese da parte del movimento trans-femminista, il movimento tedesco ha preferito girare la testa dall’altra parte.

Risolvere questo problema oggi, qui in Germania, fare i conti una volta per tutte con la propria storia, non è più solo una questione di giustizia e solidarietà internazionale verso le palestinesi, ma è questione dirimente per il movimento tedesco. Senza questo passaggio rischia di perdere la possibilità di incidere sul reale, in ogni campo di azione politica, non solo sul piano della solidarietà internazionale. Senza questo passaggio non è qui possibile alcuna intersezionalità delle e nelle lotte. E dato il ruolo della Germania in questa crisi questo rischia di fare la differenza, in Europa, tra la possibilità di opporsi efficacemente alla deriva militarista del capitale e venire trascinati in una nuova, forse definitiva, guerra mondiale.

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Dimostrazione pro Palestina, Berlino, 10 novembre 2023 [Liesa Johannssen/Reuters]

 

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