Il ddl Cirinnà sulle unioni civili è stato approvato dalla Camera l’11 maggio scorso. Prevede due istituti diversi: le unioni civili per le coppie gay e le convivenze per le coppie etero. Il ddl non consente a una coppia omosessuale di adottare un bambino né la possibilità della “stepchild adoption”, l’adozione del figlio di uno dei due coniugi, articolo presente in una precedente versione del testo, eliminato già prima della votazione di febbraio.

Mentre la destra e gli ultracattolici promettono un referendum per abrogarla, le reti e movimenti LGBTQ, sottolineano il razzismo strisciante della legge, che tristemente distingue tra amori e volutamente separa la strada delle coppie omossessuali e di quelle etero. Il governo Renzi fa bandiera dei diritti civili graziosamente “concessi” a gay e lesbiche ma il quadro complessivo non riesce a nascondere un’ispirazione omofoba ed eteronormativa, espressione di una società ancora condizionata dalle fobie e dall’ignoranza sul tema del “genere”, come abbiamo potuto notare nel corso dello scorso anno con l’imperversare della “strana” battaglia contro la “teoria gender”.

Il sistema si muove lungo due assi: da un lato è dispotico nell’imporre norme e ordine (repressioni e sgomberi; divieti e ordinanze; enfatizzazione del ruolo della famiglia etero e monogamica, con family day e sostegni economici per chi ha più figli; esaltazione della “buona” cittadinanza attiva che ripulisce le città contro i “cattivi” vandali che imbrattano eccetera); dall’altro sfoggia liberalità e aperture di fronte alle differenze, schiude il mercato del lavoro alle donne, mette a valore le qualità del singolo e della singola, ne sollecita e indirizza l’espressione. Per lo più è un tentativo di governare in forme nuove la discriminazione, mentre la crisi accentua la richiesta di “normalità”, di riconoscimenti di ruolo, di punti di riferimento.

Così, dopo un percorso di riflessione e discussione che in questo periodo ha attraversato il paese da Napoli a Roma a Pisa a Bergamo, da Milano a Torino a Padova a Perugia, domani, sabato 21 maggio, a Bologna, a Piazza del Nettuno, alle ore 15, si terrà la prima Manifestazione nazioAnale TransfemministaLellaFrocia,VENIAMO OVUNQUE! Spazi corpi desideri autogestiti”.

Pubblichiamo anche su Effimera il documento di convocazione della manifestazione del SomMovimentonazioAnale, che insiste sulla costitutiva eccedenza, irrapresentabilità, irriducibilità (e favolosità) del movimento queer e del “soggetto imprevisto”. Rigettando ogni malinconico piano intrinseco alla precarizzazione neoliberista, al ricatto del lavoro e alla ideologia startappara, il SomMovimento lancia una Dichiarazione di indipendenza della popola delle terre storte.

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Corrono tempi bui. Grigi signori in piedi con libri in mano, schierati a scacchiera nelle piazze, predicano di correre subito ai ripari perché imminente è la disfatta dell’ordine (v)eterosessuale e la vittoria dell’Internazionale Frocialista. E hanno ragione.

Senonché di ripari, non ve n’è alcuno! Corrono tempi bui. Mesi di travagliate discussioni affinché i parlamentari decretassero che le froce si possono unire in coppie docili e mansuete, senza pargoli da allevare. Ma ben prima della loro autorizzazione, abbiamo costruito e viviamo reti d’affetto multiple, fatte di amiche, compagn@, fratelle, sorelli, bambin*,amanti.

Corrono tempi bui. Società sessiste e eteropatriarcali si scoprono paladine della libertà femminile solo quando serve per mostrificare i musulmani e militarizzare le città. Ma la lotta delle donne contro la violenza maschile è da sempre autorganizzata. Femministe, migranti e froce di tutti i colori già sfilano insieme per distruggere i confini e per il transito illimitato tra i generi e i territori.

Corrono tempi bui. Vi sono luoghi di lavoro in cui ci dobbiamo fingere eterosessuali, altri in cui siamo obbligate a regalare la nostra eccentricità all’azienda, confezionandola secondo i desideri dell’ufficio marketing. E anche se il glamour gay, lo chic lesbo, il look underground fanno aumentare i loro profitti, misera è la nostra paga e precaria la nostra vita. Ora basta! Mentre si prepara la fucsia primavera, se proprio dobbiamo venderci, saremo noi a stabilire il prezzo e il modo.

Froce incivili, creative esaurite, camioniste fuori moda, vecchie checche senza contributi, trans* euforiche/i/u, massaie critiche, butch insolventi, puttane inflazionate, nonne ribelli, precarie messe al bando, ci siamo unit* e proclamiamo al mondo la

DICHIARAZIONE DI INDIPENDENZA DELLA POPOLA DELLE TERRE STORTE

Siamo finocchie selvatiche, femministe in erba, trans in fiore, genuine e clandestine: creiamo genealogie e parentele oltre le specie. Siamo trans-ecologiste e resistiamo alla radioattività della famiglia nucleare sperimentando forme sovversive di affetto, piacere, solidarietà, relazione. Siamo le guerrigliere della lotta anale contro il capitale.

Sottraiamo la nostra creatività ai brand della moda. La contessa di AccaEmme, la regina di Kos, da oggi si vestiranno da sole. Designer e parrucchiere, stiliste e commessi, allestiamo apparati effimeri per il funerale dell’eterosessualità obbligatoria.

Lesbiche virtuose del fai-da-te, non maneggiamo più trapani, seghe, martelli per vendere le merci del Re Merlin, ma li usiamo per costruire spazi liberati dallo sfruttamento e dalla competizione neoliberista.
Ci siamo già infiltrate nelle redazioni dei giornali femminili, delle radio commerciali, della televisione nazionalpopolare: interrompiamo la trasmissione dei ruoli sessuali e la programmazione delle nuove identità preconfezionate, produciamo format di sovversione.

Con i poteri che ci siamo date, aboliamo il culto dell’autoimprenditorialità e l’obbligo di trasformare tutto ciò che siamo e facciamo in qualcosa di spendibile sul mercato del lavoro. Startuppami ‘sta fregna!

Con le briciole di riconoscimento concesse dall’azienda e dalle politiche antidiscriminatorie ci facciamo i biscottini. Abbiamo comunque deciso di prenderci tutta la pasticceria.
Parliamo noi per noi stes(s)e e ci autoriconosciamo, le une con gli altri/e/u.

Sottraiamo per sempre i nostri saperi e quelli prodotti su di noi all’Accademia del Capitale, per restituirli alla libera circolazione. Non saremo più un caso di studio, perché le nostre vite eccedono qualunque teoria: autogeneriamo conoscenza su di noi, animali umani e non umani, e sul mondo.
Ci riappropriamo in forma collettiva e autogestita dei nostri corpi, della loro capacità di godere, di creare, di trasformarsi.

Nelle consultorie transfemministefroce, decostruiamo e ri-costruiamo i nostri corpi con tutte le protesi fisiche e chimiche che desideriamo, reinventiamo i canoni estetici, i piaceri, il concetto di salute e sovvertiamo le pratiche della cura.

Lavorare stanca: nella fucsia primavera proclamiamo l’abolizione del ricatto del lavoro.
Istituiamo un piano queerquennale che prevede casa, luce, acqua, rose, gardenie e fiori di lotta perpetua per tutti, tutte e tette. Siamo stufe di stare in appartamenti cari e brutti: ci riprendiamo basiliche, ville, condomini sfitti e castelli per tutti, tuttu e tutte! A ciascuna, ciascuno e ciascunu secondo i suoi bisogni, i suoi desideri, le sue fantasie.

Proclamiamo l’inizio della de-civilizzazione. Rifiutiamo la logica che divide le culture in “avanzate” e “arretrate” con la scusa dei “diritti” delle donne o delle cosiddette “minoranze” sessuali. Sostituiamo l’avanzata rettilinea del Progresso con percorsi obliqui, grovigli, passi di danza, vagabondaggi.

Ci prendiamo tutto lo spazio che ci serve. I pompieri sugli alberi miao, gli sgomberi ciao.

Noi, Popola delle Terre Storte, irrompiamo nello spazio pubblico oltre le forme autorizzate del vivere.

Siamo uscite/i/u dalle dark room, dalle palestre, dai ritiri in campagna, debordiamo dagli spazi autogestiti sgomberati, dalle strade e dai marciapiedi, dai luoghi perimetrati dove volevate ghettizzarci. Convergiamo in spazi comuni in continua espansione. Contaminiamo ogni luogo con la nostra favolosità: ogni via, ogni strada, ogni angolo ci serve per ridisegnare le geografie dei desideri e dei piaceri. Chi ci voleva a casa a spolverare i mobili, ci ha trovato in strada a polverizzare i ruoli di genere.

Siamo l’imprevisto nell’ingranaggio del capitale. Venite e godete con noi!

 

 

 

 

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