“Un delinquente rischia la vita ribellandosi a pene ingiuste; un pazzo non sopporta più isolamento e umiliazioni; un uomo rifiuta il regime che lo opprime. Questo non fa del primo un innocente, non guarisce il secondo e non assicura al terzo l’avvenire promesso. D’altro canto, nessuno è obbligato ad aiutarli. Nessuno è obbligato a pensare che queste voci confuse cantino meglio delle altre e dicano la Verità. È sufficiente che esse esistano e abbiano contro di loro tutto ciò che si accanisce a farle tacere perché abbia senso ascoltarle cercando di capire ciò che vogliono dire. Un problema di etica? Forse. Un problema di realtà? Sicuramente.” (Michel Foucault, Sollevarsi è inutile?, Le Monde, 1979)

1. Anche se (volutamente) ignorata, è impossibile cercare di comprendere l’attuale stato di impasse politica che vive il Brasile senza la chiave interpretativa degli avvenimenti del giugno 2013.

2. Nel 2013 una grande e sorprendente coalizione costituita da alleanze eterogenee e differenziate identificò un bersaglio comune: il patto costituito da una accumulazione via ibridazione di forze diverse (ora di tipo neosviluppista, ora di tipo neoliberale) che, da un lato, produceva una falsa sensazione di progresso economico (il Brasile che “decollava”) e, da un altro, garantiva il flusso costante di denaro per la base politica del progetto (il finanziamento elettorale e l’irrigazione di praticamente tutti i partiti dello scenario brasiliano). A questi due aspetti si accompagna un unico modus operandi: la figura di “rullo compressore”. La metafora è stata spesso usata per illustrare come i progetti (prefabbricati)  sono stati (e continuano ad essere) implementati schiacciando qualsiasi tipo di discussione pubblica e democratica.

3. Le giornate di giugno hanno colpito il loro obiettivo a partire da un attacco doppio e ambivalente:

a. il primo, attraverso un’espansione immediatamente produttiva (apparentemente di lunga durata) che ha generato un’inedita e democratica miscela di scontri di piazza, la proliferazione di assemblee, autocostituzione di reti di comunicazione, manifestazioni nelle favelas e nelle periferie, agencements tra i differenti soggetti in lotta (vigli del fuoco, professori, utenti del trasporto pubblico, favelados minacciati di espulsione, studenti, spazzini) in un lungo eccetera.

b. il secondo, attraverso una tonalità unicamente rivendicativo (apparentemente di breve durata) che ha scommesso sulle istituzioni punitive: il potere giudiziario, il parlamento e altri agenti di pubblici (ad esempio: la campagna molto presente in giugno in difesa di ampli potere di inchiesta da parte dei giudici).

 4. Dal 2014 in poi, il governo federale e buona parte della sinistra brasiliana hanno lavorato per annientare la prima linea di attacco del giugno 2013. In primo luogo hanno messo in atto un regime di controllo che impediva di fatto la permanenza dei manifestanti nelle strade e nelle reti e questo per mezzo dell’uso della forza e della disseminazione di paura e vigilanza. In secondo luogo, hanno messo a punto una dispositivo di “marketing elettorale” che ha dessoggettivato e ricattato l’insorgenza, trasformandola in un bastione di difesa del “meno peggio”, ridicolizzando i manifestanti definiti “pessimisti”, e promettendo una svolta a sinistra che avverrà mai. Per adesione entusiasta, per paura, per inerzia o per pura e semplice difesa di un’identità di sinistra (comunitarismo/tradizionalismo), quasi niente è sfuggito al buco nero filogovernativo.

5. Il nuovo governo Dilma non è mai iniziato … anzi, ha sì avuto, quando ha perso, sin dal primo giorno, tutta la legittimità e gli appoggi fabbricati, quando è apparsa evidente l’enormità delle menzogne sbandierate durante la campagna elettorale presidenziale e l’assoluta mancanza di immaginazione politica (oltre a non cambiare niente rispetto alla gestione precedente, il governo ha nascosto la profonda crisi già diagnosticata e ha dato priorità all’agenda dell’austerità, al settore dell’agribusiness, agli aumenti dei prezzi amministrati – dei servizi di luce, trasporti, benzina che hanno accelerato l’inflazione – e infine presentando le privatizzazioni come “agenda positiva”. Allo stesso tempo, il governo Dilma ha inviato al parlamento in regime di urgenza varie proposte di legge destinate a criminalizzare i movimenti e le manifestazioni di strada.

6. La seconda linea di attacco di giugno si è sviluppata lungo una strada a doppio senso: l’operazione Lava Jato (la Mani Pulite brasiliana) non sarebbe possibile senza il consenso sociale anticorruzione nato nel giugno 2013; le grandi manifestazioni non avrebbero tanto successo senza il susseguirsi di notizie bomba dell’operazione Lava Jato. Dopo essere scomparso durante il ciclo insorgente, il desiderio destituente della seconda vertente è riapparso trionfante, presentandosi come una forza sociale, politica, giudicante e punitiva.

7. La difesa filogovernativa raschiando il fondo del barile delle elezioni 2014, si organizza lungo due varianti:

a. La prima è quella della logica ricattatoria della diffusione della paura che annuncia l’imminenza di un nuovo golpe o di un’ascesa estremista e conservatrice della destra, negando ogni tipo di legittimità all’indignazione crescente. Praticamente tutti quelli che si considerano di “sinistra” abbracciano l’ipotesi. La memoria (viva) della resistenza alla dittatura si converte in celebrazione (morta) della paura, della paralisi e della paranoia.

b. La seconda strada, in mancanza di qualsiasi linea politica difendibile, vede il governo impegnato a riempire questo spazio vuoto con una difesa formale della democrazia e della “legalità”. Entra, così, in scena la tradizione del garantismo e dell’abolizionismo penale, da decenni strumento di analisi e di lotta contro la selettività e il razzismo delle pratiche punitive brasiliane. Incapace di qualsivoglia analisi politica che non scada nella teologia negativa del “meno peggio”, e di prendere sul serio la selettività della macchina repressiva governista (e dell’autoritarismo che mantiene), il garantismo si trasforma nella figura squallida del suo stesso opposto: diritto senza politica, forma senza contenuto. Un “abolizionismo di Stato”  che, anche senza nascondere qualche imbarazzo, si gonfia quando il bersaglio è il governo e si sgonfia quando il bersaglio è la moltitudine.

8. Dinnanzi alla continua sfrontatezza del governo cresce l’indignazione con tutte le sue ambiguità. Nella propaganda del governo, un’apparente intelligenza critica finisce per rivelarsi come stupidità autoritaria (la pochezza, dunque, è certa). E nelle odierne manifestazioni non filogovernative? È possibile che una stupidità apparente (così come la dipinge la sinistra) si riveli portatrice di una materialità critica?

a. Forse no … Il secondo fronte del giugno 2013, e parliamo di quelli in buona fede, vuole affrontare la corruzione trasferendo tutta la loro potenza alle autorità giudiziarie e di polizia. La figura del giudice-eroe non è altro che il riconoscimento della corruzioni della nostra capacità di agire politicamente, di prendere le redini della situazione. Per quanto l’intero sistema politico abbia lavorato all’espropriazioni di questa capacità (essendo così corresponsabile dell’attuale disperata ricerca di una redenzione che piova dal cielo) dobbiamo evitare le trappole ed evitare ogni tipo di uscita di questo tipo. Bisogna far sì che il culto del giudice-dio sia sostituito dalla lenta coltivazione della terra; che la corruzione endemica sia combattuta con la distribuzione democratica dei poteri, delle forme di controllo sociale, compreso nel apparato giudiziario. Ora, se la “galera” fosse la soluzione, vivremmo nel migliore Paese del mondo. Un’uscita veramente abolizionista (invece di consegnarsi alla difesa mascherata di un governo autoritario) sarebbe pensare di sostituire le misure  penali attraverso la distribuzione di responsabilità politiche, amministrative e finanziarie ai soggetti implicati (imprenditori e politici) e allo stesso tempo difendere i diritti fondamentali nella loro materialità (come ad esempio il diritto di critica), come condizione di base per l’apertura di nuovi spazi politici.

b. Forse sì … Nonostante la partecipazione di settori estremisti ed antidemocratici e di episodi deplorevoli, le manifestazioni, sin dallo scorso anno continuano a presentare elementi interessanti: un rifiuto e addirittura un disconoscimento dei gruppi organizzatori (che sono quelli che fanno appelli “terribili”); il rifiuto della falsa polarizzazione e dell’opportunismo politico che spinge alcuni candidati a voler “cavalcare l’onda” del movimento (i fischi contro i leader della destra Aécio e Alckmin che han dovuto scappare dall’ultima manifestazione di São Paulo, il 13 marzo scorso); la difesa moderata di diritti individuali di natura progressista; e, principalmente, una connessione reale con la crescente e giusta indignazione della popolazione brasiliana, che tende ad acuirsi sempre più. L’immagine di un manifestante “coxinha” (cioè il termine spregiativo usato dal PT sin dal giugno 2013 per dire che ogni manifestazione non controllata dalla “sinistra” era conservatrice o qualunquista) colpito in faccia dall’idrante mentre resiste alla carica della celere di San Paolo, ci pone una questione: non è che ha qualchecosa da dirci? Non fa senso ascoltarlo? Non sono voci che dovrebbero essere ascoltate?

9. Il governo ha tentato di rispondere organizzando, più di una volta, manifestazioni in grado di attrarre (poca) gente solo se non si discute quel che il governo è stato negli ultimi anni (si parla così in forma astratta di “democrazia”, chiaramente dimenticando il ruolo autoritario del governo nell’eliminazione di qualsiasi alternativa democratica – essendo così il governo stesso corresponsabile dell’ascesa ogni tipo di “messianismo” ed estremismo). Queste manifestazioni, non solo sono meno impattanti (infinitamente più piccole e di apparato di quelle spontanee e gigantesche chiamate in favore della destituzione di Dilma), ma fanno leva solo sulla mobilitazione dalla paura e dall’insicurezza.

10. Che tipo di democrazia può mai essere costruita a partire dalla vittoria della paura sulla speranza?

11. D’altra parte, le analisi che, non assoggettate all’idolatria filogovernativa, riducono le attuali manifestazioni alla polarità artificiosa (“né questo, né quello, né il 13 marzo, né il 18 marzo) commettono questo errore: mentre la polarizzazione è stata creata dal sistema politico stesso (e, per questo, il quasi fallito PSDB – partito di opposizione che ha governato tra il 1995 e il 2002) accetta e ringrazia con piacere il ruolo riciclato di semplice oppositore) le manifestazioni non governative sembrano volere prolungare e mantenere in vita la profonda impasse che colpisce la politica brasiliana respingendo – come complici della corruzione – le formulazioni politiche fabbricate sin dall’apertura democratica. Il grande dubbio è come sarà risolta la grande impasse. In un momento tanto incerto è quasi impossibile fare previsioni ma tracciamo due impressioni:

a. Rischio Bolsonaro (un Le Pen brasiliano). Al contrario di quanto sembri, la “soluzione” Bolsonaro non è alimentata da una “ondata conservatrice” emersa dalla polarizzazione con la sinistra. È il risultato della stessa volontà di far collassare il falso sistema di polarizzazione costruito con la partecipazione della sinistra (potremmo dire la stessa cosa per il giudice Sergio Moro). C’è un grande desiderio di “sabotaggio” che trova in Bolsonaro un’arma per fare implodere il sistema e tutti i responsabili del sistema stesso. Questo desiderio non potrà essere sconfitto con impotenti e astratti canti per i diritti umani, o con l’affermazione ad hoc di una presunta superiorità morale. Bisogna creare soluzioni concrete affinché il “sabotaggio” si trasformi in un approfondimento democratico. La “soluzione” Bolsonaro deve apparire meno attraente e meno desiderante di altre soluzioni create politicamente.

b. Rischio Berlusconi. Le analisi che comparano le possibili conseguenze dell’operazione Lava Jato con la situazione italiana a seguito dell’operazione “Mani Pulite” generalmente dimenticano due cose. In primis, che l’operazione giudiziaria è nata in Italia dopo che la sinistra istituzionale, attraverso il “compromesso storico”, decise di porre fine a tutta la critica sviscerata e all’autonomia conquistata dalla sinistra del ’68 (similitudini con il PT dopo il 2013?). In secondo luogo che, nel cercare di mantenere in piedi il governo Dilma intatto e garantire la sua continuità, la sinistra vuol farci dimenticare tutte le relazioni mafiose (e dunque la corruzione della democrazia) stabilite con imprenditori, banche, imprese e gestori di fondi pubblici negli ultimi anni. Paradossalmente, la sinistra vuole che Lula si trasformi nel nuovo Berlusconi. Vuole la garanzia che egli stringa un accordo post Lava Jato per mantenere in vita il modello di aggregazione esistente tra forze diverse, con le loro consuetudini autoritarie, come se niente fosse accaduto (esattamente ciò che ha fatto Berlusconi). (È chiaro che la destra alleata al governo, cioè il vice-presidente Michel Temer si accinge a fare questa mossa e tenterà lui stesso di diventare il nostro Berlusconi).

12. Come evitare entrambi i rischi? Il problema è che, senza un potere costituente in grado di creare un ampio e democratico complesso di alternative, la situazione diventa sempre più difficile. Il ricatto e la repressione ci hanno portato alla mancanza di alternative. La mancanza di alternative ci espone a un maggiore ricatto e ad un estremismo giustizialista o messianico. Può essere interessante riflettere su due alternative possibili:

a. Subito nuove elezioni. Dal punto di vista istituzionale, davanti alle conseguenze della truffa elettorale del 2014 e della crescente crisi di legittimità, dobbiamo insistere nella convocazione di nuove elezioni in modo da stimolare una discussione politica, anche minima, che coinvolga la società. Non entriamo nei dettagli delle possibili strade da intraprendere per far decadere il governo (per rinuncia, per cassazione dopo la verifica delle responsabilità o tramite il tentativo di una riforma costituzionale di recall con validità immediata). Come affermazioni politica, il nostro compito è sostenere che un nuovo momento elettorale può servire tanto per aumentare la partecipazione sociale nei destini della crisi di palazzo, quanto per evitare un possibile “accordo” post-impeachment (un accordo berlusconiano).

b. Da un punto di vista costituente, lo sblocco della crisi istituzionale dovrebbe servire non tanto per riattivare il potere di applicare la solita ricetta di sempre, la stessa agenda-Brasile (delle riforme neoliberali che il governo e l’opposizione hanno già definito), quanto per aprire un processo di discussione e costruzione di nuove agende possibili. Lottare contro la corruzione è lottare contro ciò che ci impedisce di utilizzare, in maniera autonoma, strumenti conquistati grazie ad una vasta cartografia di lotte: Tipnis (Bolivia), Vila Autodromo, Guaranì-Kaiowà, Belo Monte, scuole occupate, Amarildo, Aldeia Maracana, Jirau, UERJ ecc. Se ci deve essere una “rifondazione” della Repubblica che sia a partire dalle sperimentazioni nate dal basso, da coloro che sono stati in grado di creare un partito di lavoratori e che sanno quando è il momento seppellirlo.

13. L’enigma di giugno continua ad echeggiare: “deciframi o ti divorerò”

 

Traduzione dal portoghese – Brasile – di Marcella Martinelli

 

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