L’intervista affronta tre questioni:

1. L’ecologia politica come chiave di lettura della pandemia in atto.

Aattraverso l’analisi dei lavori di David Quammen e Rob Wallace, si avanza l’ipotesi che la devastazione ambientale – in particolare la deforestazione dovuta a gigantismo agro-industriale, allevamenti intensivi e urbanizzazione “selvaggia” – sia la principale causa dell’accelerazione nella circolazione dei patogeni in epoca neoliberale.

2. La giustizia climatica come terreno per la convergenza delle lotte.

Impostasi nel 2019 grazie al ciclo dei climate strikes, la giustizia climatica ha avuto il grande merito di cambiare segno al dibattito sul riscaldamento globale: non più evocazione di scenari catastrofici, ma campo di soggettivazione politica per la costruzione di una società desiderabile – più sostenibile e più giusta. Sebbene la pandemia abbia colto di sorpresa i movimenti, si avanza la tesi che la giustizia climatica andrebbe rilanciata come spazio di convergenza tra insubordinazione operaia per il diritto alla salute, rivendicazione precaria di un reddito di base (o di quarantena, o di cura, o di emergenza – la discussione è in corso) e mutualismo delle brigate di solidarietà.

3. La transizione energetica nel post-pandemia.

I movimenti per la giustizia climatica hanno avversari e interlocutori. Tra i primi vanno segnalati i negazionisti à la Trump o Bolsonaro, tra i secondi – benché il rapporto di fiducia sia ai minimi storici – i sedicenti capitalisti “verdi” à la Macron o Merkel. Entrambe queste opzioni usciranno modificate dall’esplosione della pandemia. Si avanza l’ipotesi che il primo campo debba confrontarsi con l’incertezza dovuta al crollo del prezzo del petrolio, mentre il secondo debba abbandonare l’idea-guida della green economy – quella di uno scenario di crescita “verde” come condizione necessaria per le politiche di transizione.

Buon ascolto qui

Print Friendly, PDF & Email