Riprendiamo il dibattito avviato dopo il Primo maggio di Milano. Questo intervento viene dall’estero, dunque si riflette a partire da una “visione esterna”. Emerge la prospettiva di un “nuovo umanesimo”: “il contatto autentico con se stess* e con le altre persone” appare un’opzione rivoluzionaria poiché il capitalismo e le sue macchine spingono in senso diametralmente opposto…

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La situazione del Movimento (apriti cielo, inizio subito!) in Italia, attrae in questi giorni la mia attenzione. Non so niente del NoExpo, sono un cervello emigrato.

L’atmosfera delle foto densa di fumo e di determinazione, è abbastanza impressionante. Altrove in Europa, dove il blocco nero sfila due o tre volte al mese a pochi passi dall’ufficio della Merkel, l’impatto visivo non è più questo.

Poi, lo scatto degli indumenti neri lasciati indietro sulla strada a Milano, mi alleggerisce inaspettatamente. So che è una mia costruzione, ma l’ho preso a simbolo per la fine, quel giorno, delle corse, dei frantumi, dei manganelli e delle pietre nell’aria. Come notare, mentre il groppo in gola ancora non scende, che per qualche minuto anche lì si dev’essere camminato più piano, si deve aver perduto di vista il “nemico”, si deve aver respirato di nuovo a fondo.

Cerco di farmi un’idea sui media italiani… L’ingiustizia, la protesta, i danneggiamenti, le cariche. L’isolamento invocato dall’opinione pubblica, la punizione e la strumentalizzazione. Il contraccolpo dopo aver colpito, dopo aver sparato. La frammentazione. I frantumi sono effettivamente ovunque. Uno spiffero freddo: dividere per comandare.

Un cambiamento sociale radicalissimo dopo 20 anni di berlusconismo, sarebbe l’obiettivo. Milioni di selfie non ispirano un particolare senso di comunanza: senza indipendenza, spesso senza riferimenti culturali, senza riconoscimento per le energie che eventualmente si investono in altro, nè per i propositi altruistici che si tenta di perseguire.

Avverto un senso sottile di impotenza, addirittura in quelle oscure silouette, scattanti come delle fionde umane. Mi chiedo se lo sfogo di quel momento ha smorzato la preoccupazione per domani, quando la libertà sarà ancora più limitata e l’autorità ancora più concentrata. E i nostri occhi più stanchi, dopo un altro giorno davanti a uno schermino. Il senso di sopraffazione diventa davvero annichilente!

Se il capitalismo globale è una patologia sociale, questi sono per me certo alcuni dei sintomi. Con sorpresa, questa metafora mi fa da ponte verso una disciplina che si occupa di guarigione, quale manifestazione di pluralità e collettività, ovvero la psicologia sistemica.

“Gli eventi non sono mai ciò che determina il tuo destino, è come affronti gli eventi… Il risultato di ciò che accade dipende dal modo in cui si affrontano le cose…”, spiega con semplicità Virginia Satir (attraverso lei concordo interiormente con Andrea Cegna che, in un articolo recente pubblicato su Effimera, evoca alcune virtuose rivoluzionarie), in un’intervista reperibile un po’ ovunque.

Sono stata in Brasile durante la protesta contro lo scempio finanziario e umanitario della FIFA. Ho scoperto con immensa gratitudine una vasta mappa di piccole comunità autonome dedite alla permacultura, tantissime, nate da precedenti esperienze politiche metropolitane, che nel frattempo hanno costruito la loro sostenibilità reale attraverso nuove conoscenze e pratiche, e adesso offrono un approdo fuori dal consumo.

Luoghi accoglienti, policromi, con un ampio spettro intuitivo, esperienze nuove di messa a fuoco, di comunicazione, di decisione e di sviluppo del potenziale umano: scuole libertarie, Dragon Dreaming, Sociocracy.

Nelle pratiche come l’accoglienza e l’apprezzamento, l’attenzione avanza oltre la critica dell’assoluta e distruttiva carenza nel sistema globale, verso l’esperienza della messa in atto nel sistema proprio, seppur piccolo; e questa messa in atto suscita nuove emozioni, risveglia i sensi. Alla teoria si ri-uniscono le sensazioni del corpo.

La protesta attuata creando un sistema auto-sostenibile coinvolge l’organismo con tranquillità nei ritmi necessari, spesso e volentieri lo disintossica e lo reimmerge nella natura. Si può dire che la sostenibilità psico-emotiva si sviluppi di pari passo con quella strutturale. Si allena sorprendentemente la percezione dei limiti personali, creare (e non domandare) una struttura condivisa diventa necessario, sedimentare un approccio sano ai conflitti ed alle crisi interpersonali e personali è imprescindibile.

Esistono decine di centinaia di collettivi nel mondo, che si stanno dedicando a queste pratiche contemporaneamente in questo preciso istante, senza nemmeno conoscersi; ne ho scoperte in Thailandia, India, Egitto, Kenya, Grecia, Montenegro, Bulgaria, Romania, Svizzera, Austria, Germania, Spagna, Portogallo, Finlandia, Scozia, California, Messico, Brasile. Si tratta di punti di aggregazione di un precariato energico e fantasioso, motivato dalle proprie necessità attuali. Integrazione di saperi e piaceri.

Penso ai Lowconstructores Descalzos, inizialmente una decina di disoccupat* di Rio de Janeiro, che hanno creato la loro attività indipendente con l’edilizia naturale low cost, e vivono costruendo strutture per progetti di permacultura nascenti e restaurando villaggi indios, secondo il principio del mutuo supporto e l’economia del regalo.

Io spero che tutto ciò che si muove verso un’alternativa in Italia, si stia già incrociando con queste tendenze.

Partecipare ad un sistema sostenibile consente di sperimentare direttamente alcuni fondamenti dell’autonomia, che assumono importanti sfaccettature a livello psicologico, ancor prima che politico: come ho già detto, l’apprezzamento e l’accoglienza, ma anche la fiducia nell’autoregolazione e nella responsabilità propria, la centralità del corpo, lo sviluppo di una lingua dei bisogni e dei desideri, l’assenza di una verità unica, la coesistenza di varie percezioni nello stesso sistema, la presenza di informazioni importanti per tutto il sistema nei sintomi del singolo.

Interiorizzare questi fondamenti necessita una superficie praticabile, per questo credo sia adesso più che mai definitivamente importante, captare ogni ispirazione che renda più sostenibile il nostro circondario, impregnando di riguardo e presenza cosciente ogni incontro, ogni contatto umano. Questa è una strategia ben precisa, ispirata per dirne un altro a Marshall Rosenberg, mediatore in diversi scontri di clan nel Bronx, tavoli di cooperazione in Medio Oriente, e così via. Il vantaggio delle materie di questa “educazione proibita” (citando un documentario interessante e facile da reperire), è che possono essere apprese e discusse parallelamente a tutto il resto della nostra abituale attività, ma nonostante ciò potrebbero ben cambiarla radicalmente.

Il capitalismo in quanto standardizzazione, provoca una dolorosa esperienza in chi si lascia ammaliare, che in questo secolo sta diventando sempre più massiva, visibile e traumatica: il rifiuto. L’incompatibilità di ciò che si è, con ciò che lo standard dei mercati dominanti vuole che si sia, per essere apprezzati. Ma non si è mai abbastanza standard in termini capitalistici, visto che gli standard sono mercificabili, ed in quanto merci, continuamente rinnovati per alimentarne il ciclo di produzione e vendita. L’industria della moda ne fornisce un esempio eclatante. Alla luce di ciò, una rivoluzione anticapitalista al livello umano più fondamentale è costantemente fomentabile attraverso il contatto autentico con se stess* e con le altre persone.

Attenzione a non sottovalutare: potrebbe rivelarsi più impegnativo di quello che sembra!

A regalare un vero e disinteressato riguardo, spesso non siamo stat* nemmeno educat*. Ricevere un vero e disinteressato riguardo come essere umano, per esempio attraverso accettazione ed ascolto, provoca una soddisfazione profondissima e curativa, rigenerante, altrimenti sconosciuta a causa del capitalismo ampiamente infiltrato nei nostri rapporti. Questa sensazione bellissima è la più letale nemica del capitalismo, in quanto lo smaschera direttamente quale dipendenza intossicante, ciarlataneria, intralcio tra un individuo continuamente rifiutato e sofferente, ed il conseguimento dei piaceri massimi: l’amor proprio ed il calore umano.

È specialmente questa crepa del sistema, care persone, che vi auguro di centrare, ovunque e in qualsivoglia modo piantiate il prossimo piccone.

Grazie dell’attenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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