Introduzione

Di fronte alla necessità di una risposta collettiva circa l’insistente domanda rispetto l’agire ed il pensare una ricomposizione di classe come volano per la sovversione di corpi, bisogni e territori quale contributo, seppur parziale, possiamo sviluppare? Forse ancor prima dovremmo chiederci: l’ontologia materiale si consegna ancora ad una lettura ricompositiva? E’ da qui che partiremo e su cui ci soffermeremo provando a mettere a verifica, nei mutati paradigmi di sfruttamento, l’operaismo come bussola politica. Non come prova di fideismo politico verso un operaismo che ci ha mostrato come «la continuità della storia del movimento operaio rivoluzionario è la storia della sua discontinuità, delle cesure radicali che in esso si danno»

[1], ma piuttosto con tutta la volontà di usare questo affondare e ritrarsi tra le pieghe della scienza operaia come pretesto per sperimentare una grammatica politica all’altezza della fase.

Aporie del dispositivo precario

La cassetta degli attrezzi affinata dal conflitto sociale italiano ha indubbiamente permesso e premesso l’evidenziazione e la costruzione di sbocchi politici fondamentali[2], ciò nonostante di fronte alla mattanza sociale oggi in atto sembra mancarci la delineazione di paesaggi inediti dell’insorgenza sociale. In Italia le lotte stanno sicuramente pizzicando segmentazioni di classe ma la dimensione rivoluzionaria e l’affermazione del desiderio collettivo sembrano ricadere su di una fetta ancora marginale di iper-proletariato[3]. Analizziamo in questo senso i dispositivi di sfruttamento per poter sviluppare leve di scardinamento degli stessi.

La condizione precaria oggi trasportata verso la sua massima dispiegazione, guadagna il sancimento formale di una totalizzazione materiale (peraltro quasi totalmente pre-esistente ad essa); con il Jobs Act la flessibilità defluisce definitivamente in ogni interstizio del mondo del lavoro grazie all’iniziativa renziana che si pone nel contro-e-oltre, come negazione determinata e superamento, della proto-precarietà: la sanzione istituzionale della trasformazione coincide con il pharmakon[4]-padrone della standardizzazione precaria come vera e propria uberprecarietà che necrotizza definitivamente i tessuti della stanzialità ad oggi a stento sopravvissuti. Il dispositivo precario che, tanto propulsiona l’interesse (nell’ossessiva ricerca della colonizzazione economica e della conflittualità regolamentata) tanto si proietta come dissimulazione ideologica allo stato puro, più viene demonizzato e riformato, più specularmente cresce ed affina le sue armi; se l’inserimento della precarietà funge da mancanza e perversione psicotica, la sua progressiva eliminazione coincide con il fagocitamento totale dell’altro[5], «essa viene sacrificata affinchè l’unità del logos venga ricomposta»[6]. Ogni sovrainterpretazione del ceto politico come ingannatore è inadeguata nell’analizzare il riformismo di Renzi, il quale effettivamente opera nel nome dell’annientamento di ciò che conoscevamo come flessibilità, distruggendo, con il Jobs Act, lo stato d’eccezionalità del dispositivo precario per normalizzarlo catarticamente nella sua diluizione velenosa; il dispositivo terrorista del precariato assume tratti cristologici e sprazzi di elementare dialettica hegeliana sacrificandosi nella purezza spietata del suo strutturale stato d’eccezionalità per la redenzione del totalmente altro: la transustanziazione precaria come morte ed infiltrazione nelle maglie del restante che partorisce una terza figura necrotica, uno zombie. Una perfetta operazione di double bind[7] che traccia la mobilità dell’esclusione[8], una triangolazione patologica della mancanza indotta dove la dislocazione di un flusso malato, di un fuoco di paglia è il primo passo per l’emergere di un suo antidoto: il paradigma precario. Del resto «Iniettarvi la mancanza, la penuria, la rarità, (è un’) operazione indispensabile per aver presa sui corpi […]: dal momento che manchi di qualcosa, non potrai che fondare le tue richieste che su questa mancanza»[9].

Biocapitalismo borg e diversificazione coatta

Noi siamo i Borg. Abbassate i vostri scudi e arrendetevi, assimileremo le vostre peculiarità biologiche e tecnologiche alle nostre, la vostra cultura si adatterà a servire noi. La resistenza è inutile![10]

Il capitale, nell’eterno ritorno del suo attacco, nel suo rapporto fantasmatico e surrettizio rispetto alle soggettività inglobate in esso e di esso forzate promotrici, ha vissuto dell’agitazione operaia come spinta cinetica propedeutica alla propria innovazione. Se «la società (del capitale) si mantiene in vita non malgrado il suo antagonismo, ma tramite esso»[11],, la necrosi padronale dei tessuti di ri-produzione collettivi è una sussunzione delle forme di vita che si pone il problema della loro potenza produttiva: una potenza come imprescindibile terreno di agganciamento speculativo che pone, suo malgrado, l’ambivalente e scivolosa caratteristica di un’espansione incontrollata ed autonoma. Più la portata della produzione collettiva e della potenza soggettiva apre campi di fuga dal capitale (o piuttosto una rideterminazione forclusiva[12] delle vite invase dai dispositivi biopolitici) più questo scommette sulla propria estinzione come riarticolazione delle forme di accumulazione ed allargamento degli orizzonti di colonizzazione; questo difficile equilibrio è il terreno di sostentamento insostituibile di un capitalismo che affronta la divaricazione tra ricchezza sociale e rendita proprietaria, cioè l’estendersi della crisi come strumento di attacco verso forme pericolose di massificazione rivoluzionaria oltre che come rigenerazione del proprio organismo nella rideterminazione puntuale del comando sull’eccedenza produttiva e la spinta autovalorizzante. Il rapporto lotte-sviluppo assume quindi entro il contesto biocapitalistico un consistente squilibrio che mina alla base il range di sostenibilità e governabilità: se, morto ogni confronto dialettico, si pone l’affermazione della nomadicità e dello strabordamento del general intellect come irriducibile esigenza di sottrazione e materialistica scissione, il nemico si pone l’eterno problema di mettere a valore (rendita) la nuova irriducibilità proletaria eludendone i tratti sovversivi.

Sta tutto nell’attivazione perpetua e nella sua governance calibrata, nelle autonomie soggettive come scomposizioni politiche e direttrici economiche. Se l’economicità traghetta l’accumulazione verso la speculazione dei movimenti di agitazione degli atomi iper-proletari, la dritta politica è la repressione sistematica di ogni passo affermativo degli strumenti di autonomia nei confronti dei canali di governo iper-capitalistici attraverso il rovesciamento del diktat nemico dentro a quegli spazi che le nostre soggettività tracciano ma non riescono ad occupare. Economia politica della differenza come inserimento di corpi estranei, di frangiflutti all’interno del flusso continuo e collettivo della forza-invenzione «simulando false piccole autonomie e originalità esteriori: di superficie»[13], come odiosa pratica di amministrazione propulsiva dell’esistente; patterns per la fluttuazione produttiva dell’espansione diversificata. La realtà dell’iper-proletariato è quella di una straordinaria differenzialità purtroppo ancora coagulata nella mera individualità; la bioaccumulazione si pone la questione della differenzialità proletaria rovesciandone l’orizzontalità sovversiva nella psicotica verticalizzazione compartimentata: la fabbrica biocapitalistica trasforma differenzialità in diversificazione propulsiva ed individualizzata. L’arma del capitalismo borg, micidiale assimilatore e trasformatore di energia politica nemica (precaria) in vettorialità favorevole (capitalistica), si struttura come Biorank, come «meta-algoritmo destinato a classificare il vivente e a incasellarlo in scompartimenti di sfruttamento integrale privandolo della sua singolarità»[14]. Diversificazione parametrata contro molteplicità differenziale rizomatica.

La lettura tendenziale della precarietà assume sempre più sostanzializzazione concreta, il dispositivo biocapitalistico coordina un’ontologia precaria che tragicamente agita la propria soggettività differenziale (necrotizzata in individualità diversificata) come volano dell’accumulazione, dell’impoverimento collettivo e della messa a valore del bios; la differenzialità è così colonizzata ed assimilata.

Di fronte a tutto questo come possiamo rendere il nostro linguaggio cooperativo, permanentemente captato e assimilato dal capitale borg, in astrusa intraducibilità? Facciamo tappa nelle fabbriche nemiche.

Le fabbriche delle soggettività come terreno di scontro

Il tema, inflazionato e perennemente affrontato, è ancora quello della soggettività, del «soggetto (come) campo di battaglia»[15], nell’orizzonte di una contesa tra assoggettamento capitalistico ed autoformazione insorgente.

Inchiestiamo l’organizzazione reticolare ed immateriale della fabbrica biocapitalistica come fonte di produzione di mondi, soggettività e forme simboliche provando ad immaginare forme di sciopero e sabotaggio della vita messa a valore, della vita come forma-merce.

Linea di fabbricazione 1 – Individuo e assoggettamento

Il soggetto, nel salto che lo ha condotto, stiracchiato e riproiettato in dimensioni eterogenee (dall’operaio-massa al precariato), coimplica liquidamente il proprio statuto ontologico con il mondo di cui è partecipe; la soggettività non scivola sul lucido piano del continuum ma, rimbalzando opacamente, determina stacchi e salti che riverberano diacronie e distonie.

L’epidemica colonizzazione proprietaria del soggetto e delle sue pratiche ci pone il problema di significare  partigianamente la questione dell’assoggettamento (eterodirezione nemica e biopolitica) e della soggettivazione (dispiegamento autonomo della potenza iper-proletaria e dei suoi bi-sogni) alla luce dell’assujetissement foucaultiano che sposta la territorializzazione capitalistica delle forme simboliche collettive verso la costituzione del soggetto, la genetica soggettiva dell’«assoggettamento in quanto costituzione dei soggetti»[16].

Tocchiamo un punto delicato nel fotografarci in un rapporto coestensivo di assoggettamento sia in termini di subordinazione che in termini di genesi soggettiva tout-court[17]; l’assoggettamento si prospetta come identificazione, come rapporto di significazione e battesimo che ci plasma nel solco della predestinazione pre-soggettiva. Nella bioproduzione siamo fissati nella strozzatura circolare perpetua della nostra vita come eterno sì all’interpellamento che Althusser identifica nell’allocamento ideologico assoggettante; la risposta all’appello porta «all’esistenza colui al quale è rivolto»[18], ed è un atto performativo di dominio ed assoggettamento. Con il dominio inscritto nella costituzione del soggetto e la produzione dell’individuo incasellato, l’assoggettamento sembrerebbe fortificarsi invischiandoci nella pericolosità di una sua apologia come meccanismo perpetuamente riprodotto e leviatano demiurgico di mondo e soggetto; l’attestazione brutale dell’invalicabilità della circolarità, meccanicamente riprodotta come anteposizione, lascia su di noi le tracce di un’incrementazione (socio-politica) del peso della normatività e della significazione biopolitica.

L’assoggettamento costituente come etichetta della produzione soggettiva capitalistica, nell’organizzazione reticolare della diversificazione, in-forma individualità che castrano la soggettività; una costituzione statica e tendenzialmente eterna che si scrolla di dosso ogni potenza costituente dinamica: ogni carattere rivoluzionario è sradicato. L’alienazione che oggettivizza e reifica il soggetto si pone oggi non solo in merito al lavoro morto ma direttamente alla propria catena riproduttiva, salta il supporto fantasmatico del lavoro morto ed oggettivato: il soggetto è estraneo a sé stesso riscoprendosi espropriato nel momento in cui si legge (ed è interpellato) come individuo, come prodotto dell’assoggettamento: alienazione come contrapposizione dell’essere depotenziato (individuo) alla pienezza ontologica (soggetto).

Se«funzione di ogni ideologia è quella di costituire individui»[19] il dispositivo ideologico capitalistico castra soggetti per produrre individualità; la costituzione, intesa come creazione/interpellamento di soggetti, ci consegna nella contingenza storica un potenziamento collettivo tale da pre-fissare il soggetto come elemento e propulsore di una ricchezza sociale estesa. La reversione nemica indietreggia il soggetto del montaggio collettivo e differenziale fino all’individualità ed agisce l’opzione individuo-soggetto come scelta di investimento politico; da ciò la scommessa politica precaria del: soggetto su individuo, soggetto dentro rizoma collettivo differenziale. Il soggetto collettivo del Noi come innervazione collettiva sul tessuto impazzito e rizomatico della soggettivazione differenziale.

Accertate alcune condizioni di possibilità della fabbrica di soggettività (circolazione perpetua e chiusa di interpellazione-riconoscimento, individualizzazione assoggettante e ripetizione coatta ed innocua della diversificazione), facciamo un passo indietro e torniamo a sondare il terreno della soggettività attraversando il marchio di costituzione e la clausola di dominio del soggetto recuperando la soggettività con il peso determinante e gravido di conoscerne la rifrazione nemica, la sua fabbricazione. Sviluppiamo il sabotaggio.

Sabotaggio 1 – Soggetto e (auto)soggettivazione

Se l’assoggettamento, nei termini sovradescritti di produzione ontologica, depotenzia il general intellect ed i soggetti iper-proletari in ricevitori individualizzati, cerchiamo di inchiestare il sabotaggio dentro l’autovalorizzazione autonoma delle soggettività differenziali precarie.

Arrivati al campobase dell’assoggettamento come genesi-genealogia-costituzione ed al rischio di una sua giustificazione teorica, proviamo a ricondurre la pratica sovversiva allo stesso dispositivo di potere che, non esternamente aggredibile ma postmodernamente sganciato dal rapporto dentro-fuori, sussume la propria sovversione: esatto, lo sganciamento insurrezionale foucaultiano non come impossibilità ma come ripetizione rovesciata nemicamente contro la propria genealogia. Potere contro trascendenza, falla dentro il movimento logaritmico di assimilazione-dominio. Nell’assoggettamento reiterato e permanentemente inaugurale, la deterritorializzazione dello stesso apre possibilità alla sua destituzione: «l‘apparato disciplinare genera soggetti (individui)[20], ma come conseguenza di tale atto generativo porta nel discorso le condizioni per il sovvertimento dell’apparato stesso»[21], il dentro-e-contro progressivamente trasmuta trasfigurando mostruosamente il rapporto in una perversione potenzialmente distruttiva; nella sussunzione totale si aprono decisi spiragli sovversivi, pieghe dove scorrere e moltiplicarsi, «spingere le cose al limite dove “del tutto naturalmente”[22] esse si capovolgono e si sfasciano»[23].

Le soggettività, sviluppando l’appropriazione di un’insorgenza che rompe il processo circolare dialettico lotte-sviluppo/assoggettamento-disciplinamento, aprono la faglia attraversabile del grande rifiuto, dell’indifferenza e della diserzione nei confronti dell’interpellazione ideologica[24]; prende forza il fascino di una scommessa sull‘«immaginario come possibilità permanente di non-riconoscimento, ovvero sull’incommensurabilità dello spazio tra domanda simbolica (il nome che è stato interpellato) e l’instabilità ed impredicibilità della sua appropriazione»[25]: nella ripetizione fallata leggiamo il mancato riconoscimento come liberazione e smarcamento. Grande rifiuto come lavoro politico di costruzione piuttosto che catastrofismo teologico, come ostacolo ai meccanismi di trascinamento individualizzato articolato nella contesa del campo e nella concentrazione su di un rapporto di forza traslato trascendentalmente[26] (accumulazione di alterità ed estraneità ostile proletaria) in non-rapporto e soggettivazione obliquamente aliena. Separazione unilaterale, scissione e conflitto autonomo, rivoluzione.

Al movimento ideologico ed alla sua domanda permanentemente organizzata nell’appello, nell’interpellazione ed a fianco della dislocazione dal suo campo operata dal grande rifiuto, moltiplichiamo le nostre domande, bersagliamo il significante nemico di fuochi fatui, moltitudine di appetiti abnormati; l’inappellabilità al senso dell’assoggettamento assume i tratti di una soggettività nomade, sans papier ed indisponibile all’eterodirezione. Dentro il lavoro di dilatazione e divaricazione della ripetibilità nella traslazione differenziale rivoluzionaria, non possiamo non inserire elementi che spingano i passaggi a riprodursi fuori dalla predeterminazione nel non-riconoscimento e nella liberazione dall’appello alla forma individuale; questo significa lavorare su falle aliene per una tessitura sovversiva che trasformi l’assoggettamento capitalistico in soggettivazione comunista e che sfasi, deturni e trasli il movimento induttivo della ripetizione assoggettante in rizoma di soggettivazione differenziale. Prosopagnosia[27] come orizzonte del sabotaggio iper-proletario nell’assalto alle circonvoluzioni spazio-temporali del dominio reticolare. Rifiutare la normazione è soggettivarsi all’interno di un orizzonte collettivo rizomatico, è lottare insieme. Un lavoro politico come rottura insorgente che faccia si che l’eccezione-che-conferma-la-regola sia la stessa capace di abbattere e colpire l’ingiunzione stessa, la costruzione di una «risoggettivazione individuale e collettiva per fini autonomi e non sistemici»[28] che attraversi l’inceppamento di un performativo destinato alla ripetibilità infinita ma sabotato nella sua stessa perenne continuità immodificabile: una convulsione del rapporto di potere tale da delirarlo nella riconversione in potenza immanente di classe. La nostra disarticolazione dell’assoggettamento si fissa nella lettura propulsivamente catastrofica dell’assimilazione; l’internità organica e costitutiva al nemico ed il sancimento di un annichilimento del nemico si traslano nell’autoimplosione, nell’esodo, ossia il soffocamento del sistema capitalistico tramite i nodi che tristemente lo tengono in gioco: l’iper-proletariato e le sue soggettività rivoluzionarie.

La determinazione materiale della soggettività rende il non-riconoscimento e la reiterazione inceppante delle importanti forme insorgenti attraverso l’introiettamento della tragica verità di una soggettività necessariamente appaiata ad un segno (colonizzazione o autovalorizzazione) e riconoscendo nelle soggettività espropriate, anzi costituite, dal capitalismo un segno chiaramente nemico: solo riconvertendolo immediatamente in potenza proletaria ed espansione rizomatica comunista disinneschiamo l’assoggettamento nemico. Il sabotaggio sistematico delle nostre vite (individualizzate e messe a valore) e del sistema di produzione nemico di soggettività si sostanzializza in scommessa politica: dislocare l’insubordinazione nelle viscere della coercizione disciplinare cui siamo costretti, superando, battendo e rovesciando la contingenza in contropotenza autonoma[29]. Se la soggettività, rovesciando la potenza nello squarcio eterotopico prodotto nella-e-dalla contraddittorietà permanentemente coercitoria, rompe la catena che rende il soggetto kafkiano accumulatore di potere nemico, il signor agrimensore[30] può raggiungere il castello o andarsene eludendo il vettore di accumulazione che lo costringeva all’immobilità politica: il circolo vizioso giace così in pezzi.

La battaglia degli individui è la battaglia per la conquista dei soggetti dentro un passaggio di ammiccamento differenziale imprescindibilmente collettivo: costruire, abitare, pensare la soggettività. Se abbiamo con difficoltà verificato l’individualizzazione come segno di colonizzazione nemica ed alienazione collettiva, la soggettivazione si pone come arma delle differenze e leva proletaria. Contro la linea di costruzione individuale predeterminata e la sua rapina della ricchezza linguistico-cooperativa collettiva, «il ritorno al soggetto è dunque il punto di partenza della negazione del rovesciamento nell’oggetto»[31]: soggettivazione, si tratta ancora di questo. Soggetto su individuo, soggettività e differenzialità in un amplesso di appaiamento affermativo. L’alterità smarcante ed autonoma dell’ontologia precaria fanno assumere alla stessa un «carattere di in-assoggettabile presenza»[32] ossia un elemento che, sottraendosi a qualunque identificazione, si qualifica costituivamente come radicale ed immanente potenza selvaggia: «il soggetto sfugge sempre alla presa, ed e questo suo rischiare l’identità che ne fa un soggetto»[33]. La sfida è vivere l’intervento politico come lavoro vivo, scienza e sapere precario vivo che si pongano come condizione di produzione di soggetti. Punto pericoloso. Produzione di soggetti evidentemente intesa come dispiegamento libero, immanente ed infinito delle differenzialità invece che loro presupposizione e predeterminazione; contrapporre alla tristezza individuale, giocata ed agìta contro noi stessi, la potenza della ricchezza soggettiva nella sua libertà affermativa ed estensione rizomatica. Volgendo lo sguardo alla postmodernità del dominio che estorce ad ogni referente la propria temporalità risignificandola in un flusso indeterminabile, scongiuriamo ogni possibile ritorno alla dimensione lineare dell’elemento puro divenuto corrotto grazie all’azione di un elemento estraneo e scavalchiamo ogni banale ricerca del ciò-che-si-è-davvero; torniamo al punto.

La trasformazione politica che agendo sul terreno individuale apre quello soggettivo, non ha i tratti della concrezione e della vettorialità ma quelli della deflagrazione e dell’estensione; il soggetto è soggettività, e dunque differenza intrinseca, infinità che lo delira e deflagra nella realtà della composizione materiale sociale odierna. Dobbiamo lavorare per l’esplosione delle soggettività differenziali, oggi castrate individualmente. La rottura dell’appello assoggettante e della valorizzazione biocapitalistica potrà svilupparsi solo come riproduzione differenziale, altrimenti ogni parametro, ogni omogeneità ci farebbero ricadere nella logica dello scontro frontale e dell’assimilazione borg[34] invece che in quella della sottrazione radicale, del conflitto come deflagrazione del Piano[35], come insubordinazione e contropotere di massa. Soggettivazione come sfida politica da intraprendere nell’organizzazione precaria, ed antagonismo sociale come scienza rivoluzionaria, tecnologia del sé e percorso di autosoggettivazione collettiva delle nostre differenzialità; insomma una grammatica rivoluzionaria che riacquisti consapevolezza di inserirsi nel difficile, ambiguo ed esteso processo di soggettivazione come costruzione-riappropriazione dell’essere-soggetto e come affermazione di potenza sociale ed ontologica. La rottura della governabilità differenziale spinge il discorso della tecnica rivoluzionaria nell’autosoggettivazione; l’irriducibilità comunista si evolve ed avviluppa attorno a quella differenziale in spirali che avvertono la frattura rivoluzionaria dello spazio-tempo. La piattaforma politica del conflitto contro il biocapitale e per la liberazione di saperi, corpi e vite vede la strozzatura di un abbordaggio del soggetto nel sabotaggio dell’assoggettamento capitalistico, la diserzione sistematica delle figure normate in cui la squallida individualità rituale e diversificata trova rigoglioso terreno di fermentazione: riappropriazione della soggettività dentro la costruzione di un propulsore della differenza ontologica.

Ora che ridondiamo di ipotesi teoriche, possiamo apprezzarne le vibrazioni ed i contraccolpi: uscire dall’alienazione biocapitalistica non può risolversi nella costruzione del soggetto, sicuramente non di un soggetto pieno quanto di un movimento, un passaggio che macina il soggetto e lo deturna eccedendolo nella complessità della differenzialità collettiva; praticare il conflitto e dispiegare il contropotere vuol dire allora scorgere il soggetto ed al contempo rinfrangerlo assillandolo nella differenzialità. Il comunismo supera ed accelera il soggetto ponendolo, nella sua riscoperta, come corpo effimero. Lo strappo eterotopico ci riporta ad una soggettivazione come pratica, come conflitto che, nella e per la differenza, afferma collettività. La fabbricazione dell’individualità è lo scoglio che si pone alla costruzione di soggettività antagoniste, all’interrelazione come piattaforma di costruzione della massificazione differenziale. Ad individui corrispondono bisogni negati e soggetti castrati, a questi l’odio irriducibile delle soggettività iper-proletarie.

Linea di fabbricazione 2 – Mondifabbricazione, scheletro spazio-temporale e dominio simbolico

Dopo esserci scontrati con la fabbricazione nemica di soggettività (individualità) ed avendone inchiestato il sabotaggio, proviamo ad allargare la prospettiva nella dimensione simbolica consci della forzatura di una netta distinzione tra queste due sfere della fabbricazione biocapitalistica. La coimplicazione calibrata tra agenti, mondi e linguaggi più che assoggettamento ex-post[36] risulta radicalizzazione ontologica del dominio e coagulazione di un corpus costruito e sviluppato nelle tecniche, nelle pratiche e nei dispositivi. Ecco la sfaccettatura inaspettata nell’esplorazione genealogica dell’assoggettamento e del worldmaking[37] che indaghiamo al fine di svilupparlo come cuneo di riarticolazione e scienza precaria.

La produzione di reale e mondi, l’economia della simulazione, è più che storytelling; Giustiniano a testa in giù e res sunt consequentia nominum[38] nella sua forma più cruda: un reale performato che il dispositivo padronale, come nomoteta[39] elevato ad unico e solo interprete del mondo, non constata ma crea; ciò invalida ogni bildungsroman della coscienza traviata dagli apparati di dominio. Il worldmaking è a tal punto consustanziale con il dispositivo di dominio che presto si confonde nel suo quotidiano lavoro ideologico di produzione ed immissione di verità (partigiana come quella di ogni classe) ideologicamente cosparsa di esclusività, di verità vera pre-nietszcheana[40]: “questo è l’unico mondo ed è vero”. Parliamo di un processo di veridizione.

Il consenso circa la produzione esclusiva di mondi è il frutto di un codice di significazione capace di eliminare ogni possibilità e potenza, inchiodando gli sfruttati alla dittatura dell’eternità necessaria, seppur sfilacciata. Il codice della produzione è inscritto nelle forme di significazione che, sganciate da oggettivi parametri di lettura, vengono recuperate a livello relativo come filtro percettivo; ergo nè referenzialità né fluttuazione a-referenziale ma ancora e sempre conflitto entro le relazioni di potere per porre[41] oggettività: vita mediatizzata nell’iperrealismo[42]. Insomma il mondo nemico sembra far sparire sotto di sé il relativismo postmoderno rievocando una struttura veloce, diversificata e molecolare come arma di estrazione di plusvalore; ciò ci lega irrimediabilmente al nemico? Non c’è nulla al di fuori di lui? Legati sì, ma non irrimediabilmente se rovesciamo e frammentiamo il terreno dello scontro invece che affrontare un nemico[43] da cui è impossibile uscire.

Inchiestiamo la dimensione simbolica[44] come elemento baricentrale nel sistema di ri-produzione capitalistico: il dispositivo di dominio, risulta una macchina (bio)simbolica nel momento in cui crea vita,  mondo ed individuo attraverso la sua produzione di segni per mezzo di segni; ponendo in essere il determinato stato di cose non solo lo afferma e ne permette la visione ma è protagonista di un atto che performa il reale (nomino il mondo creando l’unica realtà possibile) caricandolo di un segno esclusivo: un biocapitalismo nomotetico. Per il nomoteta l’esclusività non può, a causa del pericolo economico (stagnazione) e politico (rivoluzione)[45], ridursi all’eternità (il mondo del capitale come immodificabile paesaggio, l’individuo assoggettato come sola forma di vita), così potenzia la parametrazione[46]: cedendo sul versante dell’innatismo, dell’oggettività indubitabile ed adombrando un parametro, da un lato (ed è il suo fine) cala politicamente il suo peso sul consenso (gerarchia simbolica), dall’altro così facendo evoca l’idea stessa di competizione in termini ontologici, una competizione in cui dovremmo politicamente investire. In parole povere: dall’ideologia della mera ed unica eternità all’ideologia dell’unicità comunque-migliore-di-qualsiasi-possibile (anche se per il capitale non vi è alternativa); si apre la contraddizione tra l’unicità ed il parametro.

L’operazione di traduzione ed interpellamento è quella di una significazione territorializzante da parte di un vettore commutativo-generativo del reale e delle soggettività; questo Grande Altro, questo Significante-padrone pone sulla deriva, sul delirio e sulla potenza delle soggettività moltitudinarie l’interpellazione a mo’ di suggello proprietario, mediandone così il processo e fissandolo all’interno del codice di univocità simbolico-significante. Tramite la loro fabbricazione ed il loro governo, le soggettività manifestano la loro esplosione di senso e proliferazione desiderante unicamente attraverso la subordinazione al «”significante di riferimento” che è come una finalità anteriore, e l’unica verosomiglianza»[47]. Alla strutturazione di una condizione di possibilità universale e trascendente si affianca la materialità del biodominio e la sua pervasività interna come risposta all’immanenza delle nostre espressioni rivoluzionarie; in questo il codice significante è strettamente interrelato con il passaggio post-sovranista delle riarticolazioni del diritto e del rapporto giuridico con cui il codice ha in comune (nella diversità degli aspetti) una contraddizione organica ed insopprimibile, ossia la sintesi e l’affiancamento di due polarità: la prima, composta da caratteri come l’univocità significante, la referenzialità esclusiva e la veridizione, che potremmo definire modernità residuale capitalistica e che consiste in un passaggio che le soggettività rivoluzionarie hanno già percorso e battuto costringendo la controparte a dirigersi verso la seconda delle sua polarità, ossia quella costituita dalla circolazione linguistica, dalla forza-invenzione e dalla diversità valorizzante (in sostanza ciò che tocca la composizione stessa del biocapitale), che potremmo intendere come postmodernità del dominio dove, a differenza della polarità precedente, la controparte si muove in territori dove l’iper-proletariato e le soggettività differenziali hanno una capacità di conflitto. Questo conflitto si traduce nella possibilità di anticipare le inizative nemiche verso la completa riconversione collettiva e comunista dell’orizzonte-mondo, e dunque la proliferazione di altrettante e reciproche forme di movimento rispetto a quelle attribuite alla polarità postmoderna biocapitalistica quali l’autovalorizzazione cooperativa, il non-lavoro (la vita fuori dal rapporto di estrazione di plusvalore) e la differenzialità rivoluzionaria.

Rimanendo dentro la contraddizione tra unicità e parametro, possiamo dunque dire che il biocapitale Borg, assimilando tutto, affermando unicità ed ammantandosi allo stesso tempo di carica simbolica libidinale, sfida il remoto (la sovversione) sul terreno del consenso e della legittimità? Non del tutto, non fino a questo punto.

Prima di scavare la contraddizione completiamo questa veloce istantanea dello sfruttamento; lo spazio-tempo non può essere contemplato come mondo inafferrabile ed è dal rapporto di forza che ne evinciamo un  uso capitalistico: la temporalità imposta è quella fluida e permanentemente derogata, tenuta in scacco dagli incrinamenti possibili e necessari che la macchina del profitto ed il suo dispositivo politico hanno in termini di accelerazione o direzione. L’attivazione perpetua della diversificazione come volano economico ha il suo risvolto temporale quando il presente sfilacciato usa la memoria come arma di ricatto e si accelera in un futuro mai pieno perchè non attraversato dai corpi ma appoggiato e spostato su di essi, i quali lo modificano solo nella misura in cui danno forma alla superficie senza penetrarla né indirizzarla. Così facendo il mondo nemico può raccogliere tutta la potenza collettiva anestetizzandola e valorizzandola; la storia scompare se non come cuneo e frusta di sollecitazione dentro l’assolutismo temporale padronale. Lo spazio della monodimensionalità è la premessa della governance delle differenze, rese diversificate attraverso la neutralizzazione della loro pluridimensionalità e costrette all’impossibilità di vivere, abitare ed  attraversare uno spazio che viene invece subìto: un paradigma che va dunque determinandosi come Ius[48] monodimensionale e garanzia di diversificazione inoffensiva. C’è ancora spazio per il sabotaggio proletario?

Sabotaggio 2 – Perturbazione, consenso e legittimità di classe

Se tempo, consenso, mondo e vita sono spettri nemici in cui, contro noi stessi, agitiamo la nostra differenzialità, sembrerebbe mancare la condizione di possibilità dell’antagonismo; oggi il rapporto di sfruttamento ha assunto una tale forza e permeabilità da essersi fatto trascinare dall’iper-proletariato su un coacervo di contraddizioni che progressivamente trasla lo stesso rapporto su una dinamica di tendenziale annichilimento delle garanzie di vita e condizioni di possibilità del biocapitale. Il dominio paga la sua estensione e pervasività con l’assimilazione di flussi potenzialmente alieni alla propria significazione[49]; l’iperverità come riappropriazione soggettiva, capolavoro manieristico della risposta capitalistica alle lotte proletarie, impensierisce i padroni stiracchiandoli al punto da porli in una scommessa mortale. La fabbrica di mondi nel suo «diverso modo di combinare e costruire sistemi simbolici»[50] porta con sé una segmentazione del codice che si configura come modulazione mobile incalzata dalle trappole dell’estensione qualitativa e scontata con il pugno di ferro statico della verità escludente ed eterna.

Se la ricostituzione del reale passa attraverso la significazione e la modulazione capitalistica e con queste ricalca tutte le nervature ed i contrappesi del potere molecolare fino quasi sovrapporsi ad esso, non intendiamo il worldmaking come apologia del nemico ma constatiamo che «non abbiamo a che fare con molteplici alternative ad un mondo attuale, bensì con una molteplicità di mondi attuali»[51]; è su questo che il sabotaggio differenziale proletario insiste: sulla differenza irrappresentabile ed intraducibile per la significazione nemica e sulla destrutturazione della gabbia temporale. Come riusciamo a sfilacciare il reale  fino a renderlo territorio ostile ad ogni briglia e territorializzazione? E’ possibile la costruzione di un terreno di scontro inconoscibile ed irrecuperabile? E’ tempo di scavare ed insistere le contraddizioni suggerite precedentemente.

Il capitale rompendo l’esclusività, scindendola in unicità ed egemonia e ponendosi, al valico tra le due schegge evocate, nell’impossibile impresa di ricomprenderle dentro la dinamica di non-contraddizione che norma la mono-dimensionalità del suo mondo, intacca l’intero orizzonte del virus rivoluzionario ed apre alla potenza proletaria. Proveremo ora a dilatare insopportabilmente le polarità provando ad immaginare la nostra forclusione[52] rispetto il dispositivo biocapitalistico.

Da un lato c’è la contesa e lo scontro[53] sul nodo del consenso[54]; il consenso come aspetto egemonico. Partiamo dalla sua quotidianità: perchè quando siamo sotto sfratto dovremmo organizzarci per riappropriarci collettivamente dell’abitare? Perchè quando vogliono costruirci un inceneritore davanti casa o è minacciato il nostro posto di lavoro dovremmo lottare insieme? L’alternativa mancante a queste domande è già il contenuto del tema del plus-consenso come risposta politica, del consenso in termini di economia capitalistica: non immobilizzazione politica (consenso morto come cooperazione sociale messa a valore), ma accumulazione politica tramite la creazione di consenso allargato progressivo (plus-consenso) sullo stesso involucro morto di consenso (la ricchezza linguistica che sottostà al biocapitalismo finanziario). Vediamo nei percorsi di lotta come strappare costituzione-altra alla dinamica di accumulazione economica voglia dire misurarsi nel concreto con la concorrenzialità spietata delle diverse sacche di capitale lungo la compatibilità legale/illegale: ad esempio per quanto riguarda la questione abitativa rimaniamo attaccati al feticcio ideologico della legalità ed agiamo, pur lottando, soltanto all’interno delle bolle legali (comune, ass.sociali, avvocati, sindacati[55]) oppure reagiamo passivamente e rimaniamo in balìa delle figure in campo, o ancora sforiamo nel terreno illegale del rapporto di capitale (il racket[56] mafioso) ecco come la mancanza di un consenso che si manifesti nel segno della socialità del rapporto di sfruttamento, e dunque nella socialità della sua rottura, porti al recupero di sbocchi di sfruttamento da parte dei suoi diversi agenti.

Non si tratta di un consenso immobilizzato nella delega, ma che si pone nell’intersezione di dispositivi di significazione e soggettivazione autonoma ossia che «non ha padrone e non ha la necessità di traslare la capacità di produrre su una qualche capacità di comando»[57] e misurazione; un consenso che sfuma nella socializzazione della potenza espressiva differenziale e molteplice. Consenso come sabotaggio simbolico, legittimazione di classe e significazione autonoma nel dare-senso-insieme (iper-senso[58]); ciò apre alla designificazione delle pratiche, dei corpi e dei saperi verso una politica della disidentificazione: la fabbricazione si sabota quando la soggettivazione delle differenzialità collettive disarticola noi stessi dentro l’eterotopia reimmettendo nel rapporto sociale tutta la potenza collettiva dell’intraducibilità. Se l’intraducibilità rimane mero intellettualismo individuale rimane un’enclave ideologica condannata all’assimilazione borg, per questo il con-senso, autonomo e socializzato si deve porre come passaggio di massa e timido strumento di con-differenzialità (differenzialità comunista). Ecco che la soggettivazione si interseca con l’aspetto simbolico del neorealismo borg ed il consenso[59] avanza nei terreni in cui la soggettivazione rompe la filiazione dai padroni; il circolo virtuoso della nemicità sociale mette in discussione radicalmente il rapporto di potere se questa soggettivazione, questa autovalorizzazione proletaria strappa pezzi sempre più estesi di sé stessa allo sguardo ermeneutico della controparte.

Colta la dimensione del consenso e della volontà nemica di riprodurre uno schema egemonico, attraversiamo l’altra polarità capitalistica: la sua significazione unica ed escludente. L’intraducibilità di classe ed il sabotaggio simbolico degli strumenti nemici di iper-mediazione, di genesi puttosto che di governo, partono dall’attestare l’impossibilità di riuscire a tenere insieme modernità e postmodernità, univocità e competizione, da parte del codice di significazione della controparte. Cosa ricaviamo da questa analisi? Che fase si apre se i padroni non riescono a racchiudere le nostre forme di vite in strutture ampie ma definite, cooperative ed allo stesso tempo individualizzate? Certamente una dimensione in cui il sabotaggio simbolico si presenta come ampio terreno di intervento e dove la pluralità ontologica diviene indisponibile alla rigida subordinazione; un dominio che si presenta quindi come imprescindibilmente discontinuo e scorbutico anche nel momento in cui questo riesca a mantenere la capacità di comando sulla vita valorizzata. Il lavoro di significazione, territorializzazione e traduzione salta nel momento in cui il biocapitale borg si trova nella condizione di cucire una cerniera tòrta, strappata e minacciata da contraddizioni che toccano direttamente l’ontologia e capaci di sconquassare il gancio di assoggettamento. La multipolarità biocapitalistica non è riuscita fino ad ora a costruire una pratica del dominio dinamica ma allo stesso tempo omnipervasiva ed è allora incapace di coprire lo spettro di una schizofrenia irriducibile; è qui che sta la possibilità e l’occasione da costruire: il sabotaggio si articola nella destrutturazione del padrone come Grande Altro e del Significante Padrone attraverso la capacità di «far saltare la dittatura del Significato (ed) introdurre il delirio nell’ordine della comunicazione»[60]. Assalto al significante di riferimento. La destrutturazione del codice di assoggettamento, e lo sciopero delle forme di vita ingabbiate nella gabbia dell’individualità passa quindi per l’insurrezione precaria della traslazione differenziale perchè «i segni non puntano sulla forza, ma sulla differenza, ed è quindi con la differenza che bisogna attaccare-smantellare la rete dei codici, delle differenze codificate mediante la differenza assoluta, non-codificabile, sulla quale il sistema viene a cozzare e a disfarsi»[61] e qui tocchiamo un nodo multistratificato fondamentale: dentro l’analisi della codificazione significante del dominio e le linee della sua sovversione ritroviamo la differenzialità delle soggettività precarie come leva di scardinamento ed esplosione della diversità codificata, una sregolazione delle linee categoriali univoche. Ritorna la costruzione del comunismo come intraducibile differenzialità delle forme di vita dentro un orizzonte di potenza collettiva, di infinità espressiva; e così riallacciamo l’ideologica biforcazione egemonia/univocità (consenso/significazione) in un punto nell’atto del suo sabotaggio, nella divaricazione di questa contraddizione insopprimibile: la destituzione dello stigma significante che inaugura il soggetto e ne determina pratiche, comportamenti e linguaggi organizzandoli attorno alla vettorialità dell’accumulazione come discrimine tra diversificazione parametrata e variabile impazzita della differenzialità proletaria e l’attacco al canale di produzione simbolico-significante in quanto credito indispensabile di attivazione

All’intreccio padronale neorealista ed iper-oggettivo, al suo worldmaking, non possiamo che opporre l’autodeterminazione di uno pluridimensionalità comunista, la cui alterità assoluta sia capace di istituire mondi e verità di classe. Il campo proletario traccia un limite che si infrange nella potenza differenziale e pone l’antagonismo al capitale come pratica partigiana della verità e complicata articolazione di territorializzazione-deterritorializzazione/significazione-risignificazione o designificazione. In questo ci è imprescindibile l’immissione di realtà, la determinazione di verità collettive che sciolgano il desiderio nel conflitto che nasce dalla simultaneità di: espulsione del corpo infetto e determinazione di stati di cose prodotti dalla potenza collettiva.

L’uso strumentale e politico della verità, intesa non come «qualcosa che esista e che sia da trovare, da scoprire ma qualcosa che (sia) da creare»[62], risulta determinante nel conflitto di classe e nella distruzione dei paradigmi nemici: «quando la verità diventa conquista contro l’avversario, solo allora ha senso di verità. Sono la separazione, l’antagonismo sollevano la verità»[63]. Praticando verità antagonista e significazione autonoma autodeterminiamo l’autovalorizzazione proletaria in mondi ad uso e consumo delle nostre soggettività. Il dispositivo di mediazione padrona si sconfigge solo con la sottrazione e l’annichilimento degli strumenti di mediazione/creazione del reale, sviluppando linee, punti, diagrammi ed ectoplasmi simultanei (nostri bisogni e vite) che strutturino garanzie di apertura collettiva; passaggi che non nascondino (impauriti del suo inevitabile sbocco rivoluzionario) la differenzialità radicale, ma che si riconoscano nella pluralità della soggettività differenziale. La destrutturazione non mira al feticcio dell’unico ma all’espansione qualitativa dell’intraducibilità. Il sabotaggio come sottrazione sta nella scommessa di puntare dritti alla costruzione di una quotidianità-altra che alla luce del capitale appaia come «Evento che sospende momentaneamente la rete della causalità simbolica»[64], interrompendone e danneggiandone la produzione come «qualcosa di nuovo che non può venir spiegato attraverso il riferimento alla rete di circostanze preesistenti»[65]; invertire i flussi ed uscire dalla piattaforma algoritmica nemica disgregandone i vettori di significazione trascendentale. Solo ridefinendo lo spazio-tempo ed impiantando falle temporali in pugno alla molteplicità differenziale, il comunismo può mangiarsi interi pezzi di mondo capitalistico e dispiegare i soggetti. Ecco il comunismo come campo infinito e divaricante delle possibilità, come dispiegamento differenziale. Le lotte, come circolazione e riproduzione, come sfondamento deterritorializzante ed attacco al worldmaking nemico possono minare l’assoggettamento interpellante della linea produttiva simbolica; è la coagulazione autonoma a spostare la bilancia della soddisfazione individuale e collettiva iniettando adrenalina tramite squarci comunisti che proiettano ombre di terremoto sociale nella fortezza dell’austerity e della finanza, mere gabbie di carta dei padroni sull’iper-proletarietà.

La lingua carbonara e sovversiva si sviluppa nelle lotte imparando a segnare distanze interne ed intraducibilità per il nemico, la scienza precaria è langue su parole[66], differenzialità collettiva contro diversificazione oppressa e schiavizzata. Il sabotaggio delle cinghie di trasmissione della stritolazione delle nostra autonomia è il difficile, certosino e tremendamente irruento, lavoro della riconduzione ontologica; l’attacco e la riappropriazione di tempo e vita derivano le dimensioni riappaiando in modularità impazzite i lembi dell’Essere ingabbiati e resi incomunicanti. Bloccare la fabbrica nemica sabotandone la produzione di soggettività, scioperare le nostre vite reimmettendo flussi di godimento egoistico collettivo attraverso uno stargate, un contropotere che sia garanzia di esplosione differenziale.

Tradire l’operaismo: la memoria è una tigre di carta!

Fino a qui abbiamo provato ad abbozzare un quadro dell’odierna ontologia sociale e del suo sfruttamento, ma se proviamo ad analizzare praticamente le forme di sabotaggio della fabbrica biocapitalistica notiamo come queste si impantanino in un’impasse crescente: le soggettività differenziali, la potenzialità del general intellect e la qualità del suo sfruttamento ci vedono cortocircuitare su una sconnessione dei nostri strumenti politici rispetto la costituzione materiale; proiettati nella multipolarità stratificata e differenziale di una ricchezza sociale, da noi prodotta e dal capitale estorta, viviamo nella psicosi dell’inefficacia ripensando alle pratiche conflittuali di un mondo perduto. Il tragico indietreggiamento della coincidentia tra dispositivi di sfruttamento e loro lettura antagonista tendenziale, insieme con un corpus capitalistico che sempre maggiormente punta all’assorbimento totale delle particelle metastatiche, hanno indotto l’anticapitalismo alla marginalità ed alla cortocircuitazione nevrotica. Questo cortocircuito si sostanzializza nelle generose lotte sociali che sembrerebbero ancora lontane da un significativo avanzamento dei processi destituenti-costituenti; dentro questo meccanismo l’inefficacia dell’opposizione sociale funziona da volano paranoide che smaniosamente spinge verso un ripiego costituito dalla tradizione politica in quanto dispositivo già strutturato e (una volta) vincente. In sostanza più le nostre lotte faticano a massificarsi più tendiamo alla ripetizione a vuoto dei nostri movimenti. Fissati impotentemente nell’oppiacea ambizione di vittoria, attraversiamo (senza dimorarlo) un mondo fluido e scivoloso cercando disperatamente di aggrapparci ad appigli illusori e faticando nella produzione di forme conflittuali adeguate; il problema non si pone tanto in termini di forza (quantitatività) quanto in quelli di dimensione (qualitatività): la buca paludosa in cui ci troviamo si trasforma in un pozzo se,  invece che al piccolo ma fallace, ideologico ed impraticabile scalino, puntiamo all’abisso che geometricamente si dilata disarticolando il loro mondo infame. A capo chino scaviamo la fossa nel Piano consci che «l’unica strategia è catastrofica e nient’affatto dialettica»[67]. Ritrovare la corrispondenza con il nostro corpo, l’ascolto di movimenti e scale diacroniche, invischiarci nella sfasatura che diventa con noi orizzonte di vita totale vuol dire smembrare alla base l’armonico accordarsi degli strumenti rivoluzionari ed insieme ripensare la cassetta degli attrezzi.

In questa assoluta modificazione (detrito dello scontro sociale) del terreno di riferimento e delle forme di vita, torna necessaria ed impellente «una rottura materiale e concettuale-una frattura ontologica-rispetto alle tradizioni ideologiche del movimento operaio, delle sue organizzazioni e dei suoi modelli di gestione della produzione»[68] e la capacità di riportare nel qui ed ora l’ambizione rivoluzionaria, il che vuol dire innanzitutto cancellare lo sguardo languido, in quanto glorioso, del passato, con le vie dell’espansione della scienza precaria: confliggere con il mondo nemico, con noi stessi e con le superfetazioni temporali.

Dentro e contro l’imbroglio ideologico del nemico occorre una riappropriazione della forma-politica fuori dalla sua omnicoprensione della totalità sociale (produzione-dominio-antagonismo); abbiamo visto come all’indietreggiamento del movimento e della scienza operaia sia corrisposta una sua progressiva colonizzazione nemica; questo sia nel suo uso riformistico, sia tramite la governance biocapitalistica di un antagonismo e della quasi eterodirezione dei suoi movimenti. L’operazione nemica è quella dello scorporo politico: il padrone sclerotizza il passato del Noi come compattazione sociale e ambizione politica inserendolo nel presente come mancanza parametrata; nella mancata continuità dell’attacco alla pacificazione sociale si è inserito un dispositivo padronale di commutazione il cui risultato è l’annichilimento del movimento operaio attraverso la potenza e la forza di quello di ieri. La complessità di questa dinamica dell’assoggettamento è quella di un padrone che riesce a mettere in corrispondenza gli iper-proletari con le lotte dei padri in un paesaggio sociale però mutato: da un lato non ci permette la delineazione del quadro sociale (il che porta inevitabilmente allo scollamento degli strumenti rivoluzionari), dall’altro, data l’accelerazione del suo dominio, ci inibisce persino la constatazione di questa stessa inefficacia.

Questo dispositivo ideologico che stritola le nostre forme organizzative, e sostanzializzato nella pacificazione sociale, è la riproduzione di un double bind che contro di noi induce una mancanza ed una parametrazione dopata e che porta la differenza ad emergere meramente come cuneo di scorporo anestetico. Il montaggio autonomo, differito e temporalmente indipendente della grammatica politica iper-proletaria differenziale si inceppa nell’armonia interclasse del conflitto come batterio rigenerativo del dominio. Viviamo la sconfitta abbeverandoci dell’immaginario nemico che trasmette una narrazione che fa coincidere differenza e sconfitta e che fissa il deficit organizzativo come gradiente dell’impraticabilità rivoluzionaria; subendo il nemico fin dentro l’alfabeto politico, scopriamo il fallimento attraverso la nostra consequenzialità al suo posizionarsi ed al suo disegnare modalità, passaggi e dinamiche. La rendita padronale vive e governa attraverso continue immissioni tossiche di feticci, totem e miti (come detto, la differenza e la compattezza rispettivamente come arma nemica e sogno irraggiungibile non sono nient’altro che prole tossica del biocapitale); dunque il tranello ideologico da un lato identifica la moltiplicazione differenziale ontologica come costitutivamente figlia e organo interno del biocapitalismo, dall’altro induce proprio le particelle partecipi di questa situazione all’antagonismo come binario morto e sconnesso, come mero esercizio di memoria. Risultanza significativa di questa processualità è un anticapitalismo perverso che disconosce la differenzialità del general intellect come propria emanazione e che frattanto cerca perversamente di annientarla, nella sua strategia e nelle sue pratiche, come supposta ideologia nemica; ne è esempio pratico la tattica riformista che risponde alla precarizzazione desindacalizzante con il ritorno ad un contratto a tempo indeterminato come ricivilizzazione del rapporto di lavoro e ritorno in forze delle condizioni di possibilità della lotta sindacalizzata (o autorganizzata) piuttosto che dislocare e spalmare la conflittualità sul tema dei bi-sogni e della continuità reddituale autorganizzata[69], oppure quella dell’uno o morte come aut-aut lanciato verso la diversificazione assoggettante: due aspetti di un ridicolo riformismo alieno alla realtà e, nella sua imperturbabilità[70], opposto alla corrente dell’Essere. Questo specifico passaggio sulla mancata corrispondenza tra ontologia e sovversione, tra differenza e rivoluzione si rivela estremamente utile nello stroncare sul nascere le possibili, e fallimentari, giustificazioni di rassemblement del quadro politico odierno che vede i nostri movimenti troppe volte sfasati rispetto l’ontologia sociale. Le lotte, lo sfruttamento ed il quotidiano mostrano il fallimento della tendenza omogenea, dell’unità come principio-speranza; in questo scenario, dove siamo spinti alla confrontazione parametrata anche radicale (purchè rimanga simmetrica e parametrata), il conflitto, se si presenta, è portato a manifestarsi spesse volte come armonia simmetrica; è la forza trainante del passato ad inscriverci in un rapporto ideologico.

Parliamo di oppiacea ambizione di vittoria in questo senso: una volta significata la differenzialità come sconfitta proletaria, il lavorìo ideologico ricama attorno a noi una tela che, grazie ed in virtù della sconfitta, pone un accelerazione temporale capace di velocizzare esponenzialmente i balbettìi di un movimento continuamente ripetuto; la condizione di scelta è accelerata a tal punto da tenerci in un permanente movimento ansiogeno e parimenti nella medesima condizione.

L’imposizione di questo aut-aut relega la “scelta” a due opzioni prefissate, inattivazione o passato necrotizzato, costruendo quest’ultimo attraverso la reimmissione in forma tossica di una concrezione (oggi) nemica chiamata operaismo; quando, dentro questa temporalità drogata, subiamo il ricatto della tradizione «la mancanza di memoria diventa per il proletariato metropolitano una potenza rivoluzionaria»[71], un vento nuovo che spazza via dalla scienza precaria la muffa del passato e le gabbie dell’agire e la riporta dentro il flusso della moltitudine differenziale, dei suoi bi-sogni e desideri. Detto questo, una soluzione che consista nel ripudio meccanico del passato, della tradizione, equivarrebbe ad una diversa edulcorazione di un campo comunque in mano al capitale ed alle sue mediazioni politiche, ecco perchè occorre la costruzione di strumenti dentro ad una battaglia per la scienza precaria: autodeterminare la propria dimensione politica è la scommessa che sta di fronte alle lotte sociali. Questa precisazione non è una fuga indeterminata rispetto al nodo della grammatica politica, non sfumiamo nel filosofico e ribadiamo la necessità del tradimento nella prospettiva di insistere il presente per viverlo piuttosto che ribaltarlo con uno schiocco di dita pensando al passato.

La problematizzazione del tradimento operaista (il pensare a come tradire l’operaismo) ci costringe ad una breve divagazione sul concetto stesso di tradimento: l’uso consueto del verbo tradire rischia di espellere da esso il fulcro teorico-politico ed annetterlo acriticamente all’astratta e bieca coerenza, scoprendo però i suoi lati sociali vediamo illuminare il principio di coerenza e di non-contraddizione come riflessi conservativi del processo dialettico lotte-sviluppo, ossia delle gradazioni che permettono al capitale, dentro la sua governance dell’antagonismo e la scommessa mortale come salto produttivo, di non farsi trascinare dalle contraddizioni sul terreno rivoluzionario. Ciò ribalta il tradimento in «an ethico-theoretical act of the highest fidelity»[72] che rompe il legame mortale con la fedeltà lineare riportandoci ad un tradimento nobile nietszcheano; questo estremo atto di fedeltà verso l’operaismo[73] ci porta al suo tradimento come accettazione totale, in un’eutanasia che pur di porre la continuità del conflitto accetta l’abisso discontinuo: quindi un incesto perverso tra operaismo-suo recupero capitalistico-rottura politica e nuova dimensione rivoluzionaria. Questo incesto ricopre le tracce storiche dell’operaismo come rottura politico-teorica dentro la tradizione marxista e ci fa riprendere in mano la sua mostruosità come evasione dialettica e mappa dell’insubordinazione proletaria verso la linearità temporale[74]. Dopo esserci introdotti nelle pieghe del portato politico della pratica del tradimento come espansione cosa ne ricaviamo? Sicuramente il fatto che la nostra prospettiva si proietta sempre più come inserimento dentro l’involucro operaista, adattandolo, violentandolo e surclassandolo nel conflitto permanente dello spazio politico proletario verso la plasmazione della strumentazione rivoluzionaria. «Se il pensiero di una parte, di una classe, mette in moto il meccanismo della sua crescita creativa, questo solo fatto toglie spazio allo sviluppo di qualsiasi altro punto di vista scientifico sulla società, lo inchioda a ripetere se stesso, lascia a questo la sola prospettiva di contemplare i dogmi della propria tradizione»[75]; ebbene oggi è il capitale ad averci inchiodato ad una ripetizione anestetizzata della nostra tradizione che solo una scienza precaria, come detonatore-traditore dell’operaismo, può portare all’implosione, scheggiandone tratti per viverli criticamente nella discontinuità dellle forme di vita sfruttate.

L’appropriazione nemica del dispositivo operaista e la conseguente incapacità di esprimere un conflitto sociale offensivo sono intrecciati a doppio filo con la classe, la sua s-composizione e la sua ontologia. Come si danno forme insorgenti di quella classe, la nostra classe, che abbiamo (per comodità) definito iper-proletariato? Innanzitutto specifichiamo che l’uso di iper-proletariato non ricopre nessuna velleità di smarcamento e distinzione dalle letture che si sono fatte della classe sfruttata in epoca post-fordista (cognitarato, moltitudine, precariato, intellettualità di massa ecc…) le quali, più che accostarsi, si intrecciano simultaneamente dentro la forma di vita sfruttata dal biocapitale; quello iper-proletario è un passaggio elastico che segna una linearità dentro una rottura esplicatasi nel modellarsi e fondersi di due lembi: quello costituito dalla cesura che la lotta di classe ha segnato nella produzione e riproduzione sociale, quindi l’egemonia dell’immaterialità e del lavoro cognitivo nel processo produttivo, e dall’altro lato il persistere di differenti organizzazioni produttive e dei diversi modelli di valorizzazione dentro un’inscindibile stratificazione[76] insieme con una condizione che dentro la rivoluzione dell’essere sociale rimane ferma come monito, quella dello sfruttamento. Sfruttamento oggi  tradotto in rendita ed espropriazione di una dimensione comune e cooperativa della produzione. Definita sommariamente un’immagine effimera dell’ontologia di classe ed appropriatici del concetto di iper-proletariato (elaborato da un grande pensatore come Romano Alquati) per tentarne un’implementazione politica, rimane comunque inevasa la pars costruens di questo quadro circa l’inefficacia dei nostri strumenti di lettura, e pratica, politica. L’intervento sulla condizione iper-proletaria e la conduzione del ventaglio delle contraddizioni di classe dentro la scienza precaria è un intervento che dovremmo condurre puntando verso una ricomposizione di questa classe?

La parola d’ordine della ricomposizione di classe emerge ad ogni sussulto conflittuale per poi scemare nell’appianamento delle differenze (senza riuscirci di fronte alla ritrazione delle soggettività) e nell’incanalazione dei flussi conflittuali verso un Uno nemico, tutto questo all’interno di un’ontologia sociale in cui la differenzialità sostanzia le condizioni di possibilità della classe. Il nodo degli attrezzi politici si intreccia con il tema della composizione di classe, del suo scorporo e della sua ricomposizione nella rottura della cerniera che la lega all’organizzazione; le soggettività differenziali praticano un’elusione sistematica dei tentativi di ricomposizione univoca ed omogeneizzazione coatta. «Il concetto di classe sociale non ha una consistenza ontologica, ma deve essere visto come un concetto vettoriale; la classe sociale è proiezione di immaginazioni e progetti, effetto di un’intenzione politica e di una sedimentazione di culture»[77], in questo oggi salta la ricomposizione come coagulazione degli strati di classe su un segmento egemone e baricentrale. La modificazione qualitativa del rapporto capitale/lavoro (vita) riqualifica la classe spalmandola in interstizi meticci in cui latita lo spazio per una rigida piattaforma politica; la classe diventa affermazione diversificata ed ipotesi differenziale e perciò nel biocapitale «la rivolta, la ribellione è luce, perché è spazio (si tratta di estendersi nello spazio, di aprire il maggiore spazio possibile)»[78], insomma la riaggregazione sociale deve prendere atto di muoversi in una «molteplicità di singolarità, che non può trovare in nessun senso unità rappresentativa»[79]. Torcere e forzare la classe verso una futura, quanto impraticabile, ipotesi ricompositiva omogenea, in una politica di annessione delle lotte piuttosto che di connessione delle differenzialità, significa affondare la ricomposizione nella temporalità dilazionata del dominio e protrarre ab aeterno le emergenze dell’antagonismo di classe subordinandole ad un Piano di proiezione collettiva. Oggi l’autonomia di classe acquista una radicalità ontologica e materiale tale che ripartire dalla sua irriducibilità al capitale significa anche porsi nel difficile compito di liberarne la potenza, rifiutando una teorizzazione dello spontaneismo oggi battuto e superato dal general intellect e dal suo grado di intersoggettività, comunicazione e linguaggio[80]. E’ complessa la relazione tra l’espulsione differenziale della vettorialità di classe e gli strumenti di ricomposizione della stessa su alcuni nodi precisi; esplosione piuttosto che ricomposizione, movimento centrifugo delle contraddizioni invece che riconduzione centripeta. Questo segna lo scarto rispetto un biosfruttamento che lascia aperto il canale delle contraddizioni ma disarticola le loro funzioni antagoniste accumulandole su un punto e rispetto un parametro. Bisogni, soggettività e linguaggi verificano questa nostra evidenziazione e ci mettono di fronte la realtà di una classe che è essa stessa differenza e di conseguenza una scienza precaria «come creatività capace di inventare e vivere diversità (differenzialità[81]. La fauna operaia rifugge la sua categorizzazione unilaterale[82] e nei suoi movimenti si mostra come «fatta di parti che hanno una relativa autonomia segnata da una discontinuità relativa, ma anche una relativa dipendenza nell’interconnessione, segnata da una particolare continuità, rispetto a un tutto in termini appunto di sinergia: basata sulla differenza»[83]; sebbene proveremo a delineare solo successivamente (dopo aver decostruito la conflittualità simmetrica) forme di ricomposizione differenziale e scompositiva, possiamo comunque seguire la tendenza che si delinea ed immaginare, insieme con la presa d’atto della totale differenzialità delle soggettività e la fine di ogni baricentralità, un uso vettoriale del conflitto. Quello che cerchiamo di abbozzare è una ricomposizione di scopo, fluida, che si fissa su terreni ampi di scontro e che usa lo stesso scontro come forma di rimbalzo delle espressioni differenziali e loro massificazione, senza per questo incanalarsi in strozzature o egemonie; la nemicità come valvola in cui liberarsi e fissare, attraverso la loro eterogeneità ed irrappresentabilità, forme costituenti di garanzia espressiva. Il conflitto diventa una comunità nomade, una comune delle soggettività; estenderlo vuol dire allora ricomporre le composizioni di classe su quei bisogni e su quei nodi che inevitabilmente partorisce ed espelle il mondo nemico, provando ad insistere (dentro una forma imprescindibilmente collettiva quale è del resto quella del conflitto sociale) una loro espansione incontrollata. In questo senso in Francia c’è il tentativo e la sfida del rilancio rivoluzionario di una vertenza (l’opposizione alla Loi Travail) attraverso un’articolazione ed una convergenza delle lotte animate da un proliferare di soggettività diversissime che nel conflitto trovano espressione ed eccedenza.

Dunque ricomporre la classe arriva a significare il nostro rendere la differenzialità, nella sua materialità, un passaggio che apre immediatamente ed immanentemente la dimensione organizzativa nello strabordamento della soggettivazione verso una nuova dimensione di interrelazione avulsa ed estranea alla doppia arma borg (diversità-assoggettamento/soggettivazione omogenea). Continueremo dunque nella via della discontinuità degli strumenti rivoluzionari rispetto alla sclerotizzazione operaista e nella sfida lanciata da Alquati di una differenza che possa farsi pratica collettiva, in una «ricomposizione politica dinamica delle differenze non necessariamente cancellate in una prospettiva di lotta allo Sfruttamento di tutti»[84] perchè «a revolution never occurs when all antagonisms collapse into the Big One, but only when they synergetically combine their power»[85]. Le sfide che si pongono nell’immediato ai nostri corpi straziati ed alle nostre soggettività castrate ci portano «a magnificare le nuove lotte, non a parodiare le antiche; a esaltare nella fantasia i compiti che si ponevano, non a sfuggire alla loro realizzazione; a ritrovare lo spirito della rivoluzione, non a rimetterne in circolazione il fantasma»[86].

L’asimmetria del conflitto

La divaricazione operaista pone al centro la necessità dell’analisi di un antagonismo come apertura eterotopica, purtroppo la ricchezza immaginativa sconta il costante sganciamento rispetto a delle pratiche chiuse nella gabbia dell’impossibilità; se i tentativi del movimento operaio di disarticolare il comando capitalistico hanno condannato le forme di accumulazione all’angolo dello svalicamento in territori nuovi, è l’eterno battagliare dialettico tra uscita e riconduzione che pone come questione la scommessa (vinta) dei padroni sulla loro morte. Il dispiegamento del conflitto non può che ricadere nelle dinamiche della sua costruzione sul terreno dei rapporti di sfruttamento; le fuoriuscite di eccedenza, non governate ma ipotizzate dalla controparte, si colorano immediatamente dell’opposizione totale, e speculare, al dispositivo di dominio[87]. Contro il traguardo massimo dello sfruttamento, arrivato ad inglobare la vita, è la massima radicalità conflittuale la sola strada da seguire?

L’aspetto da inserire dentro il passatismo politico che viviamo è la prospettiva teorica del conflitto come autonomia, la radicalizzazione dell’autonomia nell’autodeterminazione da parte della classe di ogni suo movimento. L’ideal-tipo organizzativo e la politica dinamica che continuiamo a perseguire violentano la composizione politica di classe iper-proletaria, portandoci al persistere di una fase in cui fatichiamo a sperimentare forme di attraversamento efficaci; in questo caso non si tratta nemmeno della sincronizzazione con un mondo perduto ma una vera e propria necrotizzazione controrivoluzionaria di un’intera complessità sociale indotta alla pacificazione. Qui la necrotizzazione è l’esercizio di una strozzatura ribaltata nel nemico (cioè Noi): un’opposizione anticapitalista come modello di soggettivazione politica che introietta il dominio in una parametrazione conformata; così il paesaggio politico è interamente nelle mani della controparte che, investendo il potere sull’altro o concentrandolo su di essa, determina il gioco politico riducendolo alla totalizzazione unica ed esclusiva. Il dispositivo biopolitico, calando il proprio peso, rovescia, in termini di eterodirezione, il potere in veto e trasmissione; si inibisce a noi, soggettività differenziali sfruttate, la scienza politica e la tecnica rivoluzionaria. La razza padrona, ponendosi come padrone demiurgico, genera una garanzia politica sulle contraddizioni che governa dentro lo sviluppo della loro valorizzazione; la repressione è ridotta e potenziata nella prevenzione mentre il conflitto sociale viene diluito nella contrattazione riformista che nasce dalla dialettica falsata in questione: una qualità del dominio senza precedenti.

L’operazione che porta dalla governance del conflitto alla sua creazione tossica finisce per im-porre l’opposizione di classe (proletaria); alternativa ed opposizione ricadono ai lati di uno scoglio imposto dal dominio, all’interno di un Piano di localizzazione omologata e specularmente rovesciata, potenzialmente anche radicale ed estremamente polarizzata. Il conflitto offensivo della potenza proletaria, inteso nella sua unilaterale trascendentalità[88] autonoma, si traduce quotidianamente nel difficile lavoro di strabordamento e straripamento destituente della diversità verso l’affermazione autodeterminata dell’autovalorizzazione differenziale: una trasmutazione totale che diserta il Piano di comunanza oppositrice toccando le corde della trasformazione obliqua. Torsione pluridimensionale obliqua (differenzialità) su riproduzione malata e triangolata del simile (diversità).

Il pendio scivoloso dell’ipercapitale che pone contraddizioni inoffensive come reazioni alla precedenza operaia[89], si sostanzializza nella compartimentazione delle rivendicazioni proletarie trasformate in forza-invenzione da cui estrarre plus-valore; il problema dell’accumulazione di forza ed il rigetto del confronto vis-à-vis si traslano nella trascendentalità totale ed irricomponibile di un Altro sganciato da ogni parametrazione e somiglianza: una politica dell’insignificabilità delle pratiche, dei soggetti e l’estremizzazione insostenibile della differenziazione molteplice fino alla rottura della forbice di comprensione[90]. Il Piano del capitale, nella sua eternità necessaria, è una dissociazione ideologica la cui condizione di possibilità è l’assunzione di una genealogia indomandabile: la narrazione ed i dispositivi di legittimazione non contemplano il Piano scongiurando così la presupposizione di un oltre e riducendolo ad abitualità inerziale deproblematizzata. Il dispositivo della non-contraddizione ha come propaggine dialettica la parametrazione analogica, questa parametrazione, ponendosi come traduttrice unica dell’universale, risignifica la contraddizione interna al Piano in senso immediatamente ed imprescindibilmente riformista relegandola ad una sub-cavità oppositiva dove l’autonomia amministrata e commissariata dal garante padronale si riproduce solamente in scivolamenti piatti e calibrati sul Piano unico e metafisico del dominio; il Piano è qui ideologia pura, fagocitazione totale e destino: la teologia economica spaccia il reale come terreno statico indisponibile al movimento. Lo schiacciamento sull’uniformità parametrata è per il bioimpero l’insopportabile seduzione del vuoto e la spinta a riempirlo e significarlo continuamente tramite il travasamento della sua doppia faccia (sub-cavità oppositiva); la spazializzazione è bipolarizzazione governata: anche quando non funziona da strumento riformistico, la valvola di assimilazione-annientamento funziona spietatamente nel territorio di potenziale fuoriuscita dal rapporto di capitale che si sostanzia «sempre a condizione di disporre di una forte unità principale, quella del fittone che regge le radici secondarie»[91]. L’accettazione del cordone ombelicale biodominante è, per l’autonomia sociale, il segno allarmante che qui «non è tanto l’antagonismo che regola la crescita del potere rivoluzionario bensì quest’ultima è comandata da una sorta di ricalco e di riflesso negativo del potere avverso. Il potere rivoluzionario in questo caso finisce per essere complementare, negativamente complementare, rispetto al potere sovrano, e la libertà del suo sviluppo è solo apparente»[92], il punto torna ad essere l’irruzione della nemicità aliena, dell’impensabile: una  geopolitica[93] degli sfruttati. Abbiamo potuto constatare come rompere l’uso riformistico della differenziazione (svecchiamento e profittabilità permanente) non equivalga allo sbocco eterotopico, ossia come il segno nemico funzioni anche nelle forze a lui potenzialmente mortali grazie alla totalizzazione del Piano che rovescia nell’altro la parametrazione da lui imposta. Ciò che ne consegue è la ghettizzazione dell’insorgenza nel negativo-contrastivo ed il drenaggio della sua opposizione nell’alternativa correlata all’oggetto dominante (opposizione parametrata)[94]; l’analogia e la parametrazione sono i segni di condivisione (discontinua) delle polarità. Il doppio piano, il feticcio bastardo emanato dal comando, ricade nell’uso interno, relativo e rigenerativo del freund-feind[95] schmittiano: l’uso rallentato di Schmitt è il bi-piano come sub-area che contiene un confronto sempre giocato sulle qualità dell’Uno, sulla sua imprescindibilità paradigmatica, mentre la sua estremizzazione accelerata coltiva la cifra rivoluzionaria delle contraddizioni. Nell’annichilimento dell’analogia territoriale, l’uso incrementale della politica schmittiana e della nemicità affermativa diventano essenziali per la soggettività precaria; una pratica che sostanzializzi ed attualizzi i bordi del Piano e l’invisibilità ideologica dei suoi confini esterni (coincidenti, nella loro ineffabilità, con l’essenza stessa del Piano, con la frontiera tra ciò che è Piano e ciò che non lo é, ossia niente) ed interni (sub-cavità oppositiva-una traccia mobile, interna al Piano, capace di creare nicchie e tramite i loro confini-vettoriali tradurre in valorizzazione “interna” la potenza rivoluzionaria “esterna”[96]), i quali non mutano qualitativamente la localizzazione del tracciato ma fanno implodere, con il loro peso, il terreno stesso, il Piano. Spingere a tal punto l’irriducibilità e la distanza da rompere il rapporto ed aprire nuovi mondi, Schmitt che forclusamente sfocia nel dislocamento e nell’eccedenza dell’Essere, ecco che «la moltitudine si presenta come insieme di singolarità produttive e proliferanti, allora il luogo dello scontro si pone esso stesso come problema. Meglio, non c’e più luogo dello scontro. Lo scontro è ovunque»[97]. Con l’attraversamento delle Colonne d’Ercole del recupero analogico intravediamo la deflagrazione della molteplicità ed i bordi stagliarsi per poi frantumarsi in infiniti flussi; ecco la traccia della moltitudo differenziale, la liberazione non ha più termini di corrispondenza e significazione se non con l’armonia ritrovata tra potenza ed affermazione, tra contraddizione e dimora, tra differenzialità e comunismo. Il superamento distruttivo del Piano è la contraddizione coltivata, mantenuta ed irrisolta; la significazione univoca è retaggio del passato ideologico e le forme di vita attraversano l’incommensurabilità della rivoluzione. «La differenza in sè sembra escludere ogni rapporto del differente col differente che la renderebbe pensabile»[98]; questa alterità totale sembra lasciar intendere l’insignificabilità (torna la disidentificazione) come massima espressione affermativa.

Se l’impasse sta nell’induzione-creazione dei nostri movimenti in una sfera dissociata totalmente oppositiva, e dunque conseguente alla precedenza delle categorizzazioni nemiche, allora occorre ribadire come il problema sia quello di ripensare l’uso dello spazio in senso autonomo, il comunismo come ridefinizione autonoma del mondo e geopolitica precaria. Non puntiamo ad essere alternativi o contrastivi ma irriducibilmente differenti.

L’oltrepassamento del tranello ideologico della riconduzione ed il suo magnetismo che induce il negativo come mera reazione si sviluppa attraverso la propagazione incrementale eccedente ed insieme sottraente; la sottrazione all’incapsulamento avversario prende forma nell’autoposizione[99] autonoma differenziale: attraverso l’autodeterminazione trascendentale la molteplicità precaria tocca le corde della vitalità positiva piuttosto che la solitudine della pars destruens, astrazione determinata più che negazione determinata. La delineazione di un campo di intervento sulla politica dinamica ci porta all’obbiettivo minimo dello sconquassamento del terreno nemico e della sua paradigmaticità egemonica; la trasvalutazione totale del terreno di scontro si palesa come via di fuga percorribile attraverso l’attestazione politica che «l‘ontologia è potenza plurale, la dislocazione la sua forza»[100] poichè «il dislocamento sorpassa il rapporto, (rompendo) con la mediazione»[101].

Il know-how politico come disarticolazione lancia l’analisi di classe nell’uscita dalla fotografia del Piano unico di riconduzione spingendo il negativo oppositivo[102] (ancora congeniale al Piano) verso l’annichilimento dinamico delle sue stesse condizioni di possibilità; l’esondazione rivoluzionaria non pone il pensiero analogico in una teoria dei due tempi ma materialisticamente lavora dentro la sua egemonia per debordarlo nella prosopagnosia dell’indicibile mostruoso. Riconosciuti la similitudine ed il parametro come catene di oppressione, costruiamo l’asimmetria dell’assalto al cielo verso la prospettiva del comunismo come fissazione del Noi differenziale dentro la torsione obliqua del rapporto analogico.

Contropotere, reddito ed autovalorizzazione – Gli stargate differenziali dell’iper-proletariato

Il postmoderno traslitterarsi della dialettica lotte-sviluppo e della sua sintesi di parte in uno spazio di conflitto tra il mero comando arrocato sulla potenza precaria e quest’ultima che spinge direttamente per la separazione dal circuito di assoggettamento e per la frammentazione del terreno di scontro, ci ha portati ad intendere la soggettivazione antagonista come conflitto asimmetrico; ora è arrivato il momento di provarne la praticabilità.

Scongiuriamo immediatamente chi, arrivato a questo punto, consideri il nostro percorso come una teoria dell’individualismo ed un rigetto della forma-collettivo e  facciamo questo grazie, oltre che al nostro continuo ed imprescindibile riferimento alla costituzione materiale, alla distinzione tra forma merce (individuo-diversità) ed al suo sbocco rivoluzionario (soggetto-differenzialità), anche grazie allo sviluppo di un conflitto asimmetrico sul riflesso negativo-oppositivo verso l’apertura al comunismo come «discorso sul libero sviluppo delle differenze»[103]. Nel momento in cui il conflitto si torce nell’obliquità della rideterminazione spazio-temporale acceleriamo la decomposizione della messa a valore fissando nella destituzione un corpus collettivo costituente: l’aut-aut tra l’individualismo del capitale e l’omogeneità collettiva come sua opposizione è smembrato dal general intellect soggettivatosi nella divaricazione delle differenze operata dal conflitto rivoluzionario; il potere costituente della differenzialità si annida nelle lotte sociali che contendono porzioni di mondo e soggettivazione alla controparte e che, fuori dal loro vettorialismo marginale, aprono la questione del potere come riassetto tellurico e dello strabordamento dialettico in nemicità trascendentale. Il conflitto che si torce nella scomposizione del terreno raggiunge uno squilibrio tale da riproporsi come permanenza infinita della contraddizione, i cento fiori sbocciano e si moltiplicano come orizzonte di scomposizione ricompositiva che pone al centro la differenzialità convergente del bisogno.

Se disarticolare l’analogia rimane teoricamente impossibile, dal momento che, come abbiamo mostrato, il solo nominarla rappresenta il primo passo del recupero di una differenzialità irriducibile, la sfida è sfuggire ai tranelli ideologici[104] ponendo questa differenzialità come arma politica. Sconfitto il paradigma individualistico, e con esso l’omogeneità analogica nemica, che forma assume la potenza collettiva delle soggettività differenziali? La differenzialità come superamento della fallace dicotomia individuo-collettivo ci proietta nella sua forma organizzativa; lo scardinamento del parametro e della sua weltanschauung non premette nè alla verwirrung bakuniana nè tantomeno al liberismo individualista, ma fissa nell’organizzazione un salto nel quale «le singolarità mantengono certo la loro forza propria, ma la mantengono all’interno di una dinamica relazionale, che permette di costruire, nello stesso tempo, se stessi e il tutto»[105]. Questa dinamica è il Noi come terreno di frammentazione differenziale comunista. La con-divisione, come massificazione che apre, insiste e mantiene le differenze, è il passaggio di apertura dentro la dialettica negativa: nel momento in cui la contraddizione naviga nel negativo del recupero, l’estremizzazione dei suoi lembi torce il Piano saltando verso l’inconosciuto e riarticolandolo in territorio comunista; questa costruzione autodeterminata precaria si apre alla vita con-divisa ed al tentativo di porsi come sua garanzia, come garanzia di liberazione. La potenza obliqua dell’Essere assume, nel suo strabordamento collettivo, l’immanenza come relazionalità costitutiva e la trascendentalità come movimento che rompe e frantuma i piani: «non è più l’affermazione di una sostanza univoca, è il dispiegamento di un piano comune di immanenza in cui stanno tutti i corpi, tutte le anime, tutti gli individui»[106]; questo piano di immanenza, o meglio di immanenza pluridimensionale, scompone il pensiero analogico configurando un’intersoggettività relazionale che abita le antinomie della soggettività differenziale ed attraversa, nella sua illimitata espansione, la genealogia dell’autonomia soggettiva. Riconoscere il volto dissezionato del Noi all’interno della relazionalità espansiva delle soggettività iper-proletarie, individuare «la differenza nella sinergia»[107] delle soggettività e come queste «stanno nel tutto e lì operano sia come parti che poi come parti di un tutto operante»[108], non ci riporta ad un sostanziale Piano borg, bensì ci mostra la potenza iper-proletaria nella sua capacità di reimmettere nel conflitto di classe una capacità e qualità cooperativa probabilmente inedita nella storia del movimento operaio ed ostile a ogni omogeneità come conditio sine qua non: «la moltitudine non si sbarazza dell’Uno, cioè dell’universale, del comune/condiviso, ma lo ridetermina. L’uno della moltitudine non ha più nulla a che vedere con l’Uno costituito dallo Stato»[109].

Arrivati qui possiamo tornare al concetto stesso di soggettività differenziale arricchendolo della sua peculiarità materiale e della sua cifra organizzativa: il suo essere «insieme di singolarità […] laddove per insieme si considera comunanza di differenze e laddove le singolarità sono concepite come produzione di differenza»[110]. Quando le diagonali oblique delle soggettività, che straripano ed eccedono rispetto al rapporto di sfruttamento ed alla geografia ideologica del Piano, si intersecano rizomaticamente allora danno vita ad una connessione collettiva; il Noi come interrelazionalità delle orbite che disertano il Piano, raggiunge un modo di darsi collettivo: la comune delle differenzialità impazzite ed ingovernabili, il comunismo. Quello che identifichiamo come Noi è il passaggio conseguente al conflitto asimmetrico delle soggettività differenziali ed all’analisi fino a qui condotta e non, al contrario, una fissazione ed ipostatizzazione forzata; la destrutturazione di ogni schiacciamento della differenzialità sull’individualità e sull’affermazione particolaristica ci porta ad evidenziare ulteriormente come «bisogna invece comprendere la distinzione (differenza) a partire da un “affiorare comune”»[111]: la torsione trova nella differenzialità esponenziale un punto di intersezione, o meglio co-estensione[112], collettiva. Dentro al dispiegarsi del conflitto asimmetrico, le traiettorie ed i balzi delle soggettività arrivano a coprire uno stesso terreno ed a scoprirsi come forma relazionale, a vivere il comunismo come potere costituente che disarticola il Piano analogico; la relazione precaria si dà «in quanto siamo frammenti di una stessa esplosione»[113], un’esplosione che socializza i nostri movimenti dentro ad una forma differenziale che supera le antinomie dell’individuale e del collettivo e capace di darsi dei passaggi atti a garantirle una continuità di potenza. In questo senso le soggettività differenziali iper-proletarie si tingono di una sorta di Mit-sein autentico heideggeriano nella prospettiva che «l’Esserci, in quanto emerge, nella sua differenza, nella frattura dell’ex-originario, è “l’essere separato”[114], ma esso si costituisce sin dall’inizio nella relazione con l’altro e con il mondo, nella mediazione del simbolico. Non vi è realizzazione del soggetto se non all’interno di queste relazioni: la possibilità di una redenzione individuale del soggetto, nella chiusura che lo estrania dalla realtà sociale ed economica in cui esso vive, appare perfettamente illusoria»[115]. Questa corposa citazione conclude questo riallacciamento e sovrapposizione tra forme di vita ed organizzazione ed a sua volta tra organizzazione politica ed organizzazione sociale precaria (eterotopia), inoltre rilancia la scommessa collettiva ad un grado che avevamo già precedentemente individuato[116]: la relazionalità ed il comunismo che agiscono non tanto come innalzamento del soggetto quanto come sua vera e propria costituzione. Questa costituzione che si determina tramite la pratica politica ci fa ripiombare nel punto che indicavamo come mancante all’inizio di questo paragrafo: la praticabilità del conflitto asimmetrico ed i passaggi del potere costituente come apertura differenziale.

La differenza e l’alterità presuppongono il comunismo tracciando un reticolato rizomatico indisponibile alla messa a valore ed all’assoggettamento perché capace di agire sulla composizione di classe senza violentarne la ricchezza; maneggiando la pratica politica dell’ipotesi differenziale prende corpo la trascendentalità del Noi[117] costruito e determinato come contropotere, potere costituente che disarticola le condizioni di possibilità del biocapitale aprendo quelle delle soggettività moltitudinarie. Come si determina un percorso di liberazione che passa per l’autovalorizzazione differenziale iper-proletaria interna al percorso di un contropotere dispiegato? Dentro la nostra s-composizione di classe, il contropotere può configurarsi come potere costituente obliquo e pluridimensionale, indisponibile alla sclerotizzazione: il contropotere come traslazione sociale del dispiegamento dell’eccedenza-di-Essere nel conflitto asimettrico. Potremmo descrivere la nostra necessarietà come uno Stargate che, con la propria espansione, sostanzia la condizione di possibilità di vita liberata e simultaneamente ridetermina l’intero rapporto sociale deterritorializzandosi ed annichilendo il terreno di sostentamento del mondo capitalistico ponendo il flusso immanente e moltitudinario come potenza di divaricazione propulsiva. Il contropotere è la condizione di possibilità del comunismo come autonomia radicale dei soggetti ed allo stesso tempo la sua sostanzializzazione ed attualizzazione immanente; detto questo, la verificabilità del contropotere va confrontata e calata all’interno della fase che attraversiamo e dunque nei quasi dieci anni di crisi ed austerity che attanagliano i nostri bi-sogni e ricattano le nostre vite.

I profondi squilibri capitalistici e la rottura dell’equilibrio imperiale si innestano su una crisi che funziona come efficace strumento di attacco padronale; la controparte prova a porre il segno nemico sulla precarietà (ed in generale sulla potenza sociale iper-proletaria) ed a recuperare margini economici e politici nei confronti della moltitudine sfruttata: il Jobs Act e l’austerità dentro la pauperizzazione di un intero blocco sociale sono l’esemplificazione nazionale di questo piano di ristrutturazione biocapitalistica (sbocco economico e governo biopolitico). In questo riassetto magmatico, i dispositivi politici padronali non possono che irrigidirsi consci della potenza rivoluzionaria insita in un attacco agli sfruttati così esteso e così brutale, e con questa anche del pericoloso scivolamento delle contraddizioni che inevitabilmente vanno moltiplicandosi; in virtù di ciò il capitale non punta alla sola risposta poliziesca, cercando in ogni modo un recupero riformistico (locale o transnazionale[118]) le cui contraddizioni sono però tali (anche grazie alla nostra capacità) da spingerlo sempre più verso l’inevitabilità della “pura” repressione e della coazione alla povertà[119]; i padroni indugiano sulla repressione perchè spinti su un terreno tendenzialmente irrecuperabile: quello della differenza ontologica. Disintegrando i corpi intermedi, la controparte certamente struttura un margine più sicuro di speculazione e dominio, ma insieme ad esso spinge le mediazioni riformistiche su livelli sconosciuti e forse verso l’irrecuperabilità delle porzioni di scontro sociale che si susseguono. Dentro le contrapposizioni intraimperiali conseguenti alla rottura di un equilibrio globale[120] e gli sbandamenti finanziari (bolla cinese), quella della controparte è una risposta sempre più schizofrenica che, di fronte alla mancanza di uno spazio di recupero, accelera e sfoga localmente processi di irrobustimento autoritario (l’état d’urgence) ed opta per la guerra come investimento politico-economico (eserciti di riserva, controllo e rapina economica, uso del debito, ecc…).

La morte dello stato-nazione e della sua sovranità ha segnato una cesura nella forma di comando capitalistico e quest’ultimo ha cercato di indirizzare le bordate della lotta di classe, dirette a smembrare pezzo dopo pezzo la forma-nazione ed i suoi dispositivi di legittimazione, verso la creazione di un nuovo ed esteso flusso disciplinare. La sovranità, non più capace di reggere le accelerazioni temporali della differenzialità frammentaria e divaricatrice, la debordazione dei generi e l’eccedenza della produzione sociale, è andata deterritorializzandosi rispetto alla sua tellurica rigidità approdando ad una normazione ed un disciplinamento fluido e maggiormente capace di ricomprensione delle contraddizioni crescenti, verso quella che definiamo governance biocapitalistica. Questo ennesimo recupero nemico delle espressioni e dalle contraddizioni agìte dalla differenzialità moltitudinaria (recupero che ritorna nelle sue diverse esemplificazioni: diversità-differenzialità, individualità-soggettività, precarietà-nomadismo, ecc…) disloca il comando ristrutturando il margine di profittabilità (rendita) politico-economica; la progressiva disarticolazione rivoluzionaria della sovranità e la «fine del diritto come astrazione umana»[121], ossia di un diritto che «può consistere soltanto, per sua natura, nell’applicazione di una uguale misura»[122] per «individui disuguali»[123], invece che sfociare nell’emersione del comunismo come «libero sviluppo delle differenze»[124] e «graduale scomparsa del momento giuridico nel rapporto fra gli uomini»[125] si è infranta nel disciplinamento/assorbimento delle forme di vita moltitudinarie cooperative, nella governance. In un’ottica di concorrenza geoeconomica[126], l’elaborazione ed attuazione del T.T.I.P., acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership, va proprio nel senso della dislocazione di un rapporto di forza sempre più deteriorato, sia per lo scollamento con il terreno produttivo sia per gli sconquassamenti economici e le lotte degli sfruttati, e che va ad essere integrato nella flessibilità, ecletticità e resistenza (il principio è quello dell’assimilazione fluida piuttosto che quello della farraginosa centralità repressiva) di questa governance biocapitalistica. All’interno del T.T.I.P. è soprattutto l’I.S.D.S. (Investor-State Dispute Settlement) che, strutturandosi sul già esistente I.C.S.I.D. (International Centre for Settlement of Investment Disputes), prova ad affermare una nuova forma di governance tesa a scavalcare gli ormai svuotati e decomposti organi giuridici della sovranità, divenuti mera superfetazione, e disciplinando così le singolarità senza pericoli di squilibri e scompensazioni dell’intero rapporto sociale. La governance capitalistica, articolata nell’eterogeneità delle sue fonti tra intervento locale (densità) e codificazione globale (estensività), si spende come regolamentazione delle contraddizioni e degli squilibri che sempre più si producono, incancrenendosi come sfogo brutale e sclerotico-repressivo nei punti in cui le lotte riescono a massificarsi ed estendere le proprie composizioni oltre e contro l’involucro contingente; queste stesse lotte abitano le macerie degli spazi di governo che hanno contribuito a rendere tali (inadeguati), ma sembrano faticare nell’accelerazione del processo di erosione di potere e nella costruzione di una dimensione di ingovernabilità transnazionale. La mancanza di una contaminazione delle lotte, al di fuori di una sua manifestazione stra-ordinaria (solidarietà esterna o la logica eccezionale del vertice/grande evento), potrebbe costituire per i movimenti il rischio di ridursi a mere concrezioni, anche avanzate, ma comunque assorbibili dal biocapitale borg sul breve o lungo periodo; due movimenti come quello greco e quello francese possono rappresentare una tappa di verifica della consistenza, avanzamento e progetto di un conflitto di classe transnazionale: mentre quello greco, in un complesso rapporto tra settori rivoluzionari e riformisti (ben rappresentato dalle ambiguità e dalle prospettive dell’oxi), ha unito una conflittualità quotidiana ad alcune tappe (seppur lontane da una convergenze delle diverse anime dei movimenti) vertenziali come l’oxi, il caso francese rappresenta invece una conflittualità dapprima sotterranea che si è progressivamente spostata su una concentrazione del conflitto nell’ottica di una vertenza (Loi Travail) riuscendo ad operare in questa una convergenza di lotte, composizioni e soggettività differenti. Di diversa natura appaiono le lotte italiane che, a dispetto del ceto riformista e sindacale e del suo elogio delle lotte transalpine rispetto a quelle che in Italia loro stessi si impegnano a soffocare, mettono in campo un livello di conflittualità anche radicale che, agganciandosi ad alcuni campi (ad esempio casa e logistica), si esprime a livello territoriale in maniera diffusa e molecolare piuttosto che in concentrazioni geografico-temporali; nessuno di questi casi rappresenta un esempio da seguire ma tappe di conflittualità che, seguendo le differenti nervature delle soggettività protagoniste delle lotte, prendono differenti sentieri nella prospettiva di una transnazionalità dell’insorgenza differenziale. Questa sommaria visione delle lotte suggestiona un rovesciamento dell’immagine di una loro insufficienza, una suggestione che vede questa loro asimmetria non tanto come anticipazione del nemico nei confronti della nostra inefficace lettura e del ritardo delle istanze di classe, quanto invece come fuga scomposta della controparte padronale sul terreno battuto dalle lotte sociali territoriali nel momento in cui «il potere è sempre funzione costituzionale, ma è sempre costitutivo non di un rapporto generale bensì di un rapporto particolare, di un’articolazione specifica»[127] e dunque: «Potere è costituzione, costituzione è specificità»[128]; e così questa fase si trasformerebbe in un movimento di intercettazione, in un’iniziativa di classe (iper-proletaria) che fa della cooperazione sociale globale terreno di slittamento nei confronti di una controparte costretta a riarticolarsi conseguentemente. Se, come detto, quella appena delineata è soltanto una suggestione, possiamo comunque calare ed agire quest’ultima in un intervento politico sui nessi di comando che via via si presentano.

Questa analisi della governance e della trasduzione del comando ci permette finalmente di poter leggere lo Ius, a cui precedentemente avevamo fatto riferimento[129], nella sua pienezza teorico-politica ed etimologica; se «il presente s-piega il passato»[130] possiamo, tramite i rapporti di normazione derivanti dallo scontro di classe nell’era biopolitica, rideterminare il diritto e con esso la sua origine etimologica al fine di ripensare lo Ius-diritto non tanto come derivazione quanto come identificazione nello Ius-brodo[131]. Lo scorrimento del rapporto giuridico fuori dalla sua durezza e fissità (la governance post-imperiale) ci riporta all’attestazione di come ogni sistema (ed in special modo quello biocapitalistico) tenda a reagire ad una perturbazione impostagli dall’interno minimizzandone gli effetti[132], scorgendo dunque nello Ius-diritto un adattamento al general intellect ed alle nostre forme di vita al fine di impedirne l’autonomia e l’autovalorizzazione tramite un assoggettamento ed assorbimento delle componenti: uno Ius-brodo. Paradigma non tanto liquido quanto propriamente brodoso, denso, e socialmente vischioso; «proprio come la funzione del gusto è isolata nella salsa, il sociale è isolato come funzione in tutte le salse terapeutiche sulle quali galleggiamo»[133]. Le forme di estensività del disciplinamento non presuppongono soltanto la fredda e fluida riterritorializzazione dei dispositivi polizieschi, repressivi e normativi, ma con essi anche la calda densità economica e l’uso intensivo-propulsivo delle componenti sociali nell’atto della loro repressione e spremitura: in altre parole è la rendita che disciplina il controllo e che lo riarticola come momento innovativo. Lo Ius-brodo si erge, si imbastardisce e si ramifica nello Ius-diritto come forma omnicomprensiva ed universale; un rinconvertitore assoluto delle contraddizioni sociali ed orizzonte eterno delle differenze retrocesse a mere diversità parametrate; questa forma paradigmatica è il brodo della pacificazione sociale che prova sempre più ad assorbire ogni particella cancerogena costringendola ad un’espressione incapace di debordare la forma-brodo che, ponendosi metafisicamente nel suo disciplinamento diffuso, esclude ogni alterità trascendente (intesa in termini materialistici ed immanentistici). Se questo disciplinamento liquido prova a ricomprendere tutte le componenti sociali e la potenza differenziale dentro il comando e la rendita, allo stesso tempo apre una fase di scontro importante, ampia e radicale, un conflitto che spinge verso l’autovalorizzazione ed il contropotere dentro l’espressione di un potere costituente e per il comunismo. Il dispositivo dello Ius-brodo esiste proprio come anelito capitalistico all’equivalenza generale degli scompensi cooperativi degli sfruttati e delle soggettività differenziali, ma parimenti è un’equivalenza che nasce come impossibilità nel momento in cui l’iperproletariato di estende e fluttua nel rapporto di squilibrio come differenza assoluta, irriducibile e radicale; ciò esclude a priori ogni possibilità riformistica nel momento in cui il brodo da un lato valorizza i movimenti di affermazione-sottrazione ma al contempo mette in campo la metastasi e la composizione cancerogena che, costruendosi come contropotere, annienta dall’interno con il proprio espandersi ogni possibilità di recupero nemico. Si arriva al punto in cui il conflitto è direttamente espansione comunista e dove non vi è rapporto né di recupero né di avanzamento ma solo l’aut-aut tra autonomia o amministrazione biopolitica; un passaggio in cui il potere costituente si sostanzia come dimensione che, dentro il contropotere e l’autovalorizzazione, esprime il punto di congiunzione selvaggia, delirante e schizofrenica delle soggettività, dove ogni movimento di deragliamento è un movimento di con-differenzialità, dove il Noi disarticola ogni possibilità di trascendenza e fissa la differenzialità comunista. Torna incessante e martellante il Noi, come torsione obliqua e contatto di interrelazione asimmetrico-rizomatica; le categorie saltano riarticolandosi dentro l’immissione di una differenzialità che cresce nella socializzazione dell’insorgenza.

Questa digressione ci ha aiutato ad approfondire le contraddizioni crescenti interne al processo di bioaccumulazione borg e con esse ha aperto uno spiraglio di lettura conflittuale della tendenza capitalistica: la governance come nesso importante nella distruzione di una mediazione e nella radicalizzazione costituente dell’esodo. Se la dislocazione asimmetrica dello scontro ha rovesciato un paradigma apparentemente ineludibile come quello dello Ius-brodo e della governance biocapitalistica aprendo il terreno del potere costituente, così allo stesso modo dobbiamo operare nei confronti di un’altra condizione paradigmatica dello sfruttamento e dell’infelicità collettiva sviluppando una disarticolazione e riappropriazione comunista della precarietà.

Se il paradigma precario ha fino ad ora operato nel solo senso ricattatorio, ciò non indica il ritorno della monosemìa moderna; la creatività proletaria ha la capacità e la possibilità di riarticolare il proprio adattamento ostile verso lo scardinamento delle gabbie dello sfruttamento: oggi l’uso comunista della precarietà è estirpato dall’attacco alla garanzia differenziale attraverso il ciclo di recupero e ricatto (povertà-aumento esponenziale domanda reddito-reddito millesimato-precarietà coatta). La scarnificazione di livelli di garanzia di riproduzione sociale mette in evidenza, tra le ferite, nuovi organi di riproduzione sganciati dal corpo-madre; si tratta di lavorare per la loro circolazione piuttosto che per il loro fallace annientamento, di organizzare l’autonomia delle forme di vita piuttosto che l’opposizione controproducente ed eterodiretta. Dovremmo sviluppare e condurre la precarietà all’interno di un piano di autovalorizzazione collettiva piuttosto che incepparci nel non-riconoscimento delle sue forme e subirne i peggiori tratti tramite il terrorismo del capitale sulle nostre vite. Nonostante l’indifferenza generalizzata verso lo sradicamento delle garanzie riformistiche della gabbia del lavoro sia un tema che servirebbe adeguatamente affrontare, ci sembra suggestivo assumere provocatoriamente l’attacco padronale del Jobs Act[134] (e l’espansione del dispositivo del voucher come ricomprensione/legittimazione precaria delle diverse sacche di lavoro nero) come immagine di una gabbia che può essere scorporata (qui, dato il rapporto di forza, a partire dalle sue garanzie) e combinata con la precarietà in senso differenziale e comunista; spingere l’odio per la stanzialità mortifera e la rapina temporale e linguistica del lavoro insieme con la costruzione di un’autovalorizzazione differenziale come libera espressione di potenze collettive immanenti. Il Jobs Act come scommessa e rilancio. La controparte sembra inseguire (inutilmente) e plasmare la tendenzialità dei bi-sogni delle nostre soggettività, le quali si lanciano in salti e circonferenze fallate verso l’affinamento dell’appaiamento tra potenza ontologica e riproduzione sociale liberata; il baratro della precarietà nemicamente rovesciata e dell’irrigimentazione biocapitalistica ci spaventa ma riflette allo stesso tempo il lampo di mondi che avanzano nella necrosi della controparte. Abitare la crisi, le sue contraddizioni e con esse la precarietà nomadica attraverso le garanzie di una riappropriazione puntuale di reddito, tempo e soggettività alla controparte, piuttosto che cortocircuitare riguardo l’accettazione del suo modello e l’ammobiliamento riformistico del dispositivo terroristico del lavoro; dunque agire e non subire la precarietà che ci attraversa per rovesciarla e debordarla fuori dalle linee di intervento padronale. La dimensione ontologica precaria non si esaurisce nella sua sostanzializzazione capitalistica che devia, in senso nemico, la liberazione delle forze nomadiche dal cemento stanziale; pur non abbracciando con gioia la precarietà e la mattanza sociale che quotidianamente viviamo, sicuramente non cortocircuitiamo nell’occlusione degli umori soggettivi che scorrono attorno ai dispositivi di biopotere, cogliendo invece la sanzione formale di una mutata costituzione materiale come opportunità di terreno di scontro riguardo l’uso distorto ed invasivo delle nicchie desideranti moltitudinarie. Come abbiamo cercato di analizzare nei due paragrafi precedenti, l’ottuso e testardo rifiuto dell’immersione contingente non rappresenta una diversa confrontazione ma un mero ed eteronomo indirizzamento passivo, ossia l’incapacità di sincronizzare gli attrezzi del conflitto; ergo una nuova cassetta degli attrezzi coincide con lo sviluppo di passaggi immediatamente ed immanentemente alternativi rispetto all’ordinamento nemico. Se la precarietà è anche sganciamento, differenzialità e nomadismo è nostro compito sviluppare questi suoi tratti, questa sua dimensione, tracciandone noi strozzature, passaggi e paesaggi e sottraendola al grado infimo e patologico di insicurezza, paura e terrore in cui oggi ci costringe. Non dobbiamo sacrificare il dinamismo, il nomadismo, la fluidità (e lo sganciamento dalla coazione al lavoro) delle nostre forme di vita in virtù di una loro necrotizzazione, ma al contrario essere capaci di costruire un percorso politico che punti contro l’uso capitalistico della precarietà, mettendo in campo scienza, pratiche, saperi, corpi precari contro la sua necrosi. Comunisti nella precarietà.

Non rimane che il conflitto, un conflitto che com’è stato capace di modificarsi portando la controparte ad estendersi ed incrementarsi nella sua sfericità omnicomprensiva, deve essere altrettanto abile nel riuscire ad incidere ed incendiare le praterie che esso stesso ha contribuito ad aprire. Nella radicalizzazione dello sfruttamento, e delle dinamiche dello scontro, che abbiamo attraversato, quando l’iper-proletariato spinge verso l’ingovernabilità, l’autovalorizzazione ed il potere costituente allora ogni flessione diventa il buco nero del rapporto di sfruttamento perchè una voragine di pienezza, di differenzialità e potenza sociale. E’ questa la necessità e lo spazio per le garanzie differenziali che le lotte sociali già timidamente presentano: le garanzie dell’autovalorizzazione iper-proletaria e del contropotere; in sostanza parliamo di un processo di worldmaking e «manomissione del reale»[135], una pratica politica che costruisca vettori espansivi e convertitori commutativi dell’intero terreno di scontro: divaricatori della polisemia dello Ius. Se la controparte sclerotizza lo Ius come iperrealtà esclusiva diretta contro gli sfruttati, il dispiegamento della nostra liberazione lo trasforma in garanzia che riversa contro il borg l’espansione e l’esondazione del desiderio collettivo tramite il sabotaggio sinaptico dell’organo capitalistico e delle sue determinazioni connettive.

Quando si indaga ed inchiesta la praticabilità dell’autovalorizzazione, del contropotere ed in generale delle forme del conflitto asimmetrico che implementino e garantiscano l’espansione differenziale, non si vuole predeterminare e forzare un progetto politico collettivo ma provare ad individuare nel quadro contingente i punti dove questo conflitto e queste garanzie abbiano un terreno di sostentamento e pressione. Emerge immediatamente un tema che assume una progressiva centralità, la sfera del reddito, il quale torna incessantemente nei progetti della controparte così come nei movimenti e nei bi-sogni della differenzialità iper-proletaria; l’imposizione di tassi di profittabilità più elevati dentro la crisi e l’austerity (il progressivo smantellamento del welfare) coincidono per noi con l’attacco al reddito e dunque con un sostanziale impoverimento di massa. Il reddito assume una centralità nel momento in cui diventa un precipitato delle contraddizioni sociali e dello scontro di classe, un atterraggio e scarico dei nodi che la controparte ridetermina e significa in base al rapporto di forza che è riuscita ad instaurare e quindi alle quote di ristrutturazione ed esproprio che può mettere in campo; questa ridefinizione, che nell’austerity si traduce in pauperizzazione ed uso politico (controllo) del reddito, è per gli sfruttati la rappresentazione di un reddito come attraversamento con-diviso dalle differenzialità; se il reddito è un’arma a doppio taglio e spesso sfera di recupero riformistico, il suo approccio rivoluzionario è precipuamente quello di un reddito-conflitto di scala, ossia una riappropriazione che ci spinga ad un circolo virtuoso del conflitto e ad un allargamento dei livelli di scontro dentro l’avanzamento della differenzialità comunista nel contropotere come schermo del rapporto di forza.

Nel biocapitalismo cognitivo e con la valorizzazione del bios (la sussunzione reale) salta la dicotomia produzione-riproduzione e con essa quella tra salario e reddito; questo porta il conflitto capitale-lavoro a spalmarsi sull’intero arco vitale e la contesa sul reddito, la sua riappropriazione, a significarsi come espressione di questa stessa lotta di classe. Se abbiamo fino a qui inteso il conflitto sul reddito come una riappropriazione diretta, si apre a fianco e conseguentemente il passaggio di un reddito sociale garantito[136] come vertenza sociale su cui concentrare un avanzamento che possa riproporre e proiettare la lotta di classe su livelli e posizioni avanzate, un passaggio che si pone come vertenza conflittuale nella misura in cui viene da noi calata ed agìta dentro uno scontro sociale complessivo articolato tra momenti di radicalità dinamicamente e tatticamente differente. Il terreno dei bi-sogni e del reddito funge da campo di attivazione ed estensione della nemicità sociale riuscendo attraverso la sua riappropriazione ad aprire ulteriori ed avanzati settori di intervento; ecco che l’assalto alla ricchezza sociale, nella misura in cui appare come spettro e proiezione delle contraddizioni di classe, diventa punto di congiunzione tra contingenza e prospettiva. Questa fluidità del conflitto sul reddito e la sua possibilità di estendersi attraverso un dispiegamento del contropotere come pratica dell’ingovernabilità sociale è, come dicevamo, una forma di moltiplicatore della differenzialità e della sua trazione oppositiva; una lotta sul reddito che nei territori incontra un bi-sogno inestinguibile e radicale, ad esempio il tragico aggravarsi della situazione abitativa in Italia (gli sfratti, che arrivano oggi a colpire 1 famiglia su 319, e le politiche predatorie e speculative sull’abitare ad essi connesse), e che tramite questo riesce a mantenersi come divaricazione delle contraddizioni e come soggettivazione di settori di classe. Facciamo esperienza della natura moltiplicativa ed esponenziale del rapporto reddito-conflitto nelle lotte che attraversiamo, a questo proposito crediamo sia esemplificativa e generalizzabile l’esperienza di comitati per il diritto all’abitare surclassati e ridefiniti dall’esperienza di bisogni e lotte proletarie che portano, nella forzatura di una vettorialità di lotta, la necessità dell’apertura di innumerevoli fronti e di un aggregato molecolare, quasi geneticamente tellurico, della contesa e soggettivazione autonoma di classe (salute, lavoro, formazione, nocività, ecc…). La capacità delle assemblee, dei comitati, dei collettivi è surclassata, rideterminata e violentata dalle soggettività che esondano la rabbia, i bi-sogni, le vite dentro la riappropriazione del reddito e verso una riarticolazione dell’intero arco vitale.

Aggravare e cavalcare la crisi significa qui ribaltare il reddito contro i padroni, ossia rideterminarsi come costo sociale insaldabile e costruire territori resistenti in cui il contropotere rappresenti un motore di differenzialità e quindi espressione selvaggia delle soggettività; se il reddito è stato inteso qui, all’interno dell’attuale paradigma di accumulazione, come corpo unico racchiudente salario indiretto e diretto, la questione e lo spettro di quest’ultimo, la cui caratteristica era quella di essere prezzo della forza-lavoro, si disloca e sfoga su un altro piano e tocca il nocciolo dell’alternativa rispetto all’approccio riformistico al reddito, ossia l’autovalorizzazione precaria come correlato indispensabile all’assalto alla ricchezza sociale, ed alla riappropriazione dal basso di una continuità di reddito.

Se l’assalto al reddito pone un primo passo verso l’apertura e la garanzia collettiva della differenzialità, ciò non toglie come esso non riesca ancora a colpire e disarticolare radicalmente l’uso nemico della precarietà e la messa a valore, come non riesca, da solo, a costituire un uso comunista della precarietà, un orizzonte di liberazione. Quando poniamo, insieme la riappropriazione del reddito e l’autovalorizzazione cerchiamo di riproporre, adattare ed agire nel presente biocapitalistico il rifiuto del lavoro. La liberazione dei saperi, della cooperazione, del general intellect, passa per la loro autovalorizzazione, il contropotere è in questo senso l’area di espansione dei processi di autovalorizzazione in quanto capace di tenere insieme riappropriazione ed autovalorizzazione, assalto alla ricchezza sociale e rifiuto del lavoro. L’ontologia di classe squarcia e spezza le surdeterminazioni ideologiche della controparte quando si riarticola tramite una propria messa in rete, una socializzazione dentro dispositivi cooperativi e mutualistici capaci di sradicare pezzo per pezzo il ricatto precario ed esprimendo l’eccedenza differenziale: il bios che riesce a de-mercificarsi sviluppando dispositivi e terreni indisponibili alla messa a valore. Se l’autovalorizzazione tocca il nodo centrale della rendita e del ricatto padronale, questa ricomprende al suo interno, nel suo attacco, il tema del finanziamento dell’esodo e degli squarci eterotopici; se «la moneta come strumento definisce un rapporto sociale di potere all’interno dei meccanismi di produzione e valorizzazione»[137] il suo uso e la sua riappropriazione ricade all’interno di un’esplosione della differenzialità. In che cosa consisterebbe l’aspetto finanziario dell’autovalorizzazione? L’attuale paradigma economico ha tra i suoi assi portanti una condizione di precarietà generalizzata dentro un processo di finanziarizzazione, un’economia monetaria di produzione; il debito, la messa a valore ed il ricatto che puntellano la condizione precaria si disarticolano tramite l’autovalorizzazione della cooperazione sociale e questa passa per una cassetta degli attrezzi finanziari del general intellect. Senza poter estendere qui una loro analisi tecnica[138], la costituzione di circuiti monetari alternativi alla dittatura finanziaria e speculativa ed al suo tentativo di porre forme di controllo, misurazione e scarsità coatta verso un’attività che invece evade ogni controllo e misurazione eccedendo infinitamente, oltre che far parte di quel combinato conflittuale che abbiamo cercato di abbozzare, ossia articolazione di assalto al reddito, autovalorizzazione e contropotere, può rappresentare una sostanzializzazione delle soggettività differenziali nel momento in cui assume la funzione di precipitato monetario dell’ontologia precaria.

Battaglia sul reddito, autovalorizzazione e finanza alternativa, abbiamo brevemente e sommariamente cercato di inserire questi passaggi all’ interno di un conflitto precario capace di riscoprire la propria asimmetria su un ampio e radicale ventaglio di fronti e quindi anche in grado di disarticolare il biocapitale nella pervasività del suo dominio; le traccie che abbiamo fino a qui seguito, partendo dall’analisi della condizione iper-proletaria e dei sentieri battuti dalle lotte, indicano come il welfare autonomo (commonfare) quando e se riesca ad armonizzare riappropriazione sociale ed esodo autovalorizzante, possa raggiungere una disposizione rivoluzionaria che trova espressione nel contropotere come apertura pluridimensionale e volano differenziale; embrionali forme di contropotere che tengano insieme e contribuscano a radicalizzare e costruire trame collettive nella giungla dei bi-sogni delle differenzialità espansive, insomma che riescano a dare forma ed interpretare un Noi. Il contropotere non solo è il punto di sfogo e garanzia delle differenzialità e della loro liberazione ma è l’esercizio di una rideterminazione delle temporalità antagoniste, della deterritorializzazione spaziale e la spinta verso una pluridimensionalità in cui l’eccedenza delle soggettività riflette la propria potenza sociale. Dobbiamo tornare su un nodo che avevamo evidenziato nella lotta sul reddito e che ritorna esponenzialmente nel contropotere, ossia il suo divenire punto (deterritorializzato e fluido) di incontro e rilancio tra contingenza (resistenza e ricomposizione, nei termini scompositivi e differenziali che dicevamo) e prospettiva (insurrezione, e differenzialità costituente).

Cerchiamo ora di inserire la dislocazione e la nuova prospettiva dello scontro di classe all’interno della multivocità del contropotere (e delle soggettività che lo abitano). Precedentemente osservavamo come i nuovi paradigmi di disciplinamento, la governance e lo Ius-brodo, da un lato conducevano ad una proiezione post-sovranista della normazione e quindi alla capacità della controparte di trovare un disciplinamento fluido ed efficace nei nuovi scenari globali, dall’altro lato però proiettavano la contesa ad un livello sovrastante, ossia alla destrutturazione del disciplinamento nel suo punto più alto e raffinato: un potere costituente (differenzialità costituente) come magma in cui i conflitti possono iniziare a nuotare ed esprimere l’autonomia delle forme di vita differenziali e della loro ri-produzione sociale contro l’estorsione di plusvalore. Se il contropotere tiene insieme gradazioni differenziali diverse e riallaccia il grande rifiuto dell’assoggettamento e la tensione soggettivizzante autonoma (l’embrione delle soggettività), il potere costituente è la trazione differenziale del contropotere verso la sua totale ridefinizione in termini di vita, di eterotopia, di comunismo. Ecco che gli stargate e le garanzie differenziali riescono mano a mano ad esfoliarsi fino a divenire essi stessi parte di questa schizofrenia iper-proletaria; questo passaggio porta la soggettivazione dalla sua alienazione (il suo non riconoscersi in sé stessa) alla messa in campo di strategie asimmetriche di resistenza ed insubordinazione, fino alla torsione dell’orizzonte analogico di sfruttamento e messa a valore e quindi nel contropotere come disarticolazione di ogni tipo di pratica allacciata, (in maniera oppositiva, anche non simmetrica) ai mondi nemici ed omogenei. L’uso accelerato ed il dispiegamento di questo contropotere porta le soggettività ad attraversare e vivere l’indicibile, all’autorganizzazione e l’autonomia del general intellect, al comunismo.

Il potere costituente differenziale proietta il comunismo verso l’appaiamento della forme di vita e delle loro espressioni e movimenti con la loro ontologia, le soggettività differenziali trovano così nella gaiezza del comunismo l’apertura pluridimensionale e rizomatica in cui collettivamente svilupparsi ed infinitamente espandersi dando forma, tramite i loro infiniti rimbalzi relazionali, ad un Noi che oggi così insistentemente cerchiamo di affermare e così tragicamente non riusciamo a costruire. Come costruire questo Noi? Quali sono gli stargate differenziali ed i contropoteri in grado di rendere possibile un uso comunista della precarietà? Sta alle nostre lotte rispondere a queste domande mettendo in pratica, nei quartieri, nelle scuole, nei call center, nelle fabbriche ed in generale nei territori che attraversiamo, dispositivi di insubordinazione, sprazzi di ingovernabilità e squarci di comunismo. Vivre la commune, vivre la revolte.

NOTE

[1]Negri, A., Il dominio e il sabotaggio-sul metodo marxista della trasformazione sociale, in Negri, A., I libri del rogo, Roma, DeriveApprodi, 2006, pag.253.

[2]Per una perfetta e breve ricostruzione di questa capacità cfr. Come il patrimonio teorico dell’operaismo italiano è servito a comprendere la realtà del lavoro postfordista di Sergio Bologna, disponibile su Effimera: http://effimera.org/come-il-patrimonio-teorico-delloperaismo-italiano-e-servito-a-comprendere-la-realta-del-lavoro-postfordista-di-sergio-bologna/.

[3]Per quello che può valere una specificazione terminologica, parliamo della composizione di classe odierna come di iper-proletariato nell’uso che ne fa Romano Alquati, consci di eludere colpevolmente una necessaria inchiesta sulla composizione di classe odierna proveremo comunque ad abbozzarne una lettura nel paragrafo Tradire l’operaismo: la memoria è una tigre di carta! Ad ogni modo intendiamo per iper-proletariato la composizione di classe  connaturata all’odierno paradigma economico (biocapitalismo cognitivo), cioè un iper-proletariato «caratterizzato da psichicità prevalente della sua forza attiva lavorativa, dell’impercettibilità del suo lavorare trasversale, e da ritorni di momenti artigianeschi e servili» in Alquati, R., Lavoro e attività-per una analisi della schiavitù neomoderna, Roma, Manifesto Libri, 1997, pag.87. Per il concetto di iper-proletariato elaborato da Alquati vedi soprattutto: Alquati, R., Sacre icone, Padova, Calusca Edizioni, 1993 ed Alquati, R., Lavoro e attività-per una analisi della schiavitù neomoderna, Roma, Manifesto Libri, 1997.

[4]Rimandiamo all’origine greca di pharmakon (φάρμακον) come veleno che funge al contempo da antidoto.

[5]Ossia il contratto a tempo indeterminato.

[6]Petrosino, S., Il pharmakon in Derrida, in Derrida, J., La farmacia di Platone, tr.it. di Balzarotti, R., Milano, JacaBook, 2007, pag.14.

[7]«Un’alternativa, una disgiunzione esclusiva e determinata rispetto ad un principio che ne costituisce tuttavia i due termini o i due sottoinsiemi, e che rientra esso stesso nell’alternativa» in Deleuze, G., Guattari, F., L’anti-Edipo-Capitalismo e schizofrenia, introduzione e traduzione di Fontana, A., Milano, Edizione Mondolibri su concessione Giulio Einaudi editore, 2000, pag.87.

[8]Piuttosto che una strategia politica di inoculazione graduale del veleno, di indoramento della pillola, «la cerimonia del pharmakos si svolge […] al limite del dentro e del fuori che essa deve tracciare e rintracciare continuamente» in Derrida, J., La Farmacia di Platone, tr.it. di Balzarotti, R., Milano, JacaBook, 2007, pag.128.

[9]Fontana, A., Introduzione, in Deleuze, G., Guattari, F., L’anti-Edipo-Capitalismo e schizofrenia, introduzione e traduzione di Fontana, A., Milano, Edizione Mondolibri su concessione Giulio Einaudi editore, 2000, pag.XIX.

[10]Nella serie tv Star Trek: The Next Generation, questo è l’annuncio che i borg, una forma di vita cibernetica, fanno alle astronavi incontrate e prossime all’assimilazione.

[11]Adorno, T.W., Dialettica negativa, tr.it. di Donolo, C.A., Torino, Einaudi, 1970, pag.287. A questo proposito potremmo ricordare il fondamentale apporto dell’operaismo e della sua rivoluzione copernicana riguardo la lettura del rapporto lotte-sviluppo.

[12]Quando parliamo di forclusione mutuiamo un concetto che Jacques Lacan riprende dalla verwerfung freudiana, in sostanza «la forclusione include l’introduzione e l’espulsione del soggetto» in Spivak, G.C., Critica della ragione postcoloniale-verso una storia del presente in dissolvenza, a cura di Calefato, P., tr.it. di D’Ottavio, A., dunque un concetto analogo a quello espresso dal “nastro di Möbius”.

[13]Armano, E., Sacchetto, D., Iperindustrializzazione e inchiesta: Romano Alquati, pag.6, cit.Alquati, R., consultabile su  Connessioni precarie: https://connessioniprecarie.files.wordpress.com/2012/01/iperindustrializzazionee-inchiesta-romano-alquati.pdf.

[14]Griziotti, G., Vercellone, C., Biorank Vs Commoncoin, in Aa.Vv., La moneta del comune-La sfida dell’istiuzione finanziaria del comune, a cura di Braga, E., Fumagalli, A., Milano, Alfabeta-DeriveApprodi, 2015, pag.96.

[15]Virno, P., Grammatica della moltitudine-per un analisi delle forme di vita contemporanee, Roma, DeriveApprodi, 2002, pag.78.

[16]Foucault, M., Corso del 4 gennaio 1976, in Foucault, M., Microfisica del potere-Interventi Politici a cura di, Fontana, A., Pasquino, P., tr.it. di, Procacci, G., Pasquino, P., Torino, Einaudi, 1977, pag.183.

[17]Qui si pone un complesso nodo che pone l’assujetissement non solo come assoggettamento politico ma pure come creazione tout-court dei soggetti; il tema si scontra con la mera possibilità astratta e teorica di una creazione metafisica di soggetti che invece possono essere colti solamente nel loro essere materialisticamente in medias res, ossia già tutti interni alla contesa di classe. Il circolo offre spunti di riflessione interessanti circa il dispositivo politico della genealogia.

[18] Butler, J., La vita psichica del potere, tr.it. di Bonini, E., Scaramuzzi, C., a cura di Weber, C., Roma, Meltemi, 2005, pag.90.

[19]Invertiamo Althusser.

[20]   Anche qui  operiamo un rovesciamento di Althusser.

[21]Butler, J., La vita psichica del potere, tr.it. di Bonini, E., Scaramuzzi, C., a cura di Weber, C., Roma, Meltemi, 2005, pag.94.

[22]Aggiungiamo la virgolette per disincentivare una possibile lettura messianico-deterministica del termine naturale e sottolineare invece la preponderanza dell’intervento politico, dell’astrazione determinata.

[23]Baudrillard, J., Lo scambio simbolico e la morte, tr.it. di Mancuso, G., Milano, Feltrinelli, 1992, pag.14.

[24] Nel senso althusseriano.

[25] Butler, J., La vita psichica del potere, tr.it. di Bonini, E., Scaramuzzi, C., a cura di Weber, C., Roma, Meltemi, 2005, pag.91.

[26]Vedremo nel testo come il concetto di trascendentalità vada articolato ed appaiato con il campo di immanenza e la materialità delle espressioni e dello sfruttamento di classe e come, così facendo, si scongiuri ogni possibile deriva a-prioristica ed universalistica della trascendentalità stessa; a questo proposito diventa interessante ed attraversabile il soggetto trascendentale husserliano come articolazione tra immanenza e trascendentalità. Per ora ci basta intendere la trascendentalità come unilateralità dell’odio di classe (in termini appunto di immanenza e materialità), verso la controparte nemica nei cui confronti viene imposta l’alterità radicale ed assoluta dell’iper-proletariato; quello trascendentale è un porsi totalmente alieno che, dentro e tramite la microfisica materiale dello sfruttamento biocapitalistico, punta alla non-riproducibilità dei dispositivi di assimilazione ed alla costruzione di un conflitto quasi a-relazionale. Nel testo cercheremo di approfondire questo concetto soprattutto tramite l’ausilio del lavoro filosofico di Enzo Paci.

[27]La prosopagnosia è un deficit percettivo che porta chi vi è affetto a non riconoscere il volto altrui.

[28]Borio, G., Pozzi, F., Roggero, G., Futuro anteriore-dai “Quaderni rossi” ai movimenti globali: ricchezze e limiti dell’operaismo italiano, Roma, DeriveApprodi, 2002, pag.180.

[29]Impossibile non riallacciarsi a Gilles Deleuze: «Il soggetto è una macchina temporale che supporta sistemi efficienti, e soprattutto ordinati di pratiche e ideologie, realizza processi costituenti di sintesi identitaria, lavorando continuamente materiali che reperisce all’esterno. Ha bisogno dunque di sopravanzare le cose, di proiettarsi al di là di esse, di ridislocare le sue strutture» in Deleuze, G., Cosa puo un corpo? Lezioni su Spinoza, traduzione, prefazione e cura di Pardi, A., Verona, Ombre Corte, 2013, pag.8.

[30]La metafora si riferisce al circolo vizioso del libro: Kafka, F., Il castello, tr.it. di Boni, G., Torriana (Rn), Orsa Maggiore, 1995, in cui il signor K, chiamato in città per svolgere il lavoro di agrimensore, è sempre invischiato nell’impossibilità di compiere le sue mansioni e di compiere l’iter per poter superare l’impasse.

[31]Paci, E., Il filosofo e la città-Platone, Whitehead, Husserl, Marx, a cura di Veca, S., Milano, Il Saggiatore, 1979, pag.128.

[32]Rovatti, P.A., Il luogo del soggetto, in Aa.Vv., Effetto Foucault, a cura di Rovatti, P.A., tr.it. di Dal Lago, A., Poma, A., Milano, Feltrinelli Editore, 1986, pag.74.

[33]Ibidem.

[34]Quindi non vi è una mera riduzione al calcolo ed alla strategia politica ma il sottolineare come la coazione all’omogeneità ed all’unità sia sostanzialmente una forma di violenza nei confronti dell’ontologia iper-proletaria; quest’ultima rigetta ogni violenza masochista del negarsi come soggettività autonome e schiaccia con la propria  potenza ogni tipo di sganciamento ed astrazione. Nella differenzialità non trovano spazio né la spinta assiologica-valoriale del rifiuto dell’omogeneità in quanto Ingiustizia (retaggio teologico), nè tantomeno il calcolo strategico, quanto invece una dimensione di corrispondenza tra volontà differenziale ed annichilimento dell’assimilazione. L’affermazione autonoma della soggettività scava nel ventre molle dei dispositivi della controparte.

[35]Successivamente, nel paragrafo “L’asimmetria del conflitto”, proveremo a leggere e disarticolare l’ideologia del Piano.

[36]Il quale ricadrebbe in un indifendibile innatismo oggettivista.

[37]La fabbricazione di mondi come ulteriore segmentazione del terreno di scontro è una rielaborazione del worldmaking di Nelson Goodman: «C’è un mondo per ogni diverso modo di combinare e costruire sistemi simbolici, c’è un mondo per ogni versione e visione che se ne dà é […] E siccome per Goodman queste versioni o visioni diverse possono essere egualmente importanti e indipendentemente interessanti, financo corrette, senza che se ne debba presumere o richiedere la riducibilità a un’unica base comune, ne segue che i mondi che ne derivano hanno lo stesso grado di realtà: nessuno può arrogarsi il diritto esclusivo al titolo di mondo reale, nessuno può pretendere di essere il mondo a cui le diverse versioni si riferirebbero con linguaggi e modalità differenti. Nessun mondo gode di un’esistenza-in-sè e nessuna versione può ambire al monopolio» in Varzi, A.C., Mondo-versioni e versioni del mondo, in Goodman, N., Vedere e costruire il mondo, tr.it. di Marletti, C., Roma-Bari, Laterza, pag.X.

[38]Stiamo ribaltando la frase Nomina sunt consequentia rerum, ossia i nomi sono conseguenti alle cose, attribuita a Giustiniano, vedi Istituzioni di Giustiniano II, 7, 3.

[39]Per una delucidazione sul concetto di nomoteta vedi Eco, U., La recherche de la langue parfaite dans la culture européenne, tr.fr. de Manganaro, J.P., Paris, Éditions du Seuil, 1994, pag.23.

[40]Nietzsche è centrale nella riarticolazione del concetto di verità quando afferma: non esistono fatti ma solo interpretazioni.

[41]Questo sottolinea l’iper-oggettività del totalmente soggettivo e la ricostituzione dell’oggettivo come tecnica.

[42]In maniera analoga all’iper-oggettivo trattato nella nota precedente, intendiamo per iperrealismo la tecnica di ricostituzione del reale, la sua simulazione; possiamo sintetizzare brevemente il concetto di iperrealtà (riferito soprattutto a Baudrillard) in questo modo: «The idea that reality is constructed, and therefore it is possible to construct things that are more real than real. What is real is purely contextual, cultural, historical and timebound. Hyperreal questions the myth of the real in modernism» in Venkatesh, A., Sherry, J.F., Firat, A.F., Postmodernism and the marketing imaginary, in International Journal of Research in Marketing, Volume 10, Issue 3, August 1993, pag.221.

[43]Affrontare inteso proprio nel senso di porsi frontalmente al nemico come disposizione politica; per quanto, dopo Foucault, sia ancora possibile dirsi in posizione frontale e non già direttamente immersi nel rapporto di potere.

[44]Questa può essere un’efficace e breve sintesi di cosa intendiamo per simbolico (soprattutto riferendosi a ciò che intende Judith Butler per simbolico): «la dimensione normativa insieme stabile e transitoria che segna la costituzione del soggetto attraverso pratiche citazionali e consiste in una serie di tabù, divieti, sanzioni, idealizzazioni e minacce» in Pasquino, M., Doing-Undoing Language, in Aa.Vv., Fare e disfare-Otto saggi a partire da Judith Butler, a cura di Pasquino, M., Plastina, S., Milano-Udine, Mimesis, 2008, pag.21. Vedi anche Butler, J., Bodies that matter-On the discursive limits of “sex”, London&New York, Routledge, 1993, pag.98.

[45]E’ bene sottolineare come non si sostenga una separazione tra economico e politico ma imbastardimento nel rapporto di sfruttamento-liberazione.

[46]Vedremo successivamente la parametrazione come forte arma repressiva della controparte.

[47]Baudrillard, J., Lo scambio simbolico e la morte, tr.it. di Mancuso, G., Milano, Feltrinelli, 1992, pag.68.

[48]Fisseremo all’interno dell’ultimo paragrafo un’analisi del concetto Ius, delle sue origini e delle sue trasformazioni.

[49]Senza scordare l’ambiguità della significazione, emersa tramite l’assujetissement foucaultiano.

[50]Varzi, A., Introduzione-Mondo-versioni e versioni del mondo, in Goodman, N., Vedere e costruire il mondo, introduzione di Varzi, A.C., tr.it. di Marletti, C., Roma-Bari, Laterza, 2008, pag. X.

[51]Ivi, pag.XI.

[52]Vedi la nota 12 all’interno del paragrafo Biocapitalismo Borg e diversificazione coatta dove caratterizziamo il concetto di forclusione ed il rapporto dentro/fuori tramite il “nastro di Möbius”.

[53]Sottolineiamo ulteriormente come la molecolarità del potere foucaultiana non presupponga nessuno scontro che non sia interno e che sia dunque non uno scontro tra due entità nette, definite ed antagoniste, ma una contesa immanente che apre alla conversione implodente ed all’eterotopia come dimensione che annichilisce il nemico riterritorializzando le contraddizioni come corpi che vivono il comunismo.

[54]Lontano da una dinamica politica qualitativo-numerica, ossia siamo sfruttati perchè il capitalismo ha ancora la maggioranza del consenso degli sfruttati, evidenziamo invece come la rendita capitalistica, il worldmaking nemico e la biopolitica padronale schiaccino le espressioni rivoluzionarie sull’appiattimento dimensionale del general intellect; il consenso come espressione aperta e differenziale viene ricondotto al consenso come pura estrazione di valore e parimenti al comando del codice di significazione omogeneo ed univoco.

[55]Nella tassonomia ed immobilizzazione di concetti, che invece nel quotidiano vediamo imbastardirsi e meticciarsi repentineamente, è il carattere strategico a ricollocare gli elementi in deterritorializzazione comunista: il sindacato che nella sua strumentalità diviene, per la stragrande maggioranza dei casi, agente repressivo-riformista delle lotte operaie (i confederali) oppure strumento di organizzazione di fette di proletariato che si prendono il sindacato per farne organo di autorganizzazione (il S.i. Cobas nelle lotte della logistica). Senza dilungarci ulteriormente, sottolineiamo il carattere di strumentalità imponibile ai sindacati che ci sono presenti: la possibilità di usare i sindacati come organo operaio anche quando questi siano progettati per l’uso riformistico e vogliano solamente eseguire la funzione di tutori testamentari dei nostri bisogni.

[56]    Che come ben sappiamo rivela anche i toni di un subappalto della povertà.

[57]Negri, A., Guide-Cinque lezioni su Impero e dintorni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, pag.55.

[58]L’iper-senso è il passaggio che incanala, schiaccia e condanna l’ideologia nemica a sancire essa stessa come intrisa di iper-senso; questo è un passaggio che tramite la costruzione collettiva individua nel simulacro e nella ricostituzione macchinica del senso la sfera incategorizzabile con cui distruggere l’univocità monosemica ed aprirsi alla schizofrenica trasduzione della differenzialità.

[59]Ricordiamo che qui intendiamo il con-senso come delineazione di una tecnica e politica dell’immaginazione, come significazione aperta rivoluzionaria, ossia un dare-senso-insieme; l’eccedenza infinita, tramite la sua cooperazione sociale, atterra su una delineazione collettiva del suo infinito movimento e della sua inafferrabile ed inidentificabile pluridimensionalità. Aprirsi al con-senso è qui intendere lo spazio eterotopico come immanenza della pratica rivoluzionaria nel momento in cui caratterizza le inclinazioni inclusive del proprio agire.

[60]Aa.Vv., Alice è il diavolo-Storia di una radio sovversiva, a cura di Berardi, F., “Gomma”, Milano, ShaKe Edizioni, 2004, pag.114.

[61]Baudrillard, J., Lo scambio simbolico e la morte, tr.it. di Mancuso, G., Milano, Feltrinelli, 1992, pag.95.

[62]Nietzsche, F., Frammenti postumi 1887-1888, in Nietzsche, F., Opere-Vol.VIII (Tomo II), tr.it. di Giametta, S., Milano, Adelphi, 1971, pag.43.

[63]Negri, A., Pipe-line, Lettere da Rebibbia, postfazione di De Michele, G., Roma, Derive Approdi, 2009, pag.49.

[64]Žižek, S., Il soggetto scabroso-Trattato di ontologia politica, tr.it. di Cantone, D., Chiesa, L., Milano, Raffaello Cortina, 2003, pag.54.

[65] Ibidem.

[66]I concetti di langue e parole sono riconducibili a Ferdinand de Saussurre e riflettono rispettivamente (sintetizzando massimamente l’elaborazione saussuriana) l’aspetto sociale ed individuale del linguaggio; quindi mettendole qui in relazione le concepiamo in quanto espressione differenziale collettiva come interrelazione piena tra cooperazione sociale e differenzialità soggettiva.

[67]Baudrillard, J., Lo scambio simbolico e la morte, tr.it. di Mancuso, G., Milano, Feltrinelli, 1992, pag.14.

[68]Hardt, M., Negri, A., Moltitudine-Guerra e democrazia nel nuovo ordine imperiale, tr.it. di Pandolfi, A., Milano, Rizzoli, 2004, pag.256.

[69]Mentre ben diverso è il discorso aperto dalle lotte francesi (ed il loro ampio ventaglio di pratiche e soggettività), le quali hanno saputo coagularsi ed espandersi attorno ad una vertenza come quella della difesa delle garanzie lavorative (attaccate dalla Loi Travail) e, tramite questa, rilanciare forme avanzate di conflitto.

[70]Ed è bene pensare all’imperturbabilità non come risultato di un’insufficenza della forza espressa che non permette lo sfondamento delle cinghie di sfruttamento, ma piuttosto come cortocircuitazione che scivola e si riproduce su uno sfasamento ontologico ed un daltonismo politico rimosso e purtroppo troppe volte testardamente negato dalla pratica antagonista. In sostanza non si tratta di un problema maschile, della mancanza muscolare ma della corrispondenza che manca tra ontologia sociale e sua espressione rivoluzionaria, della qualità della multivocità ontologica che fatica a fluire dentro la differenzialità precaria ed i suoi movimenti.

[71] Negri, A., Fabbriche del soggetto (Archivio 1981-1986), Verona, Ombre Corte, 2013, pag.155.

[72]Žižek, S., Organs without bodies-Deleuze and Consequences, London-New York, Routledge, 2004, pag.13.

[73]Una fedeltà concepita non come prescrizione e normatività ideale-metafisica ma invece come “effetto collaterale” di una pratica politica discontinua e materialisticamente appaiata alla s-composizione di classe.

[74]Il dispositivo politico del tradimento rivoluzionario dell’operaismo si allaccia nella discontinuità propria della storia dell’operaismo stesso: un operaismo che abitò il leninismo fino al surclassamento della sua clonazione capitalisticamente infettata (lo stato-piano) e dalla sua sclerotizzazione fino alla torsione rivoluzionaria del leninismo. Da questo punto di vista la lunga parabola del leninismo sprigionò tre soggetti politici impegnati rispettivamente: il primo nel suo contro-uso strumentale ed adattamento nemico (uso capitalistico del leninismo), il secondo nella sua nemicità come superamento della copia nemica del leninismo “originale” (la discontinuità operaista) ed infine un elemento mediano istericamente attaccato al suo contenuto storico ma non al suo adattamento ripetibile (ortodossia del marxismo dogmatico) e dunque rispettivamente ci riferiamo ad un capitale nutritosi del nemico fino a rivolgere contro di esso (leninismo) il proprio potenziale, ad un operaismo che legge nella svolta leninista gli indizi per battere il capitale sul terreno del rovesciamento politico e del contropiede teorico ed infine un Movimento Operaio incapace di analizzare il “nuovo” capitalismo post1917 perchè attaccato estemporaneamente al contenuto contingente e storico del leninismo. Questa breve parentesi storica ci mostra la paradossalità di una patologica fedeltà odierna quando lo stesso operaismo agì e si strutturò come distorsore della linearità tradizionale marxista; dobbiamo sconfiggere l’operaismo come spettro teorico omogeneizzante e fantasmatico (quanto inesistente) della baricentralità di un segmento di classe testardamente riproposto in un’ontologia che trasuda differenzialità ed eccedenza.

[75]Tronti, M., Operai e capitale, Roma, DeriveApprodi, 2006, pag.7.

[76]Un concetto che a breve riprenderemo in riferimento ad un’analisi di Salvatore Cominu riguardo la stratificazione dei modelli produttivi.

[77]Berardi, F., (Bifo), Che significa oggi autonomia?, http://www.republicart.net/disc/realpublicspaces/ berardi01_it.htm.

[78]Deleuze, G., Critica e clinica, tr.it. di Panaro, A., Milano, Raffaello Cortina Editore, 1996, pag.151.

[79]Negri, A., Guide-Cinque lezioni su Impero e dintorni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, pag.29.

[80]Ciò non vuol dire evitare il nodo politico dell’organizzazione ma reimmetterlo direttamente nello scontro sociale come sottrazione della produzione collettiva e del general intellect al comando capitalistico e non invece come fredda presupposizione del conflitto stesso.

[81] Alquati, R., Sacre icone, Padova, Calusca Edizioni, 1993, pag.26.

[82] Prendiamo ad esempio la lettura che fa Salvatore Cominu di alcune forme di organizzazione produttiva provando a rifiutare  un’analisi tranchant dei differenti modelli egemonici capitalistici ed aprendo una discussione sul meticciarsi e lo stratificarsi di diverse configurazioni del lavoro. Insomma dentro all’egemonia cognitiva, immateriale e relazionale del capitalismo finanziario ritroviamo per esempio forme di processualità, organizzazione e comando di taylorista memoria, ovvero l’industrializzazione del cognitivo, ed in generale una proliferazione di detriti della lotta di classe riarticolati dentro la contingenza del dominio e del controllo, cfr. Cominu, S., Lavoro cognitivo e industrializzazione, http://effimera.org/lavoro-cognitivo-e-industrializzazione-di-salvatore-cominu/.

[83] Alquati, R., Sacre icone, Padova, Calusca Edizioni, 1993, pag.45.

[84] Ivi, pag.62.

[85]Žižek, S., First as tragedy, then as farce, London-New York, Verso, 2009, pag.89.

[86] Marx, K., Le tradizioni storiche e le loro contraddizioni, in Marx, K., Engels, F., Scritti sull’arte, a cura di Salinari, C., Bari, Laterza, 1967, pag.51.

[87]Riallacciamo a ciò un passaggio di Deleuze: «scivolare in lunghezza in modo tale che la profondità antica non sia più nulla, ridotta al senso inverso della superficie. E’ a forza si scivolare che si passerà dall’altro lato, perchè quel lato non è altro che il senso inverso» in Deleuze, G., Logica del Senso, tr.it. di De Stefanis, M., Milano, Feltrinelli Editore, 1979, pag.16.

[88]Nonostante l’uso di questo concetto sia stato già precedentemente problematizzato, torniamo a sottolineare come la trascendentalità venga intesa qui come un’«ascensione sul posto», per usare un’espressione di Merleau-Ponty, una rottura verticale che le soggettività differenziali pongono in termini di nemicità; è una sorta di fulmine che si proietta dal campo d’immanenza verso una costruzione e ricostituzione trascendentale di tipo strumentale: un’identificazione-creazione del nemico assoluto dentro l’autoporsi come differenza ed autonomia irriducibile, la quale non rientra in nessuna distanza nei confronti della controparte perchè al di là di ogni sistema di misurazione possibile. La trascendenza si pone quindi come lavoro politico di autodeterminazione che cala la nostra differenzialità irriducibile nella costruzione di un conflitto che va configurandosi come non-rapporto con la controparte e che, di conseguenza, definisce quest’ultima solo come non-rapportante-con-noi, come l’infinitamente-altro-da-noi. La nostra differenzialità ontologica articolata nella nemicità sociale arriva a porre l’infinitamente-altro-da-noi come elemento di cui non si può dire nulla se non incappando in un avvicinamento con lo stesso nemico trascendentale (poiché la sua evocazione mistifica l’incommensurabilità dell’abisso portando alla luce una sorta di civilizzazione di un rapporto che non si dà) : lo stesso usare Noi-loro, amico-nemico presuppone un metro di giudizio, un tentativo di similizzazione che dobbiamo fare, nostro malgrado, per sostanzializzarlo sì, ma come nemico incompatibile, rivale e trascendentale. Questa sostanzializzazione ontologica che sfiora la reificazione è la nemicità che costruiamo partendo dall’incomparabile alterità assoluta che contraddistingue, materialisticamente, le nostre vite sfruttate ed il campo di battaglia che quotidianamente attualizziamo e costruiamo attorno ad un Noi differenziale. Per la citazione di Merleau-Ponty vedi Merlau-Ponty, M., Il visibile e l’invisibile, tr.it.di Bonomi, A., Milano, Bompiani, 1969, pag.335.

[89]Abbiamo precedentemente abbozzato brevemente uno spunto di riflessione sulla risposta capitalistica non solo come reazione all’iniziativa operaia ma, in mancanza di questa , anche come auto-riforma, vedi pag.2.

[90]Qui la comprensione riallaccia la forbice del suo uso determinandosi sia come “prendere insieme/contenere in sé” che come “intendere /intelligere”; per le soggettività rivoluzionarie, la rottura degli strumenti di comprensione si traduce nella diserzione ed indipendenza dal contenimento e dalla governance delle diversità indotte attraverso l’esplosione della differenzialità nomade ed impazzita delle differenzialità e con l’ininterpretabilità dei movimenti e delle espressioni di classe.

[91]Deleuze, G., Guattari, F., Millepiani-Capitalismo e schizofrenia, a cura di Guareschi M., tr,it. di Passerone, G., Roma, Castelvecchi, 2006, pag.37

[92]Negri, A., Fabbriche del soggetto (Archivio 1981-1986), Verona, Ombre Corte, 2013, pag.56.

[93]Intesa come politica di attraversamento e costruzione autodeterminata di terreni politici.

[94]Il negativo-contrastivo e l‘opposizione parametrata possono essere ricompresi dentro l’immagine della sub-cavità oppositiva. Potremmo immaginarci il negativo-contrastivo come il darsi del conflitto, il quale si sviluppa nel solo senso contrastivo e che quindi sfocia inevitabilmente in un’opposizione parametrata ossia nell’inoffensività dell’antagonismo; questi sono aspetti della sub-cavità oppositiva in quanto quest’ultima costituisce la macro-rappresentazione spaziale e geopolitica della simmetria del conflitto (le cui forme sono appunto negative-contrastive e antagonisticamente parametrate) all’interno del Piano analogico: questa cavità è una sub-area di scarico e atterraggio delle contraddizioni in senso repressivo-economico ma anche bacino di sviluppo delle stesse in senso differenziale, asimmetrico e rivoluzionario. Quando parliamo di negativo-contrastivo e di opposizione parametrata non cerchiamo di strutturare definizioni di aspetti nettamente e rigidamente codificati ma al contrario proviamo a decifrare, attraverso queste forzature ed ipostatizzazioni, i movimenti ideologici che imbrigliano il conflitto sociale nell’analogia e la parametrazione.

[95] Relazione traducibile in amico-nemico e riconducibile all’analisi teorica di Carl Schmitt.

[96]Sebbene la relazione localizzata deterministica esterno-interno assuma i tratti deterritorializzati della palude ideologica, del brodo, piuttosto che riferirsi ad un’effettiva bi-polarità tellurica.

[97] Negri, A., Guide-Cinque lezioni su Impero e dintorni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, pag.120.

[98] Deleuze, G., Differenza e ripetizione, introduzione di Foucault, M.., tr.it. di Guglielmi, G., Bologna, Il Mulino, 1971, pag.419.

[99] I caratteri di autoposizione autonoma e pluridimensionale sono visti sia in rapporto a sé stessa, la classe, ed ai suoi movimenti (geopolitica precaria), sia nella determinazione del non-rapporto (nemicità ed alterità trascendentale) con la controparte.

[100] Zanini, A., Filosofie del soggetto-Soggettività e costituzione, Palermo, Ila Palma, 1982, pag.73-74.

[101] Ibidem.

[102]Questa è una sorta di crasi tra le forme di parametrazione che abbiamo fino a qui descritto (negativo-contrastivo, opposizione parametrata); ribadiamo come queste non posseggano nessuna consistenza definitoria ma mirino soltanto ad una strumentalità descrittiva.

[103] Balestrini, N., Moroni, P., L’orda d’oro(1968-1977)-La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 2015, pag.455.

[104]Ad esempio: rassemblement, analogia, e parametro dell’Uno.

[105] Negri, A., Guide-Cinque lezioni su Impero e dintorni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, pag.111.

[106]Deleuze, G., Spinoza-Filosofia pratica, tr.it. di Senaldi, M., Milano, Guerini e Associati, 1991, pag.151.

[107]Alquati, R., Sacre icone, Padova, Calusca Edizioni, 1993, pag.46.

[108] Ibidem.

[109]Virno, P., Grammatica della moltitudine-per un analisi delle forme di vita contemporanee, Roma, DeriveApprodi, 2002, pag.34.

[110] Negri, A., Guide-Cinque lezioni su Impero e dintorni, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2003, pag.116.

[111]Emmolo, F., Divenire soggetto, in Nóema, 4-1 (2013), pag.22,  http://riviste.unimi.it/index.php/noema/article/viewFile/2874/3060.

[112]Questo perchè una con-divisione tramite intersezione potrebbe evocare un punto unico di condivisione di natura deterministica e dunque l’ineluttabilità della differenzialità comunista; al contrario la loro con-divisione si pone come co-estensione ossia una copertura discontinua ed impazzita del terreno da parte delle traiettorie nel momento dell’espansione della potenza sociale iper-proletaria.

[113]Paci, E., Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, 1961, pag.128.

[114]Il concetto di essere-separato è una problematica che Crespi riprende da Lévinas, vedi Lévinas, E., Totalité et infini: essai sur l’exteriorité, La Haye, Martinus Nijhoff, 1974, pag.29

[115]Crespi, F., Esistenza e simbolico-Prospettive per una cultura alternativa, Milano, Feltrinelli, 1978, pag.24.

[116]All’interno del paragrafo Sabotaggio 1- Soggetto ed (auto)soggettivazione.

[117]Concludiamo questa nostra prolungata ed insistente ridefinizione, affinamento e ricollocazione del concetto di trascendentalità, trasferendo lo stesso da caratterizzazione destituente a passaggio costituente: «Nel proprio il trascendente, prima indeterminato, comincia a precisarsi, come sappiamo, come altro da me: si costituisce, sulla base della trascendenza, il regno nuovo e infinito dell’altro, della natura obiettiva, del mondo obiettivo in generale. Il punto di partenza per la costituzione dell’altro è dunque la trascendenza primordiale che io sperimento in me come altra: questa esperienza apre le porte alla presenza dell’altro nella mia presenza e appunto su di essa si costituisce la “comunità delle monadi”. Nel momento stesso nel quale scopro in me la trascendenza, mi trovo in una comunità, poichè tale trascendenza, non potendo essere ridotta ai modi della coscienza di me, mi rivela che può essere trascendenza per i modi di coscienza di un altro, e si rivela infine come trascendenza per una sfera intersoggettiva, per un “Noi trascendentale”». Vedi Paci, E., Tempo e verità nella fenomenologia di Husserl, Bari, Laterza, 1961, pag.104.

[118] In un quadro di scontro dislocato, all’irrobustimento repressivo si alterna, anche a livello legislativo, il fragile tentativo di operare forme di recupero riformistico; presentiamo alcuni esempi (soprattutto riguardanti la questione abitativa in virtù dell’emergenza che rappresenta e della conflittualità) di questo tentativo di scavalcamento del conflitto quando quest’ultimo riesce ad accumulare forza ed a espandersi: le assegnazioni in deroga alla graduatoria per l’alloggio popolare o la moratoria sugli sfratti per morosità incolpevole che in alcune città le varie amministrazioni hanno decretato in risposta all’insistere dei picchetti e della resistenza, oppure la delibera della regione Lazio che garantisce una quota di alloggi popolari a chi occupa in attesa dell’assegnazione di una casa popolare. Non solo questo tentativo è la risposta alla sedimentazione ed estensione di lotte, picchetti ed occupazioni, ma queste stesse lotte sono già capaci di attaccare questi strumenti riformistici, trasformandoli in basi avanzate di rilancio del conflitto; ne sono un esempio i residence e le strutture di transizione abitativa trasformati in basi rosse ed in questo senso vediamo in prospettiva i vari passaggi che le lotte bolognesi per il diritto all’abitare sono state capaci di produrre, ossia la capacità di riprodurre conflitto oltre le singole vertenze: partendo dall’occupazione di decine di famiglia dell’Ex-Telecom e, passando per la resistenza allo sgombero, fino all’apertura di un fronte di lotta (capace oltretutto di aggregare altrettanti nuclei famigliari) anche all’interno della struttura di transizione abitativa verso l’assegnazione di una casa popolare, vedi Infoaut: Bologna – Si apre il fronte di lotta del Comitato Inquilini Galaxy!, http://www.infoaut.org/index.php/blog/metropoli/item/16530-bologna-si-apre-il-fronte-di-lotta-del-comitato-inquilini-galaxy.

[119]Se nella precedente nota osservavamo un tentativo di recupero riformistico (pressochè fallimentare) così qui fissiamo l’alternanza repressiva del recupero del margine di controllo rispetto alla possibilità e pratica del conflitto sociale; prendiamo come esempio ancora la questione abitativa sia per confrontare con la nota precedente la doppia tattica  recupero riformistico-repressione “pura”, sia perchè non è un caso che abbondino atti legislativi in questo ambito vista la spinta delle lotte sociali ed il quadro emergenziale da cui emergono. In questo contesto la controparte si è spesa per un irrobustimento del controllo ed una repressione delle lotte tramite: il Piano-casa (e soprattutto l’infame art.5 che attacca direttamente le occupazioni), il decreto che facilita e accorcia l’iter per il pignoramento delle abitazioni in caso di un mancato pagamento per più di 18 mesi di rate mensili, o l’uso dell’art.610 del Cod.proc.civ. che, in risposta all’espandersi ed all’affermarsi della lotta per il diritto all’abitare, permette all’ufficiale giudiziario di eseguire lo sfratto senza nessun preavviso cercando di eludere la resistenza allo sfratto stesso, o anche la nuova legge regionale lombarda (non ancora approvata) che, recependo a livello normativo la minaccia di una requisizione dello sfitto agìta dal basso e dai movimenti e l’imposizione di un controllo popolare, vorrebbe ristrutturare la legge vigente e smantellare le garanzie abitative (già oggi completamente disattese).

[120]Ci ricolleghiamo a Christian Marazzi quando segna l’intravedersi di un superamento della forma-impero e di una sostanziale rottura dell’equilibrio imperiale: cfr. Dentro e contro la normalità della guerra. Intervista a Christian Marazzi di Antonio Alia e Anna Curcio disponibile su Effimera, http://effimera.org/dentro-e-contro-la-normalita-della-guerra-intervista-a-christian-marazzi-di-antonio-alia-e-anna-curcio/.

[121]Balestrini, N., Moroni, P., L’orda d’oro(1968-1977)-La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 2015, pag.455.

[122]Marx, K., Critica al programma di Gotha, a cura di Cerroni, U., Roma, Editori Riuniti, 1976, pag.31.

[123]Ibidem.

[124]Balestrini, N., Moroni, P., L’orda d’oro(1968-1977)-La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli, 2015, pag.455.

[125]Pašukanis, E.B., La teoria generale del diritto e il marxismo, in Teorie sovietiche del diritto, tr.it. di Cerroni, U., Milano, Giuffrè, 1964, pag.103.

[126]Il T.T.I.P si caratterizza come una sorta di revanscismo neoaltantista che punta al potenziamento degli scambi Usa-Europa a discapito dei BRICS, in questo senso «il TTIP parla più alla Cina che all’Europa stessa», vedi Tutto quello che avreste voluto sapere sul Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (TTIP) di Grateful Dead, disponibile su Effimera: http://effimera.org/tutto-quello-che-avreste-voluto-sapere-sul-trattato-transatlantico-sul-commercio-e-gli-investimenti-ttip-di-grateful-dead/.

[127]Negri, A., Fabbriche del soggetto (Archivio 1981-1986), Verona, Ombre Corte, 2013, pag.115.

[128]Ibidem.

[129] Vedi Linea di fabbricazione 2 – Mondifabbricazione, scheletro spazio-temporale e dominio simbolico.

[130] Braudel, F. Il presente spiega il passato, in Braudel, F., Scritti sulla storia, tr.it di Salsano, A., Milano, Mondadori, 1980, pag.224-236. Abbiamo volluto scorporare il verbo spiegare trasformandolo in s-piegare al fine di forzare ulteriormente un concetto già di per sé forte nel testo di Braudel, ossia non solo la sottolineatura di un’accessibilità innovativa nella dislocazione temporale e contestuale, ma anche una possibilità di quasi riarticolazione radicale del passato.

[131]La disquisizione etimologica su cui facciamo forza e che dislochiamo nella concettualizzazione del contingente rapporto giuridico post-imperiale si riferisce al lavoro di Robert Jacob; Jacob parte dalla teorizzazione di Isidoro di Siviglia in merito alla derivazione di Ius-brodo da Ius-diritto ribaltandola però nella derivazione della sfera giuridica da quella “culinaria”: Ius-diritto come derivazione di Ius-brodo e non viceversa. Vedi Jacob, R., Jus ou la cuisine romaine de la norme, in Droit et Cultures, n.48, 2004-2, pag.11-62.

[132] Questa è di fatto una traduzione immanentistica del principio di Le Châtelier, il quale dimostra come ogni sistema tenda a reagire ad una perturbazione impostagli dall’esterno minimizzandone gli effetti.

[133]Baudrillard, J., Le strategie fatali, tr.it di D’Alessandro, S., Milano, Feltrinelli, 2011, pag.33.

[134]Con particolare riferimento alla soppressione dell’art.18 dello Statuto dei Lavoratori e l’introduzione del contratto a tutele crescenti; questo, come abbiamo già specificato, rappresenta l’estensione della precarietà a condizione strutturale e generale sancita formalmente.

[135]Negri, A. Il potere costituente-Saggio sulle alternative del moderno, Roma, Manifesto Libri, 2002, pag,142.

[136]Non ci soffermeremo sul tema del Reddito sociale garantito o Reddito di base incondizionato (Basic Income) rimandando, tra gli altri, alle analisi di Carlo Vercellone ed Andrea Fumagalli, vedi Vercellone, C., Il reddito sociale garantito come reddito primario, in Aa.Vv. Piccola enciclopedia precaria-dai “Quaderni di San Precario”, a cura di Morini, C., Vignola, P., Milano, Agenzia X, 2015.

[137]Fumagalli, A., Moneta del comune e mercati finanziari, in Aa.Vv., La moneta del comune-La sfida dell’istituzione finanziaria del comune, a cura di Braga, E., Fumagalli, A.,  Milano, Alfabeta Edizioni-DeriveApprodi, 2015, pag.47.

[138]In questo senso indichiamo gli atti del convegno la moneta del comune (Milano, maggio-giugno 2014) come ottimo strumento di dibattito circa le esperienze e le analisi di forme monetarie e finanziarie alternative, vedi Aa.Vv., La moneta del comune-La sfida dell’istituzione finanziaria del comune, a cura di Braga, E., Fumagalli, A.,  Milano, Alfabeta Edizioni-DeriveApprodi, 2015.

Immagine in apertura: The Doors, “Strange Days”, Cover, 1967

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