Esce nelle librerie per Orthotes Editrice l’edizione italiana di “Post-scarcity anarchism. L’anarchismo nell’età dell’abbondanza”, di Murray Bookchin: una raccolta di saggi in cui l’autore riflette sul tema di una società ecologica, non gerarchica, dove la tecnologia diventa parte del progetto autonomo di una nuova abbondanza. Ne pubblichiamo la Presentazione, a cura di Federico Scirchio, ringraziando casa editrice e autore.
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Con questa nuova edizione di Post Scarcity Anarchism [1] si intende rispolverare le tematiche contenute nella raccolta di saggi che compongono questo testo, per attualizzarle nell’odierno contesto politico e sociale. I modelli di governance proposti dal campo liberale vedono nello sviluppo di nuove tecnologie una soluzione taumaturgica per risolvere i grandi problemi posti dalla crisi ecologica. Per ogni criticità socio-ecologica, che si parli di emissioni climalteranti, di perdita di biodiversità o della crisi idrica, la risposta sarà sempre che si sta lavorando a nuove tecnologie che in un futuro prossimo riusciranno a risolvere il problema in questione [2]. È in fondo questo l’afflato dell’Ecomodernismo [3].
Al contrario, sul versante opposto rispetto al progetto prometeico ecomodernista che pone l’uomo al centro, la Deep Ecology propone una visione ecocentrica dove la Natura viene dotata di una propria agenzialità. Il termine “ecologia profonda” appare per la prima volta nel 1973 nel saggio The Shallow and the Deep. Long-Range Ecology Movements di Arne Naess [4]. Principale teorico di questo filone di pensiero, Naess si ispira a Spinoza e alle filosofie orientali per concepire un’idea olistica della Natura nel suo insieme, considerando come parte attiva del complesso sistema di relazioni e interazioni che formano il mondo non solo gli esseri viventi, ma anche gli elementi biofisici come fiumi, montagne e oceani. Questo tipo di approccio, che possiamo considerare quasi animista, pone una certa diffidenza rispetto alle potenzialità della tecnologia e della scienza, sostenendo un tipo di ecologia neoprimitivista che impone di minimizzare quella che è l’azione trasformativa sull’ambiente circostante.
Il dibattito sull’ecologia profonda si è riacceso dopo che, negli ultimi anni, la nozione di Antropocene ha assunto centralità non solo negli ambienti accademici ma anche nei movimenti climatici nati a seguito
della grande ondata ecologista del 2019 [5], ispirata dalla figura di Greta Thunberg. Possiamo ad esempio cogliere sfumature di Deep Ecology nell’orientamento politico del movimento “Just Stop Oil”, non solo nell’importanza data alla pratica non-violenta, ma anche del porre la lotta climatica in posizione prioritaria rispetto alle altre problematiche sociali. Oppure, allo stesso modo, possiamo trovare profonde influenze ecomoderniste nelle tecno-utopie liberali della Green Economy che guardano allo sviluppo tecnologico come strumento utile per far convergere sostenibilità, crescita economica e abbondanza di beni di consumo.
In questo testo, pubblicato per la prima volta nel 1971, Bookchin raccoglie appunti, articoli e scritti composti tra il 1965 e il 1968, il periodo in cui, in forma ancora acerba, inizia a formulare quella che potremmo definire come una terza via rispetto alle polarizzazioni della Deep Ecology e dell’Ecomodernismo. L’ecologia sociale di Bookchin, che troverà in seguito la sua completa maturazione nella più celebre opera The Ecology of Freedom: The Emergence and Dissolution of Hierarchy [6] edita nel 1982, inizia a diffondersi per la prima volta intorno alla metà degli anni Sessanta negli ambienti libertari che estendono i principi etico-politici dell’antiautoritarismo alla natura.
L’ecologia sociale in effetti risolve il dilemma posto nel dibattito tra Ecomodernismo e Deep Ecology, dal momento che la causa della crisi ecologica non viene più ricercata nel rapporto tra Uomo e Natura, ma direttamente all’interno delle gerarchie insite nei rapporti sociali. Superando la dicotomia cultura/natura e indagando direttamente all’interno della sfera del sociale umano il problema ecologico. Bookchin sostiene che per risolvere la crisi ecologica debba prima cessare ogni forma di gerarchia e di dominio interna alle società umane.
In Post Scarcity Anarchism, nello specifico, Bookchin ci offre una panoramica in cui si delineano le basi per un possibile rapporto tra tecnologia ed ecologia, all’interno di una società post-capitalista. Egli sostiene che le forme di dominio che hanno sancito il passaggio dalle società organiche alle forme attuali di società gerarchiche siano scaturite dalla necessità di soddisfare i bisogni materiali delle comunità umane. In sintesi, le prime società umane, che egli definisce “organiche”, vengono descritte come forme di aggregazione sociale senza gerarchie, dove gli individui convivono e cooperano mutualisticamente avendo come fine la sopravvivenza della specie. Questi modelli di società tribali hanno subìto nel tempo varie trasformazioni
nel loro assetto organizzativo, introducendo via via forme di dominio con lo scopo di garantire la sopravvivenza dei gruppi. In primis, si è stabilita una supremazia dei vecchi sui giovani, in quanto detentori
della giusta esperienza per orientare le scelte collettive. In seguito, si è andata delineando nel tempo la superiorità degli uomini sulle donne, in quanto fisicamente più forti. Nel tempo queste forme di gerarchia
si sono evolute e consolidate fino a conformarsi nell’attuale divisione per classi della società. Le stesse istituzioni della nostra società riflettono al loro interno queste gerarchie e sono funzionali a mantenere un
certo ordine sociale che possa garantire progresso e sviluppo, sempre mantenendo il dominio di classe, di razza, di genere e di specie. C’è però una novità: Murray Bookchin sostiene che a fronte del balzo tecnologico avvenuto tra la metà dell’Ottocento e il secondo dopoguerra, si siano raggiunti livelli di produttività di beni e servizi in grado di proiettare le società umane in una nuova era che egli definisce di “post-scarsità”, dove il benessere materiale, dovuto a una sovrabbondanza di merci, possa potenzialmente essere garantito a tutti in egual misura, senza ricorrere alle attuali forme gerarchiche e di dominio presenti nella nostra società.
Sfogliando le pagine dei saggi contenuti in questo libro, ci troviamo di fronte a un’elaborazione che brilla di originalità per i tempi in cui questi testi sono stati elaborati. La capacità di Bookchin di anticipare
di mezzo secolo questioni che solo oggi riusciamo a comprendere nella loro profondità – come, ad esempio, il rapporto tra potere, tecnologia e ambiente – è dovuta alla sua formazione di autodidatta e al suo approccio antidogmatico, sempre dialettico rispetto alle correnti teoriche della sinistra radicale. Le grandi rotture epistemologiche che Bookchin opera sia verso la tradizione marxista sia rispetto a quella anarchica traggono origine da un approccio di studio in cui la teoria viene costantemente messa alla prova nella pratica dell’esperienza militante [7].
Dapprima marxista nel movimento operaio del primo dopoguerra, in seguito anarchico nella New Left, Bookchin ha contribuito attraverso un serrato confronto (e spesso scontro) al rinnovamento teorico avvenuto nella sinistra radicale statunitense a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta.
La rottura definitiva con la prospettiva marxista-leninista avviene durante i grandi scioperi alla General Motors del 1945-46, ai quali Bookchin partecipa come operaio metalmeccanico e militante dello United Auto Workers (U.A.W) [8], uno dei sindacati più combattivi del settore. È proprio in questo contesto che il giovane Murray inizia a comprendere che lo scontro dialettico tra capitale e forza lavoro non è più il terreno di scontro dove su cui si può favorire una rottura realmente rivoluzionaria. Ed è proprio questa constatazione che lo porterà a criticare e scontrarsi con l’arcipelago dei gruppi americani più o meno afferenti al marxismo-leninismo.
È interessante notare come siano presenti forti assonanze con quanto sostenuto oltreoceano nello stesso periodo da André Gorz nel suo Il socialismo difficile (1968) [9], dove si analizzano le condizioni di
sviluppo della classe operaia europea e i limiti del sindacalismo. Sia nell’analisi bookchiniana che in quella gorziana si prende in considerazione il passaggio dalla prima alla seconda rivoluzione industriale e i
cambiamenti politici e sociali che questa ha prodotto. Il balzo tecnologico avvenuto in questo periodo ha permesso alla società capitalista di aumentare notevolmente la capacità di produrre merci.
Pur giungendo a esiti differenti, entrambi i pensatori convergono nel sostenere che questa nuova fase di abbondanza abbia permesso al capitale di assorbire le lotte operaie all’interno di quel paradigma di crescita perpetua che sta a fondamento del capitalismo come modello economico e sociale. La critica che viene mossa da Bookchin alle organizzazioni sindacali e ai partiti operai è di non aver colto la nuova fase di opulenza prodotta dallo sviluppo capitalistico per fare un affondo direttamente sulle strutture di dominio, ormai ritenute obsolete e sorpassate rispetto allo scopo originario di dover garantire benessere.
Nella sua analisi, Bookchin giustifica l’esistenza dello Stato e dei sistemi gerarchici nella storia come mali necessari in una condizione di scarsità di mezzi materiali, mentre sostiene che in una società dell’opulenza, questi siano ormai inutili e ingiustificabili. Per comprendere meglio questo passaggio, che è l’asse centrale della raccolta che il lettore ha tra le mani, è necessario fare un breve excursus sul versante filosofico del pensiero bookchiniano.
Nel suo The Philosophy of Social Ecology [10], saggio del 1990, Bookchin esplicita quali sono le fondamenta filosofiche alla base dell’ecologia sociale, che si costituiscono intorno al concetto di naturalismo dialettico. La dialettica è per Bookchin sinonimo di conflitto, rappresenta un tipo di razionalità che non si fonda su un principio di verità rigido, come ad esempio quello delle scienze dure, ma è un processo in continuo mutamento che riesce a tenere assieme in modo organico le contraddizioni interne. Non stupisce, quindi, che la scelta operata per dare un fondamento filosofico all’ecologia sociale, che ha come suoi esiti politici la democrazia diretta e il municipalismo libertario, sia proprio quella della dialettica, con particolare attenzione agli studi di Hegel sulla logica [11].
Per Bookchin non esiste dicotomia tra natura e cultura: l’evoluzione delle società umane, compresi sviluppo culturale e tecnologico, è inserita nel più ampio procedere dialettico dello sviluppo evolutivo di tutti gli altri esseri viventi. Il graduale passaggio da quelle società preletterate, che egli definisce società organiche, prive di gerarchie e sistemi di dominio, all’attuale società gerarchica, viene giustificato proprio dalla scarsità di risorse e dalla continua sfida per la sopravvivenza che hanno dovuto affrontare i primi umani sulla terra. Questa condizione di necessità materiale ha posto le condizioni affinché venisse giustificato un certo asset sociale e politico gerontocratico, patriarcale e infine capitalistico. L’evoluzione qui delineata da Bookchin può essere schematizzata in tre stadi di sviluppo che derivano l’uno dall’altro: naturale, sociale, politico. Dallo stato di natura si assiste a un primo passaggio verso embrionali forme di socializzazione, poi all’evoluzione di queste forme che divengono via via più complesse fino a determinare la nascita della politica. Questo schema ha un’implicazione profonda che sta alla base del pensiero e delle formulazioni teoriche di Bookchin: l’evoluzione dello sviluppo sociale anticipa sempre la sfera del politico.
È proprio questo il motivo che spinge Bookchin a sostenere che, nell’epoca attuale di post-scarsità, siano poste condizioni sociali assolutamente favorevoli per una rivoluzione politica che sappia sbarazzarsi di tutti i sistemi di dominio. Questa riflessione è determinante anche per il suo passaggio dal pensiero comunista a quello anarchico, dal momento che le nuove condizioni sociali rendono obsoleto anche il momento transitorio della dittatura del proletariato delineata da Marx.
Le critiche al movimento operaio vengono esplicitate da Bookchin in modo provocatorio in Listen Marxist! del 1969 [12], dove viene criticata sia l’impostazione organizzativa classica marxista-leninista che
presuppone la costituzione di un partito d’avanguardia, sia gli obiettivi dell’organizzazione rivoluzionaria che guardano esclusivamente al campo economico come terreno di scontro rispetto al rapporto tra capitale e forza lavoro. Questo testo verrà stampato in più di centomila copie e contribuirà a creare un ampio dibattito all’interno della New Left nord-americana.
Da questa rottura, l’interesse di Bookchin volge verso i movimenti emergenti per l’emancipazione delle donne, degli afroamericani ed ecologisti. Rimanendo pur sempre saldamente ancorato, per il resto
della vita, al pensiero di Marx e Hegel, si avvicinerà sempre più a una prospettiva libertaria, influenzato da pensatori come Reclus [13] e Kropotkin [14].
Il suo interesse per le tematiche ecologiche trova spazio in un primo articolo dal titolo «The Problem of Chemicals in Food» scritto nel 1952 sotto lo pseudonimo di Lewis Herber per sfuggire alla persecuzione del maccartismo. Questo breve saggio è dedicato a evidenziare i rischi dell’uso di sostanze chimiche nella produzione alimentare. In questo testo Bookchin lancia un appello per un’azione tempestiva contro la devastazione ambientale in corso, così da poter intervenire sulla prossima crisi ecologica all’orizzonte e sul serio pericolo che minaccia la sopravvivenza umana e di molte altre specie sulla Terra. Questo articolo anticipa molti dei temi che saranno sviluppati più approfonditamente alcuni anni dopo nel suo primo libro, Our Synthetic Environment del 1962 [15].
Con la fine del maccartismo e l’inizio della guerra del Vietnam, gli Stati Uniti dei primi anni Sessanta pullulano di movimenti e controculture radicali che mettono in discussione lo stile di vita della società dei
consumi. Uno dei quartieri più frequentati dalla cultura hippy è l’East Village di Manhattan, dove vive anche Bookchin, che ormai è una delle figure di riferimento dei gruppi anarchici di New York. In questa fase viene a contatto con l’Internazionale Situazionista e, insieme a Ben Morea e altri, fonda gli “Up Against the Wall Motherfucker” [16], che descrive essere, più che un collettivo, una “banda di strada con analisi”. I Motherfuckers non sono solo un gruppo di teppismo militante dedito alla psichedelia, ma un laboratorio politico eretico dove viene messa al centro del progetto rivoluzionario la liberazione della vita quotidiana:
in sintesi una linea di pensiero capace rinnovare l’ideale utopico attraverso una politica di liberazione del desiderio.
C’è da dire che il rapporto con Morea, o altri situazionisti come Peter Berg dei Diggers di San Francisco, per quanto umanamente profondo, non è mai stato lineare da un punto di vista politico. Morea definiva Bookchin come un “trotskista che veste panni anarchici”, e questo la dice lunga rispetto a una certa matrice marxista che Bookchin non ha mai effettivamente abbandonato durante il corso della sua vita.
Post-Scarcity Anarchism è un frutto del periodo “situazionista” di Bookchin ed è la sintesi di quella fase politica in cui egli accoglie le istanze della nuova generazione sessantottina criticando l’incapacità delle organizzazioni della sinistra, comuniste e anarchiche, di cogliere la tendenza del cambiamento, rimanendo ancorate alla tradizione e divenendo quindi obsolete.
Questo testo può essere compreso se viene collocato in questo specifico contesto ed è chiaramente quasi contraddittorio con il Bookchin degli anni Novanta che riprende in mano il concetto di rivoluzione
sociale più tradizionalmente intesa. Tanto è vero che nel 1996 scrive Social Anarchism or Lifestyle Anarchism. An Unbridgeable Chasm [17] testo in cui polemizza con Hakim Bey criticando il movimento punk-rave, a suo dire facilmente riconducibile al dominio capitalista. Dello stesso anno è anche The Philosophy of Social Ecology, che lo vede prendere posizione contro le tendenze spiritualiste che permeano una parte del movimento ecologista legato alla Deep Ecology. Questa raccolta di saggi può essere ancora un’utile bussola per orientarci di fronte alla complessità delle sfide sociali e politiche che ci si pongono dinnanzi, non solo per inquadrare meglio il dibattito sui temi connessi alla crisi ecologica, ma anche per concepire un modo diverso di organizzare le città, orientare lo sviluppo tecnologico, l’attività lavorativa dell’uomo, e in generale per riscoprire la potenza del pensiero utopico che ci aiuta a prefigurare un mondo dove viene posta al centro la logica della cura in opposizione a quella del profitto.
Note
1 M. Bookchin, Post-scarcity Anarchism, Rampart Press, Menlo Park, 1971
2 Aa.Vv., An Ecomodernist Manifesto: https://www.ecomodernism.org.
3 Per una panoramica si veda L. Pellizzoni, Cavalcare l’ingovernabile. Natura, neoliberalismo e nuovi materialismi, Orthotes, Napoli 2023; D. Padovan, J.-C. Lévêque, Transizione ecologica e ontologia sociale. Natura, società ed ecologia dell’eccesso nell’Antropocene, «Philosophy Kitchen», VIII (2021), pp. 189-221.
4 A. Naess, The shallow and the deep, long-range ecology movement. A summary, «Inquiry», 16, 1 (1973), pp. 95-100. 1973. L’elaborazione di questo saggio è immediatamente conseguente alla partecipazione di Naess alla conferenza “3rd World Future Research Conference” che si tenne a Bucarest tra il 10 e il 13 settembre 1972.
5 P. Imperatore, E. Leonardi, L’era della giustizia climatica. Prospettive politiche per una transizione ecologica dal basso, Orthotes, Napoli 2023.
6 M. Bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia,
Elèuthera, Milano 2010.
7 S. Varengo, La rivoluzione ecologica. Il pensiero libertario di Murray Bookchin, Zeroincondotta, Milano 2020.
8 https://uaw.org.
9 A. Gorz, Il socialismo difficile, Laterza, Bari 1968.
10 M. Bookchin, The Philosophy of Social Ecology, Black Rose Books, Montreal, 1990.
11 G.W.F. Hegel, La scienza della logica, Orthotes, Napoli 2023.
12 Pubblicato per la prima volta come brochure da Anarchos per la conferenza SDS (Students for Democratic Society) nel 1969.
13 E. Reclus, Natura e società. Scritti di geografia sovversiva, Elèuthera, Milano
14 P. Kropotkin, Il mutuo appoggio. Un fattore dell’evoluzione, Elèuthera, Milano
15 L. Herber (pseudonimo di M. Bookchin), Our Synthetic Environment, Martino Fine Books, Mansfield 2018.
16 R. Hahne, B. Morea, Black Mask & Up Against the Wall Motherfucker: The Incomplete Works of Ron Hahne, Ben Morea, and the Black Mask Group, PM Press, New York 2011.
17 M. Bookchin, Social Anarchism or Lifestyle Anarchism. An unbridgeable chasm, AK Press, Chico 1996.
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