Il terzo commento all’intervista di Gennaro Avallone a Jason Moore (qui la prima e la seconda parte).

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L’opera di Moore intreccia il marxismo ecologico con la teoria del Sistema mondo, riconfigurandoli, all’interno della cosiddetta ‘svolta ontologica’ (Pellizzoni, 2015). A partire dagli anni ’90 la svolta ontologica ha infatti riconsiderato il rapporto tra essere umano e natura all’interno di varie discipline delle scienze sociali come la geografia (Smith, 1984), l’ecologia politica (Robbins, 2012) e gli studi femministi (Plumwood, 1993). Un obiettivo prioritario della svolta ontologica è la contestazione ed il rifiuto dei dualismi tradizionali del pensiero moderno come quello cartesiano della separazione ontologica tra mente e corpo, tra pensiero e materia. In realtà, il bersaglio della critica di Moore è una specie di dualismo cartesiano “allargato”, quello tra Società e Natura[1], al quale oppone un’ontologia dell’olismo dialettico in cui grovigli umani ed extra-umani costituiscono la rete della vita, “la natura come noi, come dentro di noi, come attorno a noi, come flussi di flussi” e come organizzazione umana (Moore, 2015: 3). Per Moore, il dualismo Natura/Società è un’ ”astrazione violenta”, poiché elimina gli intrecci essenziali e le relazioni co-costituite della nature umane e non-umane. Allo stesso tempo è un’astrazione reale, direttamente coinvolta sia a livello politico che intellettuale nell´oppressione del mondo moderno, in quanto percepisce e tratta la natura come un sostrato esterno e passivo, come un oggetto della razionalità strumentale. Per quest’autore, l’olismo dialettico permetterebbe quindi di riconoscere la costituzione di una doppia internalità, evitando di trattare la natura non umana come esterna. L’umanità-nella-natura e la natura-nell’umanità vengono costituite attraverso un doppio movimento: il capitalismo internalizza la vita e i processi planetari, inglobando continuamente le attività vitali all’interno dell’orbita del potere capitalista, e la biosfera internalizza il capitalismo influenzando e modellando la rete della vita (ibid: 13). La relazione dialettica e creativa tra le nature umane ed extra-umane attraverso cui le civilizzazioni si sviluppano per mezzo della natura-come-matrice è ciò che Moore chiama oikeios. In questo quadro post-cartesiano il valore é un modo di organizzare la natura (Moore, 2017: 28) attraverso la legge del prezzo decrescente, che – qui sono chiare le influenze del pensiero femminista e degli studi agrari – degrada e denigra sia economicamente che in un senso etico-politico delle categorie specifiche di lavoro (delle donne, della natura e delle colonie), in modo da far sì che un’altra categoria di lavoro venga valorizzata nel processo di riproduzione allargata, tutto al servizio della produzione di plusvalore. Questo è ciò che Moore chiama appropriazione, ossia tutti quei processi extra-economici in grado di garantire il lavoro non pagato (i cosiddetti quattro “fattori a buon mercato” quali forza-lavoro, cibo, energia e materie prime) al di fuori del sistema di mercato dei circuiti del capitale. Il lavoro è l’attività vitale che “lavora” all’interno delle relazioni di valore del capitalismo (Moore, 2015: 225) e include sia l’energia/forza lavoro non pagate (inclusi i servizi ecosistemici) sia la natura umana ed extra-umana ed il lavoro umano “formale”. Quindi l’appropriazione di Moore ricorda l’accumulazione primitiva come condizione ontologica del capitalismo (De Angelis, 2001; Brand e Wissen, 2012; Glassman, 2006), e include anche le “egemonie culturali e i repertori scientifici-tecnici che permettono di mobilitare la forza-lavoro e l’energia non pagate” (Moore, 2015: 95), ossia il geopotere. La teoria del valore-lavoro subisce quindi un’espansione, per cui il valore viene creato non solo attraverso lo sfruttamento della forza-lavoro, nella riproduzione allargata di plusvalore (lavoro sociale astratto), ma richiede di essere necessariamente sostenuto anche attraverso l´appropriazione dei quattro fattori a buon mercato attraverso le tecniche del geopotere (natura sociale astratta). La produttività del lavoro può aumentare sia con la crescita della composizione del valore della produzione di merci (capitalizzazione), che con l’appropriazione delle nature a buon mercato, ma per far sì che la redditività cresca, l’appropriazione deve aumentare più velocemente della capitalizzazione e della mercificazione. Ciò viene tuttavia sempre più ostacolato a seguito del declino dell’EROCI (ritorno energetico sul capitale investito), riflesso della diminuzione del surplus ecologico mondiale, ossia il rapporto tra l’appropriazione di lavoro/energia non pagata e la massa di capitale (inclusa la riproduzione capitalizzante di natura umana ed extra-umana). Due ordini di ragioni sono date per questa diminuzione. Da una parte, la quota di lavoro/energia tende a diminuire relativamente alla massa del capitale a causa della legge dell’entropia crescente, della “legge generale” della sottoproduzione di Marx, e dei tempi diversi di riproduzione del capitale e del resto della natura (ibid: 97-98). In secondo luogo, emerge il valore negativo, ossia le nature storiche che sono sempre più ostili all’accumulazione di capitale e che incarnano un insieme di limiti che non possono essere risolti attraverso le precedenti strategie di risoluzione delle crisi. In pratica, le nature a buon mercato stanno a poco a poco cessando di essere tali, ed una crisi epocale del capitalismo si prospetta all’orizzonte. Seppur secondo Moore i limiti sono contraddizioni interne piuttosto che vincoli esterni (ibid:43), le tesi del surplus ecologico decrescente e di una “contraddizione tra la riproduzione allargata del capitale e la riproduzione semplice della vita” (Moore, 2011b: 12) risuonano fortemente con la seconda contraddizione del capitalismo, ma sorprendentemente il lavoro di O’Connor non è menzionato.

Moore offre un resoconto stimolante dei modi in cui capitalismo e natura sono relazionati, facendo dialogare discipline quali l’economia ecologica, la critica eco-femminista, e il (neo)marxismo ecologico. Tuttavia, in questa sede mi concentro su tre criticità che in un certo senso indeboliscono il potenziale critico del suo lavoro, e che possono eventualmente costituire terreno fertile per ulteriori riflessioni.

Il primo punto è di tipo ontologico. Sebbene Moore miri a costruire un’ontologia post-cartesiana di olismo dialettico, la dicotomia di Cartesio interessa la mente ed il corpo, piuttosto che la società e la natura, ma Moore non spiega quali siano le ragioni e le implicazioni di una trasposizione della dicotomia società/natura sul dualismo mente/corpo (ad esempio, che tipo di concezione di società implica). Inoltre non sviluppa un’elaborazione teorica approfondita di tale ontologia, capace di dialogare con ontologie moniste compatibili, da Spinoza a Latour. E, in modo più centrale, non è chiaro come il pensiero dialettico possa essere combinato con l’olismo. Questo punto cruciale viene affrontato in modo sommario e sbrigativo attraverso il riferimento a “grovigli” di nature umane e extra-umane. Si potrebbe argomentare che difficilmente le ontologie moniste possono essere dialettiche, in quanto i grovigli e le relazioni rimpiazzano il movimento dialettico in cui le mediazioni dovrebbero aver luogo tra opposti che mantengono una certa autonomia (Evanoff, 1995). Il monismo di Moore non sembra differenziare tra prima e seconda natura, poiché tutto viene trasformato dalla natura umana. La doppia internalità di Moore non riesce a far luce sulla presunta dialettica del monismo. Se l’umanità e il capitalismo agiscono attraverso la natura (come Moore enfaticamente afferma), non si può tuttavia affermare l’inverso. Un punto cruciale è che, al contrario di quel che afferma Moore, un’ontologia monista, con la connessa fluidità ontologica della natura non risolverebbe necessariamente i problemi dello sfruttamento e della manipolazione della natura, ma potrebbe persino aggravarla, com’è evidente ad esempio nel caso del paradigma ecomodernista (cfr. Pellizoni, 2016, 2011).

Inoltre sembra esserci qualche confusione legata all’uso di termini e concetti in parte coincidenti come la rete della vita, la natura, la biosfera, e l’ambiente, ed il loro uso contestuale spesso non chiarisce le loro eventuali differenze. D’altra parte, sembra spesso che la sua analisi finisca col riprodurre quel “dualismo leggero” e quelle categorie da lui stesso criticate, usando accostamenti quali natura e capitalismo/umanità, nature extra-umane e umane. A volte si rende conto di questa contraddizione, affermando ad esempio: “sto usando un modello semplificato del capitale e della natura” (Moore, 2015: 95). Ciò evidenzia che se è vero che ogni società dovrebbe essere analizzata a partire dalla sua “natura storica”, d’altra parte difficilmente potremmo fare a meno di astrazioni e concetti fondamentali quali quelli di società e natura.

Un altro punto riguarda la questione dei limiti. Su questo tema si nota un’oscillazione tra due posizioni contrastanti, una costruttivista e l´altra realista. Da una parte il rifiuto di limiti naturali o assoluti (ibid: 80), rinvenibile in affermazioni quali “i limiti biosferici sono prodotti di una doppia internalità” (Moore, 2015: 44), “i limiti alla crescita sono storicamente specifici” (ibid: 127), “le nature sono co-prodotte dal capitalismo”, o ancora “l’entropia è reversibile e ciclica – ma soggetta a entropia crescente all’interno delle logiche specifiche di ogni civiltà” (ibid: 97). Dall’altra, la creazione di concetti che riconoscono i limiti, dal surplus ecologico e l’EROCI, al picco di appropriazione e “l’esaurimento delle frontiere della merce” (ibid: 227). Questi concetti indicano l’esistenza di una crisi epocale di un capitalismo che sta esaurendo il suo regime ecologico di lunga durata. Quest’apparente incertezza riguardo lo stato dei limiti lo porta ad affermazioni sconcertanti quali “la biosfera è in un certo senso un limite” (ibid: 44). La prima posizione sembra essere motivata dalla paura dello spettro neo-Malthusiano, che Moore giustamente vuole allontanare. Tuttavia, riconoscere che il pianeta è finito e che ci sono limiti biofisici alla crescita, può essere combinato con il riconoscimento che non è compito dell´ecologia e delle scienze naturali stabilire come gestire e allocare quei limiti. Ciò dovrebbe costituire una prerogativa di processi sociali, politici e democratici di auto-limitazione (Asara et al. 2015), in quanto la scarsità è innanzitutto costruita e attuata a livello sociale all’interno dell’economia capitalista.

Il mio terzo punto riguada i quattro fattori a buon mercato, il lavoro non umano, e il confine o divisione mutevole tra la natura sociale atratta (NSA) – garantita attraverso l’appropriazione – e il lavoro sociale astratto (LSA) – ottenuto attraverso lo sfruttamento e la mercificazione. Certamente è fondamentale tener conto dell’appropriazione del lavoro non pagato (forza-lavoro e lavoro extra-umano). Tuttavia, il concetto di NSA comporta l’accorpamento di concetti molto diversi tra loro – i quattro fattori a buon mercato (forza-lavoro, materie prime, cibo e energia) – che sono uniti solo per la loro caratteristica di essere appropriati, al di fuori dei circuiti formali del capitalismo (riproduzione allargata). Considerare il lavoro non umano in un senso strettamente biofisico, e più specificatamente in modo da sovrapporsi e confondersi con l’energia, è problematico perché da una parte riduce le funzioni biologiche ed ecosistemiche all´energia, mentre dall’altra non si tiene conto di ciò che differenzia gli esseri viventi da quelli non viventi quali le materie prime, la vita. A volte Moore si riferisce a questa dimensione di accumulazione extra-economica come “appropriazione della riproduzione” (Moore, 2015: 4). Ma nella letteratura femminista, le attività riproduttive riguardano tutte le attività rigenerative, incluse le attività e processi al di fuori dell’economia formale, che creano ciò che Salleh (2010) chiama valore metabolico, quali le forme di economia di sussistenza o solidale che non sono (del tutto) inglobate o appropriate dal capitalismo, o la redistribuzione equa del lavoro di cura. Queste categorie costituiscono ciò che Gibson-Graham (2006) chiamano l’iceberg sommerso dell’universo plurale delle attività economiche, che sfuggono al “capitalocentrismo” che invece l’ecologia-mondo di Moore sembra riprodurre. Il concetto di NSA include tutte le attività e i materiali la cui produzione avviene in condizioni degradanti e di sfruttamento per le nature umane ed extra-umane (inclusa l’estrazione e la lavorazione di materie prime a seguito di accaparramento di terre, lo sfruttamento del lavoro degli immigrati nel mercato nero ecc.), appropriate per servire la produzione capitalista di valore. Ma il valore metabolico può anche essere creato senza che venga direttamente appropriato e inglobato dal capitalismo, sfuggendo quindi alla logica del prezzo decrescente.

Infine, il rovesciamento graduale della logica del deprezzamento, che sembra sostanzialmente simile ai costi crescenti di riproduzione di O’Connor, non dovrebbe comportare una trasparenza o equivalenza tra i prezzi (crescenti) e la degradazione della natura. La gran parte delle funzioni ecosistemiche e la loro degradazione, come la perdita di biodiversità, sfuggono prepotentemente al calcolo di valore, eppure non sono meno reali né meno preoccupanti.

 

Riferimenti

Asara, V., I. Otero, F. Demaria, E. Corbera. 2015. Socially sustainable degrowth as a social-ecological transformation: Repoliticizing sustainability. Sustainability Science, 10: 375–384.

Brand. U., M. Wissen. 2012. Global Environmental Politics and the Imperial Mode of Living: Articulations of State–Capital Relations in the Multiple Crisis. Globalizations, 9 (4): 547–560.

De Angelis, M. 2001. Marx and primitive accumulation: the continuous character of capital’s ‘enclosures’. The Commoner2 (September) (available at www.thecommoner.org)

Evanoff, R.J. 2005. Reconciling realism and constructivism in environmental ethics. Environmental Values 14 (1):61-81.

Foster, J.B., B. Clark. 2016. Marxism and the dialectics of ecology. Monthly Review: An independent socialist magazine. Available here: https://monthlyreview.org/2016/10/01/marxism-and-the-dialectics-of-ecology/

Gibson-Graham, J.K. 2006. A post-capitalist politics. London: University of Minnesota Press.

Glassman, J. 2006. Primitive accumulation, accumulation by dispossession, accumulation by ´extra-economic´ means. Progress in Human Geography 30 (5): 608–625

Heynen, N., M. Kaika, E. Swyngedouw. 2006. In the nature of cities. Urban political ecology and the politics of urban metabolism. London and New York : Routledge.

Moore, J. 2015. Capitalism in the web of life. Ecology and the accumulation of capital. London: Verso.

Moore, J. 2017a. The Capitalocene Part I: on the nature and origins of our ecological crisis. Journal of Pesant Studies,44 (3): 594-630.

Moore, J. 2017b. The Capitalocene Part II: accumulation by appropriation and the centrality of unpaid work/energy. Journal of Peasant Studies, 45 (2): 237-279

Pellizzoni, L. 2016. Catching up with things? Environmental sociology and the material turn in social theory. Environmental Sociology 2(4): 312-321.

Pellizzoni, L. 2015. Ontological politics in a disposable world: The new mastery of nature. Surry: Ashgate.

Pellizzoini, L. 2011. Governing through disorder: Neoliberal environmental governance and social theory. Global Environmental Change21: 795-803.

Plumwood, V. 1993. Feminism and the mastery of nature. New York: Routledge.

Robbins, P. 2012. Political ecology: A critical introduction. Oxford: Wiley Blackwell.

Salleh, A. 2010. From Metabolic Rift to “Metabolic Value”: Reflections on Environmental Sociology and the Alternative Globalization Movement. Organization & Environment23(2) 205-219.

Smith N. 1984. Uneven Development: Nature, Capital, and the Production of Space. Oxford: Blackwell.

 

Note

[1]L’opera di Plumwood (1993) é stata precorritrice della critica del dualismo Società/Natura.

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