Il confronto tra le tematiche poste dal neo-operaismo e quelle dell’ecologia sociale permette di riflettere su ciò che in realtà è un percorso politico seguito negli ultimi anni da diversi movimenti, sostenuto da una riflessione teorica che potrebbe portare ad un nuovo capitolo della critica al sistema capitalistico.
Dal dibattito animato dal pensiero critico degli ultimi anni, è emerso chiaramente come il capitalismo debba essere considerato un regime ecologico, ovviamente come tutti i sistemi economici che lo hanno preceduto, ma con una diversa capacità di trasformazione del pianeta, per l’ampiezza dei mutamenti che produce e per i tempi in cui li produce. I sistemi economici sono stati anche forme di riorganizzazione della biosfera da parte delle comunità umane, ma finora nessuno di quelli che si sono succeduti era riuscito a portarci con tale forza di fronte al problema del limite della nostra azione. Ciò perché il capitalismo è un sistema che può produrre un serio ostacolo alla continuità della biosfera, quantomeno per come la conosciamo. L’intero dibattito proveniente dall’ecologia politica e dall’ecologia sociale ha chiarito ampiamente la questione.
Nonostante sia evidente ormai che l’analisi della crisi sociale abbia bisogno di includere pienamente la crisi ecologica, è chiaro che ancora non siamo stati in grado di elaborare in modo convincente un’analisi della natura socio-ecologica del sistema e delle dinamiche di conflitto che riguardano anche il lavoro come forza trasformatrice. Non vorrei tralasciare in questa riflessione neanche il fatto che buona parte del pensiero occidentale ha individuato nel lavoro, specificamente come forza che trasforma la natura, un elemento essenziale per la stessa definizione di essere umano. Inoltre fino a pochi anni fa l’idea del progresso riguardava esplicitamente la liberazione dalla natura e la trasformazione di tutti gli ambienti del pianeta. Buona parte della storia del pensiero socialista e comunista è stata pervasa dal principio che fosse necessario espandere il proletariato, sostenendo l’ampliamento della produzione secondo i modi della società industriale. Diversi elementi di questa tradizione sembrano ancora radicati in parte del pensiero critico, nonostante il fatto che in tutto il pianeta esistano in questo momento movimenti che stanno determinando processi di mutamento costruiti sulla critica radicale al regime socio-ecologico di tipo capitalista.
La biosfera come riserva di valore
Un punto di partenza per rivedere la questione, ripartendo dalla critica marxiana, rimane l’assunto che il capitalismo è un sistema finalizzato all’accumulazione, costruito sulla creazione di un valore che va poi accumulato nelle forme del capitale. Ciò che è cambiato però è che nei prossimi anni ci scontreremo sempre di più con la questione che il valore ha sempre una base socio-ecologica, è estratto comunque dalla biosfera e ne riduce le capacità riproduttive. Affronteremo il fatto che tutti i processi, compresa la trasformazione degli esseri umani in lavoro-vivo, sono processi socio-ecologici e pescano nella base biologica del vivente.
È evidente che a partire dalla crisi degli anni Settanta del Novecento, i processi di accumulazione si sono modificati, sicuramente si sono inasprite le modalità con cui si è realizzata la spoliazione di intere aree del pianeta. Quella crisi, che a mio parere rimane la stessa in cui ancora ci troviamo adesso, è stata determinante anche perché ha reso più evidente il legame tra il funzionamento del sistema capitalistico e la spoliazione della biosfera. È più evidente nei luoghi in cui avviene la delocalizzazione delle produzioni a elevato tasso di rischio, ma la questione centrale è che il processo si è inasprito anche nelle aree centrali del sistema, dove sono avvenuti i processi di deindustrializzazione. Non era solo la presenza della fabbrica, che comunque mantiene il proprio ruolo di istituzione totale anche per l’ambiente circostante, ma in sé il funzionamento del sistema capitalistico a determinare i processi di devastazione, la sottrazione costante di beni comuni alle comunità umane e di potenziale riproduttivo alla biosfera.
Le modalità con cui il neoliberalismo si è imposto su tutto il pianeta stanno portando progressivamente la questione a uno stadio molto avanzato, l’estremizzazione del processo produce conflitti di nuovo tipo, ma contribuisce anche a chiarire come l’idea dominante sia più radicale di quanto si potesse pensare fino a qualche anno fa. La finalità del sistema può essere cioè solo l’espropriazione di tutte le risorse, l’accaparramento di tutto ciò che si pone a fondamento del sistema stesso, la distruzione del comune in favore di grandi accumulazioni. Si sta determinando sempre di più come un sistema al collasso, che tende a spingere oltre i margini tutto ciò che non può più essere riconvertito in modo diretto, contraddicendo anche un assioma del suo funzionamento nei termini neoliberali, quello per cui tutto deve essere integrato nello spazio di mercato.
Secondo lo stesso principio, ogni crisi si scarica sulla biosfera, perché richiede l’aumento della pressione dell’azione economica. Il caso della fase finale dell’età del petrolio chiarisce il processo, perché l’attività di estrazione è diventata via via più devastante, fino a giungere ad un modello che sostiene grandi interventi infrastrutturali al solo scopo di sostenere la finanziarizzazione del sistema, di far apparire il petrolio come un’industria con molti anni davanti a sé.
Per la prima volta nella nostra storia ci troviamo dunque di fronte al limite, abbiamo trasformato in qualcosa di tangibile l’idea prima del tutto teorica della fine della nostra storia e il nostro sistema continua, in termini coerenti, a riprodurre crisi ambientali che colpiscono in modo asimmetrico ceti sociali diversi. In questo quadro, credo che permanga nel senso comune anche una certa diffidenza nei confronti della critica ecologista, legata soprattutto alle modalità con cui il neoliberalismo ha saputo utilizzarne alcuni temi e all’ambigua collocazione dei partiti ecologisti europei. Il dibattito sulla via catalana alla decrescita risente probabilmente di questa eredità.
Una parte fondamentale dell’elaborazione di Martínez-Alier è l’assunto di fondo dell’ecologismo de los pobres, quello per cui i ceti subalterni sono i più colpiti dalle crisi ecologiche. Gli strati più poveri della popolazione mondiale subiscono i danni più diretti delle crisi, partecipano alle attività produttive più inquinanti e vivono nelle aree più problematiche. Questo modello, che rappresenta buona parte della storia del colonialismo, è ormai evidente anche sul territorio europeo. Non penso si possa definire in modo molto differente, ad esempio, la storia di Taranto. La crisi ecologica è sostanzialmente un problema principalmente per i ceti più deboli e per i movimenti sociali, non può essere considerata una questione separata dalla critica sociale.
Rivedere la teoria del valore
Emanuele Leonardi ha posto a più riprese su queste pagine alcune questioni centrali per l’ecologia politica e per l’interpretazione della fase storica attuale, invitando a rivedere alcuni assunti dell’analisi critica, soprattutto invitando a riflettere sulla relazione tra neo-operaismo e questione ecologica. Credo che una soluzione possa essere quella di rivedere la teoria classica del valore, di rileggere quella parte della teoria che appartiene al pensiero marxiano, seguendone l’evidente tendenza dialettica. Ritengo che si possa iniziare questo percorso da un problema che si pone ormai da decenni, cioè quello della necessità di riformulare la teoria del valore in termini socio-ecologici, in termini cioè che contemplino il modo in cui tutta la biosfera è stata convertita in valore capitalistico. Ciò può avvenire solo considerando la base ecologica del sistema e incorporando anche una teoria del conflitto in tale prospettiva. Penso sia chiaro che non è più sufficiente integrare i due aspetti, pensare che ci sia anche il problema della natura tra le varie questioni in campo, ma che sia necessario rivederli alla luce delle prospettive ecologiche e della possibilità della sopravvivenza della biosfera.
La riflessione verso cui ci spinge tutto il dibattito è che la caduta tendenziale del saggio di profitto sia all’origine del sovrasfruttamento ambientale; ogni passaggio di fase colpisce la forza lavoro e la base naturale del sistema, spinge cioè nella direzione dell’estrattivismo e del sovrasfruttamento. Il processo è connaturato all’affermazione del capitalismo e ne scandisce i ritmi di crisi ed espansione. Fin dall’inizio, la base del sistema economico è però la biosfera, così come ne rappresenta la riserva costante per tutta la sua storia, quindi il problema è effettivamente più ampio, non riguarda le fasi di crisi, ma la natura stessa del sistema. Ogni riduzione di profitto si scarica sull’aumento dello sfruttamento delle risorse naturali e del lavoro vivo, cioè della base biologica del sistema. Ogni elemento di quel processo, caratterizzato dalla necessità di aumentare i margini di profitto, tende a distruggere in proporzione crescente le riserve della biosfera. Ogni volta è peggio e si avverte su scala più ampia, adesso siamo arrivati al punto in cui ogni passaggio si avverte su scala globale.
La produzione di valore mantiene quindi il suo ruolo centrale: l’estrazione di valore dalla natura produce ricchezza, anzi ne è il presupposto; secondo lo stesso principio tutti i processi di arricchimento devastano l’ambiente e tendono a scompaginare in profondità gli assetti socio-ecologici e storici. Tutti i processi capitalistici tendono inoltre a sussumere l’esistenza e la riproduzione alla produzione di valore. Il sistema globale sopravvive su queste basi e si sta trascinando stancamente lungo linee drammatiche e prive riferimenti alla situazione reale. Sembra sostenuto solo dalla finanziarizzazione, come dimostrano, ad esempio, i vari casi di conflitto sociale per la costruzione di grandi opere, inutili sotto il profilo strettamente produttivo.
Nuovi termini per il conflitto tra capitale e biosfera
Se il capitale procede riducendo le possibilità di riproduzione e costruisce un margine sempre più ampio, una linea di esclusione dalla ricchezza che si allarga a dismisura, significa che l’intero sistema-mondo sta affrontando un mutamento di enorme portata. Andiamo quantomeno verso una forma di organizzazione capitalistica differente, verso un sistema che mantiene tutte le forme più aspre del dominio capitalistico, senza preoccuparsi di costruire egemonia. Il limite ecologico ha assunto un ruolo nuovo, più immediato e più profondo, coinvolge la questione della creazione della forza lavoro capitalistica e definisce chiaramente l’orizzonte prossimo dell’intero sistema.
Il punto di unione della riflessione può essere dato dal fatto che solo la capacità di condurre il conflitto politico sul limite possiede il potenziale di riscrivere integralmente lo schema di funzionamento della nostra società. Poiché l’alternativa al capitalismo è un sistema che non estragga valore dalla biosfera, le modalità per costruirlo sono l’opposizione ai modelli di sfruttamento attuali. Ciò a cui stiamo partecipando è proprio questa revisione generale del pensiero di opposizione e i conflitti ambientali stanno portando a galla l’insieme delle contraddizioni della relazione tra sistema capitalistico e biosfera.
In questo quadro anche l’idea della re-invenzione radicale del lavoro, sostenuta da Gorz, si rivela essenziale per l’uscita dal sistema. Allo stesso modo la riflessione sui saperi riproduttivi non può prescindere da una seria riformulazione delle possibilità del general intellect, dal fatto evidente che tali saperi possono essere uno dei luoghi di conflitto e di espressione della nuova società. La radicalizzazione del problema, la crisi socio-ecologica globale, facilita la costruzione di un campo comune: poiché difendere il vivente è una questione connaturata alla costruzione di una società futura, l’alternativa al capitalismo può essere costruita solo al di fuori della produzione di valore attraverso la spoliazione e solo nell’identificazione dei saperi riproduttivi come alternativa sociale concreta.
Immagine in apertura: Ilva, panorama, Taranto
Mi permetto di segnalare u questo tema il libro di Amitav Ghosh La Grande Cecità – Il cambiamento climatico e l’impensabile in particolare la parte seconda (Storia) e la parte terza (La politica)