Ieri sera ho incontrato un ragazzino, Matteo, che senza volerlo (o forse no) mi ha innescato una serie di riflessioni che voglio condividere con voi.

Il Matteo è uno sbarbato di 16 anni come ve ne sono tanti nella nostra metropoli. Ascolta musica trap di produzione locale, veste i calzoni della tuta stretti alla caviglia e le Nike, gira sempre con lo zainetto. Lo raggiungo in mezzo a piazza Bottini, circondato da agenti da polizia e da alcune guardie dell’ATM con il loro sorrisetto compiaciuto da aspiranti tutori dell’ordine. Tutto intorno bottiglie rotte e vetri. Il Matteo è arrabbiato, e grida le sue colpe “sì, ho rotto io il vetro del pullman e vedi questi soldi?” e mi mostra 5 euro : “Li ho rapinati”. “Ho fatto delle rapine sul treno, tutti li ho picchiati” grida ancora con questo accento strano che poi scoprirò essere dovuto allo stato di alterazione ed alla lingua romena parlata in casa, dalla mamma che è moldava. I poliziotti osservano tra il divertito ed il disinteressato.

Il poliziotto più attivo mi comunica la più grossa scoperta effettuata: “E’un minore”. Come se non si capisse, mi verrebbe da dire: il Matteo sembra uscito da una scuola media due minuti prima. Con questa corazza da soldatino che stona col viso ancora da fanciullo. Chiedo: “Cos’è successo?” “Sono ubriaco!” risposte secche, sassate. “Ho bevuto delle vodka!” “Quanta?” “Due bottiglie! Mi servono soldi, sono senza soldi, io rubo i soldi!” “Matteo chi è che ti ha venduto la vodka?” “L’ho rubata! Non ho soldi! Io faccio rapine!”. Lo accompagno sull’ambulanza mentre stringe nelle mani il telefono da cui esce la solita musica trap, il cantante declama le solite storie di disagio, di cocaina. “Matteo dove
abiti?” “Io ero in comunità a Vimodrone, alla Kairos ma sono scappato. Li ammazzo tutti, non mi davano i soldi”. Prendo la palla al balzo: “Il don Claudio è una brava persona, li in comunità c’èra Baby Gang” (un altro trapper rubato al marciapiede dopo anni di violenze e dipendenze). “Quelli li ammazzo tutti, come anche al Beccaria, li picchio tutti” “Cosa facevi al Beccaria?” “Mi hanno messo al Beccaria perchè ho fatto otto rapine, in tutto ho rubato 100 euro! (cento…..)Io ho bisogno di soldi! Non ho i soldi! Li vedi i capelli? Come li taglio se non ho
soldi? E le sigarette? Come faccio senza soldi?”.

Dato che io e il mio collega Fabio siamo ormai suoi amici perchè “Voi mi rispettate e allora io rispetto voi. Mica come quelli che al Beccaria mi rubavano i vestiti! Mica come quei carabinieri- e indica i due vigilanti dell’ATM- che mi
hanno buttato per terra e picchiato! Ho picchiato la mano sui binari! Ma
io li ammazzo tutti! Io non sono uno che parla!” e mi indica sulla guancia il più evidente di una serie di tatuaggi fatti con gli spilli al Beccaria, tre punti disposti a piramide che garantiscono sul fatto che lui non parla con gente in divisa. “Posso ascoltare la musica? Dopo posso fumare? Mi rilassa! Posso mangiare una merendina?” e mi chiede queste cose come se fossi suo papà. “Ma adesso torno in comunità?” “No, andiamo in ospedale”. A Niguarda, mi viene comunicato dal 118, e penso subito (giustamente) dal neuropsichiatra infantile, per competenza
territoriale. “Mia mamma mi vuole bene, non sa niente. Mio padre è a Lodi, non vuole sapere nulla di me e mia madre. Io andavo a scuola, avevo voti alti ma poi ho smesso, servivano soldi, mia madre è povera capisci? Non avevamo soldi! Ma io ammazzo tutti!” e indica intorno a sé cercando con lo sguardo qualcuno che non c’è. Un fiume di rabbia contro la vita, che esce a getti come il vomito nella peggiore colica di stomaco.

Arriviamo a Niguarda. Finalmente, dopo diversi solleciti, gli agenti di PS, dimostrando una certa dose di umanità, riescono a mettere insieme i pezzi della vicenda e si decidono dopo tre quarti d’ora a fare quello che io e il Fabio stiamo facendo da mezz’ora, cioè provare ad indagare la vita del ragazzo. Cercano il numero di telefono della comunità, in un raro momento di impegno civico e rendendosi forse conto che da quella situazione non usciranno facendo il solito trasferimento alla camera fermati di via Fatebenefratelli, ma che la cosa,se gestita approssimativamente, rischi di andare veramente per le lunghe.
Riecheggia nella loro mente la loro stessa voce: “E’un minore”.

Arriviamo al triage: “Cosa ti è successo” chiede asciutto l’infermiere mascherato antivirus guardando schifato i tatuaggi sull’avambraccio e il telefono nella mano del Matteo che continua a suonare la nenia trap. “Ho fatto delle rapine sul treno a Lambrate! Ho tirato un pugno al pullman! Ho picchiato tutti! I carabinieri mi hanno fatto sbattere sui binari!”. Con mio stupore, non ci fa accomodare in psichiatria ma in chirurgia. Ci avviciniamo all’accettazione. Ecco tre delle eroiche combattenti della pandemia che si avvicinano, anch’esse con aria schifata, con le loro maschere, visiere, copricapi da piratesse, così di moda nei reparti ospedalieri. “Brambilla!” chiama la piratessa responsabile del vascello antivirus. Il Matteo si sporge dal banco: “Mi chiamo Matteo xxxx!”. La piratessa, gelida: “Si, attenda pure lì, tra poco la chiameremo e verrà visitato anche lei”. Non ci credo! Gli agenti della volante e noi soccorritori gli diamo del tu, potremmo essere tutti suoi genitori, e questa gli dà del “lei”. Di istinto, lo abbraccio mettendogli una mano sulla spalla. Dopo due minuti tornano: “Prego si accomodi e levi la
giacca”. “Matteo leva il giubbino che ti misurano la pressione” (io); “Matteo se fai il bravo poi ti regaliamo le sigarette” fanno coro i poliziotti. E intanto mi chiedo: “Ma il neuropsichiatra infantile?”.

Porgo la relazione di soccorso alla piratessa la quale si ritrae schifata: “Aspetta che metto i guanti, anzi portatelo di là in rianimazione che è vuoto e lasciala sul tavolo”. Il Matteo si immerge in Instagram e manda messaggi a tutti i suoi amici “Mi hanno arrestato, fra! Ho bisogno di soldi! Mi hanno fatto male, fra!”. Torna la
piratessa: “Attendete quo, arriva l’ortopedico”. Ah, il ragazzo ha bisogno dell’ortopedico. Niente fratture, lussazioni e distorsioni. Solo ecchimosi. La risposta del servizio sanitario nazionale al disagio del Matteo è una visita ortopedica…….

Saluto pugno contro pugno il mio amico Matteo, tentato di regalargli dieci euro ma poi soprassiedo per timore che gli vengano requisiti al rientro in comunità o al Beccaria (perchè non si sa bene il giudice cosa deciderà). Ci avviamo con il Fabio, uscendo il triagista mi grida “Oh ma non gli hai dato 4 pugni a sto pirla?”. Non mi trattengo. Ma rispondodiplomaticamente: “Io 4 pugni li darei non a un minore in difficoltà, ma a certi miei coetanei infermieri che si credono superiori e fanno gli sboroni quando vedono persone più sf ortunate”. E via esco, se no litigo.

Grazie Matteo, perchè in due ore hai perfettamente sintetizzato tutta la
disumanità di questa società. Ma anche mi hai aiutato a rimettere in ordine sulla mia agenda mentale i punti che devono caratterizzare la società della cura che vogliamo immaginare e costruire. Innanzitutto, la prevenzione del disagio sociale e famigliare; poi la lotta alla dispersione scolastica; la lotta per la salute fisica e mentale di tutti, in particolare dei soggetti più fragili, e la lotta per il reddito.

Matteo, puoi dire di avere ricevuto le attenzioni degli “eroi in prima linea contro il covid”! Stavi male ma cosa pensavi di meritare tu, non essendo afflitto da alcuna patologia meritevole di cure profittevoli economicamente? Cosa pensavi di rappresentare tu, con le tue difficoltà famigliari, sociali, col tuo grido di dolore per l’indigenza di tua madre e la fuga di tuo padre, con la tua richiesta di affetto, agli occhi di questi combattenti per il destino dell’umanità, di questi
sudditi della scienza, di questi tecnocrati? Unicamente un isolato caso
da ortopedico (così avrai avuto il tuo bendaggio rigido sulla mano).

Forse ti sei illuso che qualcuno potesse farsi carico del tuo futuro, ma si sa, non siamo ingenui, nella società di Instagram (lo dice la parola stessa), l’importante è consumare il presente e le fotografie e i video che lo rappresentano, in una grottesca rappresentazione col copricapo da pirata con la spada sguainata verso il virus, e tanto poi si crepa e tutto finisce.

Povero Matteo, perchè chissà poi dove si trova adesso e cosa sta facendo
la tua mamma, che in ambulanza mi hai detto che ti vuole bene ma non ha
soldi. Speriamo possa lavorare,senza soggiacere ad alcun ricatto, per
poter tornare a vivere con te…..

Il reddito devi sapere che non è un diritto, ma un privilegio: e lo stai imparando sulla tua pelle (a cominciare dagli sfregi del Beccaria che porti sul braccio). Questa è una società che non protegge i deboli come te, perchè i soldi li destina in strutture e infrastrutture. Le persone, le donne e gli uomini devono limitarsi ad indossare la mascherina, vaccinarsi e stare zitti a casa (anzi ringraziare).

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