Domani, 8 dicembre, si riunisce a Bruxelles il Consiglio europeo “Economia e Finanza” (Ecofin), composto dai ministri dell’Economia dei Paesi dell’area euro. Il Consiglio cercherà di raggiungere un orientamento generale sulla proposta di riforma del quadro di governance economica. Il quadro di governance economica dell’UE è un insieme di norme comuni per le politiche di bilancio ed economiche nazionali che si applicano a tutti gli Stati membri. Queste norme dovrebbero, in teoria, garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche e promuovere la convergenza, correggendo al contempo gli squilibri macroeconomici. Nella realtà, si pensa di ridefinire un nuovo patto di stabilità, dopo che quello vigente era stato sospeso a causa dell’emergenza sanitaria. Esso sarà finalizzato al controllo dei conti pubblici dei paesi più indebitati. Non a caso la riforma comprende tre proposte: 1. un regolamento relativo al coordinamento efficace delle politiche economiche e alla sorveglianza di bilancio multilaterale; 2. un regolamento per l’accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi; 3.una direttiva relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri. “L’aspetto grave è il seguente: chi esercita il governo macroeconomico? Possiamo anche concepire che gli Stati (regioni) che fanno parte di una comunità integrata debbano avere un bilancio autonomo in pareggio, ma ciò è plausibile alla sola condizione che ci sia una autorità superiore che possa svolgere un ruolo macroeconomico adeguato e guidare il sistema economico. Diversamente, si ordina (programma) la stagnazione e, nell’attuale consesso internazionale, non è certo la migliore politica economica da realizzare“.

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Il nuovo Patto Europeo, sostanzialmente, punta al pareggio di bilancio. Il negoziato sembra condurre a questo esito: per i Paesi con un deficit di oltre il 3% o con un debito di oltre il 60% del Pil, la Commissione Europea mette a punto una “traiettoria tecnica” dei conti pubblici su un periodo di quattro anni, allungabile di altri 3. L’obbiettivo è di portare il debito su un percorso discendente, così come di portare e di mantenere il disavanzo sotto il 3% del Pil. Inoltre, si vuole assicurare che, superato il periodo di quattro anni, sia in effetti su un percorso calante. Una volta che il deficit sarà ridotto a livelli inferiori al 3%, tutti i paesi membri, indipendentemente dal loro livello di debito pubblico, saranno costretti a mantenere un margine di manovra (clausola di salvaguardia) che permetterà loro di poter rispondere a eventuali shock economici senza per questo aumentare il disavanzo oltre il 3% del Pil. Queste stringenti condizioni, in realtà, delineano un piano di austerità per la maggior parte dei Paesi europei. I paesi che superano il deficit del 3% nel 2024 (stima della Commissione Europea) sono: Belgio, Spagna, Francia, Italia, Malta, Slovenia, Romania, Slovacchia, Polonia, Repubblica Ceca; i paesi che superano il livello di debito pubblico del 60% del Pil sono: Belgio, Germania, Grecia, Spagna, Croazia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia. In altri termini, almeno la metà dei paesi membri non rispettano i criteri di deficit e/o debito. Il nuovo Patto, quindi, prefigura una riduzione della domanda pubblica, con tutti gli effetti macroeconomici dal lato dei consumi e degli investimenti.

L’aspetto grave è il seguente: chi esercita il governo macroeconomico? Possiamo anche concepire che gli Stati (regioni) che fanno parte di una comunità integrata debbano avere un bilancio autonomo in pareggio, ma ciò è plausibile alla sola condizione che ci sia una autorità superiore che possa svolgere un ruolo macroeconomico adeguato e guidare il sistema economico. Diversamente, si ordina (programma) la stagnazione e, nell’attuale consesso internazionale, non è certo la migliore politica economica da realizzare.

L’Europa non comprende quanto sia profonda la debolezza strutturale di tutti i Paesi europei. Italia e Germania, le regioni manifatturiere europee, hanno nel corso degli ultimi 50 anni ridotto i propri investimenti e qualificato la crescita sulla base della riduzione dei costi di tutti gli input: materie prime la Germania e costo del lavoro l’Italia.

La nuova geografia economica internazionale vede, al momento, solo due-tre grandi giocatori: US, Cina e India. In effetti, queste tre potenze economiche travalicano la forza di qualsiasi regione europea: sono troppo piccole e non possono mobilizzare un capitale e un lavoro sufficiente per misurarsi con questa nuova geografia economica. Il nuovo Patto europeo sembra addirittura assecondare questa prospettiva. Il Ministro Giorgetti continua a chiedere la golden rule, ma questa giusta rivendicazione è isolata in Italia e in Europa. In effetti, la sfida ambientale e tecnologica che l’Europa dovrebbe affrontare necessita di investimenti importanti e superiori ai 750 mld di euro legati a Next Generation EU; se questi investimenti entrano nel deficit, significa che l’Europa non è realmente interessata a questa grande sfida di struttura. Dubito che il Ministro abbia una qualche pulsione europea, ma almeno prova a introdurre una proposta alternativa. Ovviamente evita di proporre ciò che sarebbe più utile: un bilancio pubblico europeo non inferiore al 5% del Pil, finanziato da entrate autonome e teso a sostenere i così detti beni pubblici europei. Questo orizzonte, l’unico che possa delineare un’Europa almeno capace di sedersi al tavolo della trattativa della nuova geografia economica, giorno dopo giorno, diventa sempre più lontano e sembra delinearsi un patto financo peggiore di quello che deve essere riformato.

Forse un po’ di storia economica può aiutare a comprendere la sfida che dobbiamo affrontare. La dinamica del Pil tra il 1970 e il 2022, in realtà, potrebbe essere divisa in due grandi sottoperiodi: 1970-2000 e 2001-2022. Infatti, la crescita del Pil fino al 2000 rimane saldamente al di sopra del 2%, pur riducendosi nel tempo, ma dopo il 2000 i tassi di crescita si dimezzano. Che cosa si nasconde dietro il “velo” di questo brusco rallentamento della crescita, particolarmente visibile nel Pil pro-capite? Il capitalismo è un modo di essere delle società che non si distrugge nelle crisi, ma evidentemente si trasforma e, una volta trasformato, dà luogo a una nuova cultura capitalistica e a nuovi rapporti tra il capitale, Stato e tra gli stessi capitalisti. La politica economica dopo il 2000, soprattutto in Europa, cambia segno e contenuto. In questo modo l’incertezza (aspettativa) è “stabilizzata/sterilizzata”, nel senso che gli imprenditori e la politica pubblica possono in sicurezza scegliere solo il come e cosa produrre; l’incertezza diventa sostanzialmente un esercizio ragionieristico legata alla sola allocazione delle risorse scarse. In qualche misura il Pil potenziale è solo quello realizzabile, non un reddito che muta quali-quantitativamente i consumi e gli investimenti che, tecnicamente, evolvono nel tempo. Le politiche economiche dopo il Duemila hanno, sostanzialmente, associato la domanda effettiva alla domanda potenziale e questa combinazione poteva fare a meno della così detta “socializzazione degli investimenti”, cioè un modo per (1) colmare una parte della differenza tra risparmio e investimento (2) anticipare la produzione di beni e servizi.

Con il Duemila finisce la spinta “keynesiana e thatchereganiana”, che erano due modelli di governo del sistema economico, e inizia l’era dei tassi di crescita compatibili. Con il duemila inizia una Storia diversa da quella realizzata da Reagan e/o Roosevelt: inizia l’era della compatibilità. L’aspetto drammatico di questo potenziale assetto europeo è la resistenza al cambiamento necessario per misurarsi nell’arena internazionale. Se il nuovo Patto è quello delle schede di discussione, tra non molto non dovremo discutere della rigidità fiscale dei bilanci pubblici, piuttosto dell’eutanasia del progetto europeo di Spinelli.

 

PIL, tassi di variazione medio per periodo
1971-1980 1981-1990 1991-2000 2001-2010 2011-2022
Francia 3,6 2,5 2,1 1,3 1,1
Germania 2,9 2,3 1,9 0,9 1,4
Italia 3,8 2,4 1,7 0,3 0,3
Spagna 3,7 2,9 2,8 2,1 0,9
Inghilterra 2,2 2,9 2,6 1,5 1,7
Stati Uniti 3,2 3,3 3,4 1,8 2,1
 Investimenti fissi lordi, tassi di variazione medio per periodo
1971-1980 1981-1990 1991-2000 2001-2010 2011-2022
Francia 2,8 2,7 1,8 1,3 1,9
Germania 1,7 2,0 1,9 -0,1 1,8
Italia 2,7 2,2 1,6 0,0 1,1
Spagna 1,8 5,5 3,4 1,1 0,5
Inghilterra 0,5 4,6 2,4 0,8 2,6
Stati Uniti 3,8 3,6 5,5 0,2 3,8
Nostra elaborazione su dati OECD.Stat

 

Immagine in apertura: L’Europa del 1595 disegnata dal cartografo Abraham Ortelius di Anversa

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