Pochi mesi fa la casa editrice Guerini e Associati ha pubblicato un libro contenente un’importante indagine sul lavoro nel settore turistico ed in particolare su quello svolto all’interno degli alberghi veneziani. È stato scritto da Francesco Eugenio Iannuzzi (ricercatore attualmente assegnista presso l’Università di Padova) ed è aperto da un titolo che apparentemente non sembra richiamare direttamente questioni connesse allo sviluppo turistico: Assemblare le differenze.  Una lettura attenta restituisce invece il senso di questo binomio e la connessione con il lavoro spesso precario e sottopagato tipico delle economie a forte vocazione turistica. I due termini che lo compongono sono fondamentali per comprendere il punto di vista dell’autore, che emerge nelle oltre 200 pagine di questo volume: da un lato è richiamato il concetto di assemblaggio, utilizzato per descrivere la combinazione di più elementi mobili con/in uno spazio fisso, e dall’altro quello di differenza, fondamentale per gli studi sulle disuguaglianze ed il ruolo delle soggettività al lavoro, concetto caro alle prospettive di analisi critica focalizzate sull’idea di intersezionalità.

L’autore rielabora in queste pagine i risultati della sua ricerca di dottorato, condotta tra il 2014 e il 2018 presso l’Università di Padova e avente per oggetto dello studio ciò che è esplicitato chiaramente sin dal sottotitolo: “Il lavoro nell’industria alberghiera veneziana”. Si tratta di una ricerca focalizzata sul ruolo del lavoro o meglio dei lavoratori all’interno dell’industria turistica, nel contesto di una città d’arte come Venezia da secoli al centro dei flussi di attraversamento turistico locali e internazionali. L’obiettivo è presto detto:

“Questo volume mira a <riconsegnare> ai lavoratori e alle lavoratrici un ruolo meno marginale all’interno sia del mondo del lavoro sia del fenomeno turistico, finora dominato dalla figura del consumatore-turista”(p.15)

Personalmente ritengo il libro di Iannuzzi arrivi ai lettori in un momento particolarmente importante per gli studi sul turismo: l’estate che ci siamo da poco lasciati alle spalle ha segnato mio avviso la ripresa definitiva di una tra le più pesanti industrie a livello globale, dopo che i provvedimenti per il contenimento del contagio da Covid-19 ne avevano determinato il temporaneo arresto o un sostanziale rallentamento. Non la fine della pandemia, ma la sua gestione neoliberale ha consentito la ripartenza di questo come degli altri settori produttivi. Eppure, questo periodo di euforia produttivista è stato anche caratterizzato nelle sue fasi iniziali da una roboante discussione pubblica centrata sulla disponibilità al lavoro di più o meno giovani lavoratori stagionali, un dibattito animato quasi esclusivamente dalle voci provenienti dal governo e dalle imprese.

Sulla maggior parte delle principali testate giornalistiche nazionali nei mesi di maggio e giugno si rincorrevano articoli che, a partire dalla riproposizione delle lamentele degli imprenditori del settore circa le supposte difficoltà incontrate nel reperire forza lavoro, tentavano di spiegare il fenomeno facendo riferimento alle possibili distorsioni generate dall’introduzione dello strumento del reddito di cittadinanza.

“Una delle ragioni più citate per spiegare la mancanza dei lavoratori stagionali è la possibile concorrenza del reddito di cittadinanza, che dissuaderebbe molte persone dall’accettare un lavoro. Il ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ha detto che l’intervento dello Stato dovrebbe essere temporaneo” (Il Post, 29/06/21).

Eppure, i dati pubblicati dall’Inps alla fine di agosto sembrano smentire l’ipotesi secondo cui gli strumenti di sostegno al reddito avrebbero inciso sulla disponibilità di lavoratori, descrivendo una situazione ben diversa: nel solo mese di maggio 2021 il numero di rapporti di lavoro stagionale attivati superava di gran lunga i livelli registrati due anni prima, nella fase contraddistinta dalla crescita significativa e duratura dei flussi turistici che ha preceduto le battute d’arresto pandemico. La stessa tendenza sarebbe stata confermata, secondo l’aggiornamento fornito sempre dall’Inps, anche nel mese di giugno. Per quanto i dati fotografino soltanto la crescita e non lo stock complessivo e sia lecito supporre che le aziende provenissero da una situazione in cui la presenza di forza lavoro stabile era diminuita notevolmente a causa delle chiusure imposte dal governo, appare comunque difficile sostenere l’esistenza di una tendenziale indisponibilità al lavoro in una fase di crisi economica come quella che stanno attraversando i Paesi, come l’Italia,  colpiti dalla pandemia sin dalle prime fasi di diffusione del virus.

I due capitoli che aprono il libro si configurano sostanzialmente come un inquadramento generale che, oltre ad introdurre lo studio empirico successivo, situa la prospettiva dell’autore all’interno di un dialogo tra correnti di analisi focalizzate sulla divisione del lavoro ed il ruolo delle soggettività coinvolte. Dopo aver descritto alcune tra le particolari caratteristiche di un settore come quello turistico alberghiero in cui la simultaneità tra produzione e consumo impedisce processi di delocalizzazione e il valore attribuito alle relazioni umane rende complesso il passaggio verso una maggiore automazione produttiva, l’autore richiama alcune tra le più importanti teorie proprie della sociologia del lavoro descrivendone limiti e punti di forza. Tra queste compaiono inizialmente quelle che si richiamano esplicitamente alla cosiddetta economia dei servizi ed al lavoro emotivo, mentre nel secondo capitolo il focus si sposta sulle prospettive di analisi sistemica e centrata sulle relazioni spaziali. Tra queste l’idea di Wallernstein di sistema-mondo o le teorie delle catene del valore e delle reti di produzione globale, che hanno provato a spiegare l’organizzazione del lavoro a partire da una prospettiva attenta alle geografie del capitalismo. A questi modelli di analisi l’autore riconosce il merito di aver individuato alcune tendenze fondamentali per leggere le parziali trasformazioni del sistema capitalistico avvenute nell’ultimo mezzo secolo, ma sostiene che la frammentazione che distingue la situazione attuale del mondo del lavoro necessiti di lenti più attente all’eterogeneità delle condizioni soggettive e a come queste si compongano con la segmentazione sociale in atto dando vita a una divisione del lavoro che non risponde più soltanto alle gerarchie di potere verticale o a precise e stabili divisioni geografiche. Nel concetto di moltiplicazione del lavoro introdotto da Mezzadra e Neilson così come nei differenti approcci che compongono la teoria dell’intersezionalità ritrova una risposta a questa esigenza. Il primo descrive un mondo del lavoro frammentato, un “campo composto da soggetti molteplici, attraversato da particolarismi e pluralità e. per questo impossibilitato ad offrire una propria iconografia come soggetto singolare ed omogeneo” (p.80). La seconda invece sviluppa una prospettiva che, a partire dallo studio delle differenze e disuguaglianze sociali, si focalizza non sulle singole categorie di classe, genere e nazionalità, ma sulle intersezioni tra queste ed i differenti e mutabili livelli di discriminazione che producono. Tra i vari approcci possibili all’interno della prospettiva intersezionale, Iannuzzi sostiene che potrebbe essere particolarmente utile da un lato quello dell’intersezionalità incarnata, per dar conto della mediazione che il corpo agisce in questi processi, e dall’altro gli approcci intra e inter-categoriali che sono invece in grado di spiegare il carattere talvolta strutturale e talvolta contingente delle disuguaglianze.

La seconda parte del libro entra nel merito della ricerca svolta sul campo dall’autore, dapprima descrivendo sia il contesto veneziano e i processi trasformativi che da qualche decennio lo interessano sia il ruolo che, a dire dell’autore, gli alberghi rivestono all’interno delle economie a forte vocazione turistica: quello di spazi in grado di riprodurre su piccola scala fenomeni che normalmente si presentano a livello macro-sistemico, rendendo quindi più semplice la loro osservazione.
È a partire da questa ipotesi e dalla suddivisione degli alberghi in due macro-gruppi definiti con le etichette di lower e upper class (distinti in base alla classe sociale di riferimento degli ospiti a cui il servizio è rivolto) che l’autore inizia la raccolta di informazioni attraverso interviste a lavoratori, manager e sindacalisti individuati attraverso un campionamento non probabilistico a palla di neve.

Alcuni stralci delle decine di interviste condotte sono riportati dall’autore a supporto dell’analisi, per descrivere la divisione del lavoro interna agli alberghi ed il modo in cui anche le rappresentazioni di datori di lavoro e turisti, così come le autorappresentazioni degli stessi dipendenti, concorrono alla definizione di regimi di lavoro differenziati tra categorie ed all’interno delle stesse.
Il capitolo che precede le conclusioni pone l’accento invece sugli aspetti relativi alle contraddizioni, ai conflitti e alle mobilitazioni che attraversano queste realtà, mettendo al centro il contributo di lavoratori e sindacalisti nel tentativo di spiegare la ragione per la quale un settore contraddistinto da una naturale resistenza ai processi di sostituzione o rimozione di lavoratori in loco e dalla potenziale grande efficacia della leva dello sciopero possa invece essere caratterizzato da un’estrema frammentazione e debolezza della forza lavoro.

Il libro di Francesco Eugenio Iannuzzi oltre a fornire una descrizione precisa di una realtà emblematica per quanto riguarda i contesti produttivi a forte o esclusiva vocazione turistica come quello veneziano, grazie alla ricchezza dei riferimenti teorici ed alla precisione metodologica riportata, offre anche un modello di analisi potenzialmente utile anche per analizzare altre realtà. Assemblare le differenze è a mio avviso uno strumento fondamentale per chiunque oggi intenda studiare i processi di turistificazione senza fare l’errore di “occultare la questione del lavoro” (p.19). La pandemia ha dimostrato che, contrariamente a quanto sostenuto da ogni governo, fermare la macchina del leisure messo a valore che consuma i territori e precarizza le esistenze di lavoratori e lavoratrici è possibile. L’autore del libro (e chi come me lo segue nell’interrogarsi su queste questioni) si chiede se possano le lotte degli sfruttati del settore determinare la prossima interruzione.

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