Continuiamo il dibattito effimero sull’ecologia politica da una prospettiva inedita, e condividiamo un estratto di “Forme in divenire tra bios, matematica e filosofia. Conversazioni con Alessandro Sarti, a cura di Igor Pelgreffi”, pubblicato su Officine Filosofiche on-line, 20-11-2018. 

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Igor Pelgreffi

In che modo, nel bios, coesistono la ripetizione automatica e la produzione di nuova forma? Come possono il vivente e le forme di vita, sempre più assoggettati al dispositivo biopolitico, cambiare le proprie leggi di costituzione o di funzionamento? E che ruolo gioca la corporeità in questi processi, che nella loro portata più generale sono processi di tipo ecologico, ma anche sociale e politico?

Pensiero critico e filosofia da tempo si interrogano su queste domande, domande che toccano i loro stessi presupposti teorici. In un certo senso, quella della modellizzazione del biosè una questione che ha attraversato buona parte del pensiero del Novecento. Tutto dipende, però, da quali strumenti utilizziamo per rispondere. Che cosa accade quando lo strumento è, non direttamente almeno, la filosofia, ma la matematica? Lo chiedo ad Alessandro Sarti, che si occupa di modellizzazione matematica dei sistemi viventi, del cervello e della percezione sensorial-neuronale: si colloca un po’ a metà strada tra scienza e filosofia, tra epistemologia e ricerca del “senso” del fenomeno biologico. E non solo. Di formazione matematico applicato, modenese-bolognese, da anni lavora a Parigi come direttore di ricerca CNRS presso l’EHESS. Ha lavorato a lungo con Jean Petitot e ha fondato recentemente il gruppo di matematici eterodossi “Cardano”, con Giuseppe Longo e Nicolas Bouleau.

Alessandro Sarti

La questione di cui mi occupo riguarda le forme, o meglio il divenire delle forme. Me ne occupo da matematico ma nello spirito della filosofia francese del XX secolo, da Gilbert Simondon a Gilles Deleuze. In questo contesto, il divenire di forme è un passaggio da un piano intensivo alla sua espressione nelle forme estese nello spazio e nel tempo. Per Simondon si tratta del passaggio da un piano pre-individuale all’individuazione delle forme come processo mai pienamente compiuto. L’individuo non è mai compiutamente determinato ed è anzi perennemente in “formazione”. Deleuze, analogamente, intende il divenire come un passaggio da un piano virtuale alla sua attualizzazione. Tuttavia egli vede questo passaggio come la soluzione di un problema, per cui riprende il calcolo differenziale di Leibniz e costruisce la morfogenesi come attualizzazione di un problema differenziale. Nel Deleuze di Differenza e Ripetizioneil differenziale è ancora quello della fisica matematica o dello strutturalismo dinamico thomiano, cioè un differenziale definito uniformemente in uno spazio. Solo più tardi, nella sua forma più compiuta con Felix Guattari, arriva ad una definizione di « eterogenesi » in termini di un virtuale eterogeneo, in cui gli elementi generativi delle dinamiche sono eterogenei e si assemblano per “agencements”. È una trasformazione di portata filosofica enorme. A differenza della fisica matematica e dello strutturalismo in cui il divenire delle forme scaturisce da generatori omogenei nello spazio e nel tempo, dando luogo a delle leggi eterne, l’eterogenesi introduce la possibilità di mutare le leggi spazialmente e temporalmente. L’eterogenesi è appunto la dinamica che permette di generare forme nuove.

Il problema qual è? È che per fare tutto questo non esistono le matematiche. Il problema differenziale come lo aveva pensato Leibniz non è sufficiente. Ecco, io mi occupo proprio di questo: di come ripensare il differenziale per il divenire di forme dell’eterogenesi. I domini empirici di queste dinamiche sono vari e riguardano le dinamiche immaginative nelle scienze cognitive, i divenire filogenetici nelle scienze della vita, la semiogenesi nelle teorie del senso, le morfodinamiche microstoriche nelle scienze dell’uomo e le dinamiche della moltitudine in filosofia politica.

 

IP

Vorrei che mi dicessi qualcosa sull’aspetto storico sotteso al tuo approccio di ricerca, per chiarire meglio il quadro nel quale si colloca. Ad esempio: alcuni dei brevi riferimenti che hai indicato rimandano a un certopost-strutturalismo (come quello di Deleuze) mentre altri, probabilmente, guardano ancora alle potenzialità dello strutturalismo. È interessante, cioè, la circostanza per la quale il tuo lavoro è come se vivesse in una certa tensione, in un passaggio resistente, tra questi due paradigmi che hanno entrambi marcato profondamente, appunto, la storia del pensiero recente.

AS

Partirei dalla circostanza che l’operazione che stiamo conducendo ha degli aspetti comuni a quella sostenuta da René Thom e Jean Petitot negli anni Settanta-Ottanta, ma su materiali e dinamiche diverse. In quegli anni il grande pensiero strutturalista che si rifà a Lévi-Strauss in antropologia culturale, Jacobson in linguistica, a Greimas in semiotica, a Tesnière in fonologia, e via dicendo, è arrivato ormai a compimento almeno nella sua definizione filosofico-ontologica. Rispetto a questa elaborazione, l’intervento di Thom-Petitot è da leggere come una sorta di traduzione dello strutturalismo in chiave epistemica: una vera e propria riscrittura in termini di dinamiche materiali, di divenire di forme dinamiche. Lo strutturalismo dinamico, infatti, rilegge la teoria delle strutture tramite la teoria delle catastrofi di René Thom, in modo tale che le strutture diventano dei dispositivi dinamici controllati. Così il quadrato semiotico di Greimas diventa una catastrofe con 4 possibili dinamiche controllate da opportuni parametri; la formula canonica del mito di Lévi-Strauss diventa una catastrofe con otto possibili dinamiche, e così via. Attraverso il controllo delle dinamiche è possibile passare da un lato all’altro del quadrato semiotico o attraversare gli stati della dinamica del mito scegliendo tra le possibili dinamiche messe a disposizione dalla catastrofe. Si tratta di un vero e proprio teatro dei pupi, in cui i parametri controllano le dinamiche come i fili controllano gli attanti… A seguito di una critica serrata che Michael Foucault porta allo strutturalismo come sistema relazionale di posizioni vuote ed interscambiabili, negli anni Ottanta, grazie al lavoro di Deleuze e Guattari, il pensiero sul divenire di forme si trasforma radicalmente. E qui entra in gioco il concetto di eterogenesi: eterogenesi come dinamica senza negativo, pura produzione affermativa che può assumere infinite dinamiche grazie ad un virtuale in continua ricombinazione. Ma, come ricordavo prima, per questo pensiero non è avvenuta ancora nessuna traduzione in termini epistemici, nessuna ristruttura in termini di dinamiche materiali. Oggi ci stiamo occupando proprio di questo, cercando di dare spessore epistemico – attraverso le ricerche matematiche che conduciamo, e le modellizzazioni sperimentali, cioè anche con l’ausilio di simulazioni numeriche – a questa elaborazione concettuale che prende il nome di post-strutturalismo.

Si tratta di rigettare le accuse di superficialità e di irrazionalità che sono state mosse a questo pensiero, e di mostrare che l’eterogenesi mette in atto dinamiche materiali che sono fondamentali nelle scienze della vita e nelle scienze dell’uomo o, più in generale, nell’ambito di una ecologia politica a venire.

 

IP

Questi temi li sviluppi anche nei seminari che animi attualmente a Parigi: Dynamiques post-structurelles: devenir hétérogène, intensif, singuliere Morphodynamiques : esthétique, sciences de la nature et sciences sociales, senza dimenticare il corso, al Collège de France, suNeuromathématiques. In che modo, in questo tuo approccio, i singoli termini si connettono tra loro e anche in che modo si legano transdisciplinarmente alla sociologia, alla semiotica, alla biologia e ad altre discipline che troviamo frequentemente all’opera nei tuoi testi?

AS

Il seminario Dynamiques post-structurelles si occupa appunto di divenire di forme, da qui il termine morfodinamica o semplicemente dinamica. In particolare si occupa di quelle forme che non sono né strutture, né caos. Quindi tra le dinamiche caotiche da un lato e le strutture dall’altro c’è qualcosa in mezzo. Tra le strutture (simboliche, biologiche, fisiche, politiche) e l’assenza totale di forma c’è qualcosa d’altro che ci interessa. C’è un divenire di forme molto ricco che rompe le strutture, cambia le leggi, ricombina le dinamiche esistenti.  Il corso si interroga su come si generano queste forme, quali sono le condizioni per la loro emergenza. Si interroga cioè sul virtuale di questo dispiegamento dinamico. A differenza delle forme della matematica fisica e delle forme dello strutturalismo, queste dinamiche sono caratterizzate, da un punto di vista matematico, da un virtuale eterogeneo, definito da una molteplicità di vincoli differenziali diversi tra loro nello spazio e nel tempo. Che differenza dalle leggi della fisica, che sono definite da un’equazione o un sistema di equazioni che valgono sempre e ovunque in modo omogeneo all’interno di un dominio definito! Ecco quindi spiegato il termine eterogeneo nel titolo del corso, che si riferisce appunto alla molteplicità di vincoli differenziali diversi da cui escono le dinamiche. Il fatto che questa eterogeneità appartenga al virtuale e non solo alla sua attualizzazione in forme estese (eterogeneità questa che era già presente nello strutturalismo) spiega la presenza del termine intensivo: l’eterogeneo è nel virtuale, nell’intensivo, sul piano generativo, su quel piano che Simondon chiama pre-individuale, perché è a monte di ogni individuazione di forme. Sarà poi la concatenazione di questi differenziali eterogenei e la loro continua ricombinazione a generare delle dinamiche specifiche, nuove, che possiamo chiamare singolarità, proprio per il loro carattere non riducibile a forme conosciute. Mi chiedevi quali sono i domini empirici in cui troviamo queste forme? Queste dinamiche sono presenti per esempio nell’attività cerebrale. Se il bacino empirico dello strutturalismo dinamico di Thom e Petitot è l’ontogenesi o meglio l’embriogenesi, cioè le dinamiche che costruiscono il corpo biologico, con le loro rotture di simmetria dinamiche controllate, (l’embriogenesi è soprattutto una dinamica del controllo), il bacino empirico da cui attingere per le dinamiche post-strutturali è il cervello, cioè il corpo senza organi per eccellenza, il corpo che grazie alla plasticità, cambia le sue regole in modo dinamico e si ricostruisce continuamente in modo situato. Ecco quindi la necessità di approfondire le dinamiche cerebrali, che è alla base del seminario Neuromathématiques, a cui facevi riferimento, seminario ormai decennale che organizzo con Giovanna Citti e Jean Petitot e si tiene oggi nei locali del Collège de France.

D’altra parte troviamo dinamiche post-strutturali nelle scienze della vita quando consideriamo l’evoluzione delle forme viventi sull’asse della filogenesi. Quindi abbiamo anche in questo caso un doppio asse temporale, quello dell’ontogenesi, su cui si attualizzano le forme viventi e l’asse della filogenesi su cui si ricombinano i loro vincoli generativi. Ritroviamo cioè i due assi temporali tipici delle dinamiche post-strutturali.  Cosi come troviamo dinamiche post-strutturali nei divenire storici, tema che è sviluppato in un  seminario di cui mi faccio carico insieme con Maurizio Gribaudi, presso l’EHESS, che si chiama Morphodynamiques: esthétique, sciences de la nature et sciences sociales. Maurizio Gribaudi è un microstorico torinese della scuola di Giovanni Levi, scuola che ci insegna a guardare le storie in termini di dinamiche di forme, divenire di morfologie, nel solco tracciato da Goethe e da Benjamin. Il seminario è oggi il luogo di elaborazione nella direzione di una morfologia del molteplice, contro le forme di una storiografia contemporanea che pensa la storia come sviluppo progressivo di fenomeni globali che caratterizzerebbero in modo uniforme l’insieme di una società, a partire dalle sue strutture portanti fino alle forme simboliche e relazionali. Questa omologazione si attua sia nello spazio, nel senso che gli stessi fenomeni sarebbero presenti uniformemente in tutta la società, che sull’asse temporale, in cui le stesse logiche si dispiegherebbero su larghe fasce epocali. Si tratta invece di riprendere e attualizzare l’eterogeneità delle forze e l’insieme degli assemblaggi sincretici che sono all’origine delle dinamiche storiche. Si tratta in ogni caso di piccoli seminari di ricerca con al massimo una ventina di presenti, ma sempre molto attivi. L’ultimo importante esempio di dinamiche post-strutturali lo ritroviamo nell’ambito della filosofia politica nel concetto di moltitudine così come è stato elaborato dal pensiero post-operaista italiano.

 

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IP

Mi sembra che la posta in gioco del tuo lavoro riveli anche un aspetto critico e politico. In alcune nostre precedenti conversazioni, abbiamo ad esempio parlato dell’intelligenza artificiale e del suo impatto; così come abbiamo parlato dell’automatizzazione del lavoro, delle esistenze, del tempo. Mi sembra che i tuoi studi vadano nella direzione di ricercare una maggiore chiarezza sulla forma e sulle strategie formali dei modelli dominanti, degli abiti concettuali (per dirla con Aldo Giorgio Gargani, grande sguardo sull’epistemologia contemporanea, e non solo) con cui si studiano, anche dal punto di vista matematico o della cosiddetta “matematizzazione del mondo”, queste urgenze del nostro mondo storico-sociale. Mi arrischierei a chiamare, la tua, una epistemologia critica.

AS

Il tema dell’automatismo nelle tecnologie e, in particolare, la questione dell’intelligenza artificiale, li vedo legati a un processo di emancipazione dei processi dall’elaborazione automatica dell’informazione, emancipazione che si orienta verso delle possibilità di produzione di senso. Qual è la differenza tra elaborazione dell’informazione e produzione di senso? Faccio un esempio. Per anni abbiamo studiato e modellato i processi cerebrali come elaborazione dell’informazione, anche se, è vero, in una forma molto più raffinata rispetto all’elaborazione simbolica del cognitivismo cibernetico degli anni Sessanta. Anche le tecniche contemporanee di apprendimento profondo (deep learning) con le reti convoluzionali, con cui si costruiscono le morfologie cerebrali partendo da una banca dati di stimoli, sono in fondo una forma di elaborazione dell’informazione. Infatti, la rete non fa altro che riformattare la statistica degli stimoli, dai quali dipende completamente. Quello che osserviamo sperimentalmente nelle dinamiche cerebrali è però ben diverso. Si osserva cioè che le morfologie cerebrali dipendono non solo dagli stimoli del mondo esterno, ma anche dalla presenza del corpo situato: sia il corpo cinematico-dinamico con i suoi vincoli meccanici sia (e soprattutto) il corpo caldo con i grandi sistemi di regolazione legato alla sessualità, ai circuiti alimentari, all’emozione, ecc., di cui, per capirci, si è occupato a lungo il neuroscienziato spinozista Antonio Damasio.

La presenza del corpo modula le morfologie cerebrali attraverso dei meccanismi di apprendimento rinforzato, in modo che solo le morfologie che sono state rinforzate dal feedback corporale rimangono attive. I circuiti cerebrali sono quindi selezionati sulla base del fatto che siano o meno significativi per il corpo situato e diventano così di per sé dotati di significato. Tocchiamo qui con mano la teoria thomiana della significazione, su cui il matematico francese rifonda la sua stessa fisica del senso in chiave decisamente meno strutturale rispetto alla teoria delle catastrofi. La teoria cioè per cui si costituiscono forme significative quando le pregnanze corporali prendono, modulandole, le forme salienti. La potenza dell’apprendimento rinforzato va poi ben oltre la risposta automatica a degli stimoli Pavloviani. Lo mostra per esempio Patrizia Violi in una serie di lavori molto interessanti sull’emergenza delle semiosi primarie nel rapporto tra la madre e il bambino appena nato. Semiosi pre-simboliche ma già trans-individuali e sociali, irriducibili ad ogni trattamento dell’informazione disincarnato.

I dispositivi cerebrali costituiscono quindi il virtuale, il piano differenziale, intensivo e generativo delle dinamiche cognitive: un virtuale non solo eterogeneo ma anche incarnato. Ecco, questi due aspetti del virtuale, la ricombinazione eterogenea e l’embodiment sono per me le linee di fuga dalla catena degli automatismi dell’elaborazione dell’informazione.

Sono le due vie, sicuramente tra molte altre possibili, attraverso cui ho cercato di rielaborare il concetto di dinamica differenziale.

 

IP

Il tuo, mi pare, è quindi anche un prendere parte, certo da una posizione un po’ laterale ma “singolare”, al dibattito attuale sulla biologia e sul controllo del bios. Insomma: sulla biopolitica. In una formula: i modi in cui studiamo determinate dinamiche biologiche, o cerebrali in altri casi, non è neutrale o stabilito una volta per tutte. Non è automatico: può essere disautomatizzato. Il tuo modo di lavorare è un elemento di questa macro-disautomatizzazione molto auspicabile, e si comprende bene, da questo punto di vista, una certa sintonia di fondo con l’impostazione di altri ricercatori, come Giuseppe Longo nel campo dell’epistemologia biologica e, ancora più sullo sfondo, di un pensatore come Bateson che tra l’altro, come sai, ha molto lavorato anche sugli strani rapporti tra cibernetica e organismo biologico, tra calcolo e incalcolabile, diciamo così, stabilendo un certo numero di parallelismi, precise omologie formali, forse persino morfo-dinamiche comuni.

AS

In effetti, è vero che i modelli di dinamica dominanti stabiliscono delle vere e proprie leggi a cui il biossarebbe soggiogato. Le scienze della vita sarebbero così modellate con gli stessi criteri della fisica-matematica, sulla base di simmetrie, gruppi di invarianza, ecc.. Giuseppe Longo insieme con Francis Bailly si è occupato a lungo di mostrare gli aspetti di singolarità del vivente rispetto alla genericità degli oggetti della fisica. Sulla stessa linea noi siamo interessati agli aspetti plastici della dinamica e in fin dei conti ci interessa capire come il biosè capace di cambiare le leggi, come il biosè capace di svincolarsi dalle dinamiche del controllo e inventarsi nuove forme dinamiche: come il bios, nei suoi aspetti cognitivi, sociali, ecologici sia capace di ricombinare il proprio virtuale per generare forme nuove prima e indipendentemente da ogni cattura strutturale.

Si tratta di utilizzare la matematica non come dispositivo di controllo per ridurre la molteplicità e la varietà delle possibili dinamiche all’interno di schemi nomologici ma, al contrario, di utilizzarla come strumento di apertura e di moltiplicazione delle possibilità. Più che trovare una soluzione classificatoria a dei problemi già posti a priori, la matematica può allargare l’orizzonte problematico. Ed è questo l’apporto dell’eterogenesi ad una teoria morfodinamica capace di produrre un divenire di forme eterogeneo, intensivo e singolare.

 

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IP

Qual è la tua posizione sull’ecologia oggi, in rapporto alla tua ricerca ma anche, più in generale, come istanza politica, come critica dello stato di cose?

AS

Possiamo ben definire l’eterogenesi come l’insieme delle dinamiche di un’ecologia dell’immanenza, dove la dinamica si connota come pura affermazione, senza negativo. Contrariamente alle dinamiche strutturali che si articolano intorno a dei sistemi di opposizione, e che si manifestano come sistemi di attrattori o di potenziali controllati. L’emergenza del simbolico è un esempio tipico di dinamiche strutturali, che si articolano intorno a dei sistemi di opposizione come nel quadrato semiotico per esempio. L’eterogenesi invece è una dinamica eterogenea che rimane pre-simbolica, che sfugge alla cattura o che non è ancora stata catturata da sistemi controllati. In questo senso è un’ecologia dell’immanenza.

Come anche tu hai sottolineato in altre occasioni, prima di ogni altro tentativo di pensiero ecologico bisogna superare l’idea ingenua dell’animale come ente capace solo di automatismi stimolo-risposta. Il problema ecologico diviene quindi, da un lato, il problema degli automatismi.

A livello dinamico si esce dall’automatismo quando si accede completamente all’asse della storicità dei processi e alle attese di futuro. La dinamica si attua quindi su due piani temporali, quello del Kronosdell’attualizzazione automatica delle dinamiche differenziali ma anche quello dell’Aion, cioè dell’accesso al passato e alle possibilità di futuro. La liberazione dall’automatismo sta nell’accesso a questo piano immaginativo e alla capacità di ricombinazione degli elementi su questo piano. È l’asse della filogenesi nell’evoluzione delle specie, dell’invenzione del nuovo nei processi cognitivi, è il piano della sollevazione nelle dinamiche sociali (sollevazione, non rivoluzione, che è invece il concetto strutturalista del passaggio da uno stato stabile a un altro).

Ecco: questi piani su cui si dispiega l’eterogenesi non sono privilegio dell’umano ma aprono a un materialismo immaginativo ancor prima che vitalista che si estende all’animale, al vegetale, all’inorganico…

 

IP

Cosa intendi con materialismo immaginativo?

AS

Una materialità generatrice, capace di creare singolarità estese a tutte le scale e che hanno a che vedere con una “chaire vibrante” in continua ricombinazione. Una materialità che ha saputo non solo inventare la vita (e reinventarla radicalmente una seconda volta sulla base della fotosintesi dei cianobatteri) ma ha continuato a reinventarla durante tutta l’evoluzione generando milioni di specie animali e vegetali. È la molteplicità e la diversità delle forme che testimonia una continua ricerca del nuovo, una re-immaginazione continua, contrariamente ad una visione della natura statica e depositaria di un sistema di leggi immutabili.

Dunque, dicevo, se vogliamo pensare a un Nature turn bisogna innanzitutto abbandonare la prospettiva riduzionista in cui la creazione di senso sarebbe legata esclusivamente agli aspetti semio-linguistici della produzione culturale umana. È necessario invece aprirsi verso delle semiosi primarie molto più ricche, verso un’idea di forme significanti come incontro tra le forme salienti del mondo e le pregnanze corporee, affettive. Questo incontro tra salienze e pregnanze dà già luogo a delle forme di significazione primaria, ben prima di ogni emergenza del simbolico, come mostra bene René Thom in una serie di lavori in cui, come dicevo, re-imposta in chiave non strutturalista la sua prima idea di significazione. O ancora, più precisamente, si tratterebbe di pensare come cerchiamo di mostrare in quel lavoro a cui facevo riferimento, Differential heterogenesis and the emergence of semiotic function, scritto con Citti e Piotrowski, che salienze del mondo e pregnanze corporee emergono da uno stesso processo eterogenetico per polarizzazione multipla (componenti principali o indipendenti della dinamica).

Il fatto che queste semiosi siano presenti in ogni divenire eterogenetico può essere importante per affrontare il problema ecologico in modo radicalmente diverso.

 

IP

Finiamo allora sul valore filosofico-politico del tipo di ricerca che tenti di fare. Si tratta di un valore filosofico-politico legato agli equilibri interni, ma anche “ambientali”, di una matematizzazione del mondo. È un vecchio tema della filosofia secentesca e settecentesca, pensa solo a Leibniz, autore che tra l’altro mi pare tu cerchi di recuperare ma è parimenti, se riflettiamo sulla potenza della digitalizzazione e algoritmizzazione dei processi vitali a ogni livello, un tema oggigiorno davvero nodale, o che dovrebbe essere nodale, nel dibattito politico. Forse anche una frontiera, o un orizzonte, per capire verso dove orientare le nostre vite, individuali e collettive. Evitando l’ennesima posizione falsa, che pagheremmo “con gli interessi” una o due generazioni dopo…

AS

Ti rispondo in modo semplice. Si tratta di rimettere al centro dei nostri studi le condizioni di produzione di senso che aprono alla possibilità di creare dei piani di conoscenza sensibile allargate alla dimensione tecnologica, sociale ed ecologica.

Con questo cambio di prospettiva potremo finalmente affrontare la vera questione di come cambia la produzione di senso e di soggettivazione nell’interazione con l’intelligenza artificiale. La soggettivazione ne uscirà rafforzata perché le tecnologie aprono a delle nuove possibilità e a delle nuove forme di vita, o al contrario ne risulterà impoverita perché le tecnologie funzionano come protesi automatiche della nostra intelligenza che ne esce diminuita e atrofizzata?

Per concludere, mi sembra che sia centrale la questione di riorientare le tecnologie nella direzione di liberazione e di apertura piuttosto che nella direzione dell’asservimento dell’uomo alla macchina. E per fare questo bisogna dislocare il dibattito sull’intelligenza al discorso sulla produzione di senso incarnatae, più in generale, integrare ogni tipo di oggettivazione informazionale con i sistemi vitali, affettivi, sociali, non necessariamente centrati sull’umano, anzi aperti a una eterogeneità di forze e a un divenire di forme che includono tutte le dimensioni ecologiche.

In questo modo sidissolverebbela vecchia opposizione tra costruttivismo e naturalizzazione, cioè tra divenire immaginativo e morfogenesi naturale, perché, a mio parere, la morfogenesi diventerebbe un’eterogenesi aperta a tutte le soluzioni trasformative. Forse questa potrebbe essere l’occasione per rilanciare una nuova alleanza tra il matematico e l’antropologo, tra l’immaginazione scientifica e l’immaginazione sociale, alleanza che è andata completamente perduta.