Questo testo vuole offrire un ulteriore contributo al dibattito e all’approfondimento per definire al meglio una proposta ancora più articolata sulla richiesta dell’estensione del reddito di cittadinanza in Italia ed una rielaborazione concettuale, in generale, delle misure di sostegno al reddito. L’idea che ci guida è quella di individuare una misura più ampia ed incondizionata possibile, che muova dalla già esigibile misura del cosiddetto reddito di cittadinanza (L. 26/2019) e che, attraverso una sua riforma in senso migliorativo ed esteso, possa andare incontro alle esigenze emerse prima, durante e dopo la pandemia da coronavirus.

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In Italia l’emergenza sanitaria ha mostrato l’importanza di un welfare universale. L’esempio di una sanità pubblica dimostra che il welfare non è può essere considerato un costo, ma un vero e proprio investimento. Così come l’emergenza sociale ha dimostrato quanto le forme di sostegno al reddito siano altrettanto basilari, non solo per rispondere alle emergenze, ma come fondamento di una nuova politica pubblica. Anche in questo caso, come per la sanità, o la scuola, il diritto ad un reddito non può che essere considerato un investimento per una società più equa.

Il tema del reddito è diventato, dunque, anche nella fase 2 di parziale lock-down, un tema centrale di politica sociale ed economica. Nel 2018, in Italia, si stimavano oltre 1,8 milioni di famiglie in povertà assoluta (con un’incidenza pari al 7,0%), per un totale di 5 milioni di individui (incidenza pari all’8,4%). Le famiglie in condizioni di povertà relativa nel 2018 erano, invece, stimate pari a poco più di 3 milioni (11,8%), per un totale di individui di quasi 9 milioni (15,0%) (dati Istat[1]). Inoltre, l’Eurostat stimava nel 2016 che in Italia poco meno del 30% (28,7%) della popolazione era a rischio di povertà[2].

Nel gennaio 2019, il primo governo Conte, ha approvato la legge che istituisce il reddito di cittadinanza, ed a più di un anno di distanza, secondo i dati dell’Osservatorio Inps sul reddito e la pensione di cittadinanza notiamo che:

“da aprile 2019 ad oggi, relativamente agli 1.097.684 nuclei le cui domande sono state accolte, 56.222 nuclei sono decaduti dal diritto. I nuclei restanti (1.041.462) sono costituiti per 915.600 da percettori di Reddito di Cittadinanza, con 2.370.938 di persone coinvolte, e per 125.862 da percettori di Pensione di Cittadinanza, con 142.987 persone coinvolte.”[3]

Già da questi dati si nota che tale misura risulta carente dal punto di vista della totalità della platea che ne avrebbe diritto\bisogno e coloro che ne sono realmente coinvolti. Neanche la metà dei poveri assoluti riesce ad accedervi e l’attuale crisi sociale rischia di peggiorare ulteriormente facendo entrare nella sfera della povertà estrema anche coloro che fino a ieri si trovavano in povertà relativa.

Le varie misure e decreti governativi di questi mesi, invece che sostenere con forza la misura principe del reddito di cittadinanza, come misura universale di sostegno al reddito, hanno inteso invece definire una varietà di interventi diversificati ingenerando spesso confusione e difficoltà di accesso. I diversi schemi sono stati per lo più incentrati sulla base della tipologia contrattuale e della condizione occupazionale e professionale. Una serie di misure frammentate e parziali che hanno di fatto certificato non solo la giungla del welfare italiano ma anche dello stesso mondo del lavoro, esso stesso frammentato. Tuttavia possiamo dire che la misura centrale, è stato il ricorso allo strumento della cassa integrazione che implica l’esistenza di un rapporto di lavoro stabile e l’appartenenza a determinati settori di attività. Il reddito da cassa integrazione è pari all’80% dello stipendio percepito. La UIL[4] ha calcolato che in media lo stipendio con la cassa integrazione è di poco superiore ai 940 euro netti, prendendo uno stipendio medio mensile di 1.316 euro netti.

Per chi non è dipendente con cassa integrazione, rimangono misure come la Naspi o la Discoll, che sono anche esse temporali e con una rimodulazione del sussidio che viene ricalcolato mese dopo mese. E’ stato poi introdotto il bonus di 600 euro per lavoratrici e lavoratori autonomi e in collaborazione.  L’alto numero dei richiedenti di questo bonus, ha mostrato quanto il tema di un diritto al reddito sia urgente per milioni di persone. Molte attività lavorative autonome, intermittenti e precarie sono ancora oggi escluse da tale indennità, a meno che non siano iscritti a determinate casse previdenziali (come la gestione separata Inps o la gestione speciale dell’Ago, Assicurazione Generale Obbligatoria, sempre Inps).

Inoltre, bisogna tener conto degli effetti del blocco, seppur parziale, dell’attività economica e della libertà di movimento, sul mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato in scadenza e degli effetti sul lavoro informale, occasionale e nero, che per molte persone rappresenta l’unica fonte di sostentamento, tra ricatto e rischio di marginalità sociale.

In conclusione, pur con tutti i lodevoli presupposti, tali misure rischiano di rilevarsi insufficienti, parziali, temporali, emergenziali, di difficile accesso per far fronte all’emergenza sociale ed economica.

Per quanto ci riguarda riteniamo invece necessario definire, proprio a partire da questa esperienza di carattere epocale, uno schema che vada incontro all’immediata emergenza e che ponga le basi per la definizione di una misura di tipo strutturale. In particolare, vorremo qui accennare ad alcune criticità come punti di partenza di una proposta ancora più articolata e che necessita di un dibattito più ampio ma anche di un posizionamento immediato per coloro che intendono il reddito di base come una delle proposte centrali di un presente ed un futuro migliore. Per questo partiamo dalla necessità di rimettere mano sin da subito alla misura del reddito di cittadinanza a partire dai punti che seguono:

Il primo riguarda il livello di erogazione monetaria. L’Istat fissa in 750 euro mensili la soglia per la sopravvivenza. Riteniamo che una opzione praticabile debba prevedere una erogazione economica monetaria (non carte acquisto) vicina al valore medio della cassa integrazione. Uno dei concetti che guida questa proposta è che un reddito deve essere pensato come un diritto di esistenza, una misura ex ante e non ex post, ed in grado dunque di intervenire su una più ampia platea di beneficiari. Un sostegno al reddito così congeniato non comporterebbe il versamento dei contributi previdenziali, e dunque è necessario innalzare altresì la pensione di cittadinanza allo stesso livello. Questo anche per garantire un adeguato sostegno economico a coloro che non hanno maturato alcuna pensione o che non la matureranno nel prossimo futuro, come milioni di non più giovani precari già sanno.

Il secondo punto è quello dell’accessibilità. E’ indispensabile aumentare significativamente i parametri ISEE (al momento pari a 9600 euro) come soglia di accesso per rendere davvero esigibile la misura e snellire le procedure consentendo di potersi riferire alla condizione economica presente. Fare riferimento alle dichiarazioni dei redditi significa infatti non tenere in considerazione le molte circostanze che portano a cambiamenti enormi da un anno all’altro.

Il terzo, essenziale, è quello dell’individualità. E’ necessario che questa misura sia individuale e non parametrata sul nucleo familiare, come è attualmente. In questo senso, la misura, non deve avere più, o non solo, come riferimento la condizione lavorativa, ma rappresentare l’esigibilità di un diritto, lavoro o non lavoro.

Il quarto punto di criticità riguarda la temporalità. Gli interventi fin qui adottati seguono la sola logica dell’emergenza e risultano fortemente dipendenti dal tipo di impiego e dalla condizione professionale. Ogni volta che si presenta una nuova figura e/o condizione precaria (ieri, la formazione professionale, poi i co.co.co, poi i voucher, poi gli interinali, oggi i rider, ecc.) si aggiunge, con molto ritardo, un ammortizzatore sociale ad hoc in un continuo inseguimento delle figure sociali e professionali che portano ad una giungla di interventi per lo più complessi e confusi: abbiamo il Reddito di Cittadinanza (insufficiente), il reddito di emergenza (che dovrebbe riguardare tutte le famiglie che non hanno accesso ad altre misure), poi si discute di reddito di quarantena[5], di reddito di cura[6], universale e via discorrendo, rischiando di ingenerare una serie di terminologie che spesso non chiariscono l’articolazione della proposta. Rimanere dentro la logica dell’emergenza significa, che una volta terminata, si ritornerà allo status quo pre-epidemia con la conseguenza che le iniquità e le distorsioni del sistema degli ammortizzatori sociali continuerebbero a perdurare.

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Crediamo necessario, dunque, cominciare a riflettere su come implementare in modo concreto una misura strutturale di reddito incondizionato, per quella parte di società sempre più vulnerabile, prescindendo dalla condizione lavorativa (se dipendente o autonomo, se stabile o precario, se occupato o inoccupato, se autoctono o migrante, se in nero o non), così da permettere di avere le risorse necessarie per fronteggiare inizialmente la situazione di emergenza ma pensato per diventare permanente. Si tratta, come detto, di ribaltare il senso della proposta, non più in base all’attività lavorativa ma in base alla condizione economica. La soglia di accesso alla misura diventa dunque il cuore della proposta a venire.

Partire dall’attuale legge sul RdC (D.L. 4/2019 e successiva legge di conversione n. 26/2019), aumentando i parametri di accesso ed eliminando qualsiasi forma di condizionalità e di obbligo, come del resto già previsto per alcuni mesi nel Decreto “Cura Italia”, utilizzando l’expertise maturato dall’Inps nell’erogazione. Il reddito di base generalizzato e incondizionato non significa che esso sia universale. Il concetto di universalità, prevederebbe infatti un reddito di base per tutti i 60 milioni di residenti in Italia: un altro tipo di approccio dunque, così come definito dalle molte reti internazionali, che lo inseriscono all’interno di un diritto umano. Un dibattito, questo, che merita una articolazione diversa da quella proposta in questo testo. L’incondizionalità, così come l’accessibilità e l’individualità, crediamo siano un punto di avanzamento fondamentale.

La proposta dunque è quella di una misura ex ante che tiene conto essenzialmente della condizione economica e non si dà velleità di controllo attraverso obblighi che non hanno più alcun legame con la realtà economica e sociale.

Si tratta di interrompere una tendenza decennale di politiche di workfare che hanno generato di fatto un’espulsione dalle misure di sostegno al reddito di milioni di persone in Europa, spostando miliardi di euro dalle misure di welfare alle politiche di sostegno alle imprese e defiscalizzazione, che hanno portato nel continente europeo ad un aumento delle persone a rischio povertà (già prima della pandemia Eurostat ne stimava 130 milioni). Obblighi e condizioni sono stati motivo di una enorme precarizzazione, con il proliferarsi di lavoretti spesso inutili, o meglio utili alla sola giustificazione moralistica dell’erogazione di un sussidio. Non a caso in molti paesi europei, dalla Scozia alla Finlandia all’Olanda si va nella direzione di prime sperimentazioni di un reddito di base incondizionato. Ed è in questa direzione che si è mossa la petizione del Basic Income Network Italia (BIN Italia)[7].

La riformulazione del reddito di cittadinanza si avvicina, in sostanza, ad una sorta di reddito di base generalizzato e incondizionato, erogato a tutt* coloro che non hanno la possibilità di accedere a un reddito netto simile alla media della cassa integrazione, e che dovrebbe inglobare tutte le altre proposte selettive e settoriali di sostegno al reddito, favorendo un processo di convergenza verso una misura unica, semplificando il modello e ottimizzando anche dal punto di vista gestionale le risorse.

Questo dunque può divenire uno dei pilastri per immaginare un welfare adeguato agli attuali processi di valorizzazione capitalistica e alle trasformazioni involutive e regressive che attraverseranno il futuro mercato del lavoro, alla luce delle sperimentazioni in corso in tema di telelavoro e soprattutto smart working, del ruolo che assumeranno le nuove tecnologie a partire dall’Intelligenza Artificiale e dal ruolo della robotica nei prossimi tempi. Non va scordato infatti il ruolo assunto dalle tecnologie in questa fase, così come l’enorme accumulazione di capitale da parte delle maggiori società tecnologiche. Inoltre, una misura così ragionata, può essere strumento per sostenere l’idea di welfare del comune (Commonfare).

Riteniamo dunque che puntare oggi all’estensione del reddito di cittadinanza sotto gli auspici più universali ed incondizionati possibili, possa generare quel “corpo a corpo” in grado di modificare sostanzialmente una misura attualmente limitata ed insufficiente. Potrebbe inoltre essere spazio di nuova aggregazione sociale viste le tante persone che sono già oggi escluse e coloro che saranno escluse domani, quando le misure emergenziali introdotte in questa fase, termineranno. Un corpo a corpo che sia in grado, attraverso la rivendicazione dell’estensione del reddito di cittadinanza, di avviare un nuovo confronto con le controparti governative.

Infine, questa è l’occasione di ampliare la discussione ed il dibattito, non più e non solo, sulla necessità di un reddito come forma solo di sostegno nei momenti di difficoltà, ma come strumento per entrare con fiducia nel terzo millennio attraverso la più ampia rivendicazione di un reddito di base universale ed incondizionato, come diritto di esistenza.

Per firmare la petizione: qui

 

NOTE

[1] https://www.istat.it/it/archivio/231263

[2] https://ec.europa.eu/eurostat/news/themes-in-the-spotlight/poverty-day-2016

[3] https://www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=53327

[4] https://www.uil.it/documents/12RapportoUILCIG.pdf

[5] Il reddito di quarantena è frutto di una campagna sociale nata per rispondere sia all’immediata urgenza della crisi sociale durante il covid19 sia come proposta generale verso un diritto al reddito più ampio.

[6] S. Barca, “Dentro e oltre la pandemia: pretendiamo il reddito di cura e un Green New Deal femminista”, Euronomade, 4 aprile 2020: http://www.euronomade.info/?p=13211.

Per un’analisi critica, si veda C. Morini, “Abbiate cura. Società della cura e reddito di autodeterminazione”:  30 aprile 2020: http://effimera.org/abbiate-cura-societa-della-cura-e-reddito-di-autodeterminazione-di-cristina-morini/ e https://www.bin-italia.org/societa-della-cura-e-reddito-di-autodetermina-zione/

[7] https://secure.avaaz.org/it/community_petitions/al_governo_ed_al_parlamento_italiano_estendere_il_reddito_di_cittadinanza_se_non_ora_quando_/

 

L’Associazione Basic Income Network – Italia, nata nel 2008, raccoglie sociolog*, economist*, filosof*, giurist*, ricercatori/trici, liber* pensatori/trici, attivist*, che da anni si occupano di studiare, progettare e promuovere interventi indirizzati a sostenere l’introduzione di un reddito garantito in Italia. Ne è risultato un network di competenze diverse che muovono però nella medesima direzione: giungere all’introduzione di un reddito di base per tutte e tutti. Il BIN Italia fa parte della rete internazionale BIEN (Basic Income Earth Network)

Immagine di copertina a cura di Gianmarco Mecozzi

Pubblicato in contemporanea su sito di BIN Italia

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